Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23991 del 1210/2017

Cassazione civile, sez. II, 12/10/2017, (ud. 25/05/2017, dep.12/10/2017),  n. 23991

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12821/2016 proposto da:

P.C., erede di D.P., + ALTRI OMESSI

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto n. 1737/2015 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 17/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/05/2017 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA.

Fatto

IN FATTO

In esito ad opposizione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 5-ter, la Corte d’appello di Perugia rigettava la domanda di equa riparazione proposta il 23.7.2015 dagli odierni ricorrenti, per la durata irragionevole di un giudizio svoltosi innanzi al TAR Lazio dal 2000 al 2014, riducendo la sanzione irrogata ex art. 5-quater stessa legge ad Euro 1.000,00 per ciascun ricorrente.

Osservava la Corte territoriale che la domanda era improponibile sia perchè presentata decorso il termine di cui all’art. 4 legge citata, applicandosi quello semestrale previsto dall’art. 327 c.p.c., cui rinvia l’art. 92 comma 3, c.p.a., sia per difetto dell’istanza di prelievo, richiesta dal D.L. n. 112 del 2008, art. 54 e successive modificazioni. In particolare e tra l’altro, riteneva che in base alle disposizioni transitorie del medesimo c.p.a. la disciplina previgente (e con essa il testo dell’art. 327 c.p.c. ante lege n. 69 del 2009) fosse applicabile solo per i termini in corso alla data di entrata in vigore della legge, ancorchè relativi a processi instaurati anteriormente all’entrata in vigore del c.p.a..

La cassazione di tale decreto è chiesta dai ricorrenti meglio specificati in epigrafe in base a sei motivi.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha depositato un “atto di costituzione”.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380-bis c.p.c., comma 1, inserito, a decorrere dal 30 ottobre 2016, dal D.L.31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. f), convertito, con modificazioni, in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 2 dell’allegato 3, titolo 2, D.Lgs. n. 104 del 2010 (codice del processo amministrativo), in quanto, a giudizio dei ricorrenti, detta norma sarebbe da riferire ai giudizi, e non ai termini, in corso alla data di entrata in vigore del codice del processo amministrativo. Ciò anche in considerazione della L. Delega n. 69 del 2009, art. 44 e della finalità, ivi rappresentata, di coordinare le norme del processo amministrativo a quelle del codice di procedura civile in quanto espressione di principi generali e per assicurare la concentrazione delle tutele.

2. – Il secondo mezzo solleva, in subordine, un’eccezione d’illegittimità costituzionale dell’art. 2 dell’allegato 3, titolo 2, D.Lgs. n. 104 del 2010, nella parte in cui prevede che (solo) per i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del c.p.a. continuino ad applicarsi le norme previgenti, per violazione degli artt. 76 e 77 Cost., in quanto eccedente i limiti di cui alla L. Delega n. 69 del 2009, art. 44.

3. – Analoga eccezione d’illegittimità costituzionale, ma per violazione degli artt. 3,24,113 e 117 Cost., in relazione all’art. 6, par. 1, CEDU, è sollevata col terzo mezzo.

4. – Il quarto motivo deduce la violazione o falsa applicazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, convertito in L. n. 133 del 2008, art. 54, comma 2, come ulteriormente modificato dal D.Lgs. n. 104 del 2010, nella parte in cui prevede che la domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, non è stata presentata istanza di prelievo, per contrasto con gli artt. 6 e 13 CEDU, alla luce della sentenza 25.2.2016 (Olivieri e altri c/ Italia).

5. – Il quinto motivo, in subordine rispetto al quarto mezzo, solleva l’eccezione d’illegittimità costituzionale dell’art. 54, comma 2, D.L. cit., per contrasto con gli artt. 3,24 e 113 Cost. e art. 6 CEDU, nella parte in cui prevede che la domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, non è stata presentata istanza di prelievo, per contrasto con l’art. 6, paragrafo 1, CEDU e art. 117 Cost., comma 1.

6. – Il sesto motivo, infine, in subordine rispetto a tutti i precedenti motivi, lamenta la violazione od erronea applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 5-quater, sia perchè il proposto ricorso per equa riparazione aveva carattere collettivo, sia in quanto l’applicazione della sanzione prevista dalla citata norma esprime una mera facoltà, che non avrebbe dovuto essere esercitata per l’evidente incertezza sull’interpretazione dell’art. 2, allegato 3, c.p.a.

7. – Il primo motivo è infondato.

Infatti, come questa Corte ha già avuto modo di affermare ripetutamente, in tema di equa riparazione, al fine di determinare la sussistenza della condizione per proporre la domanda di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4, le sentenze del giudice amministrativo rese in primo grado divengono definitive, in assenza di notificazione, decorsi sei mesi dalla loro pubblicazione, ai sensi del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 92, ove siano state pubblicate dopo l’entrata in vigore del c.p.a., atteso che l’ultrattività della disciplina previgente (e quindi del termine annuale per proporre gravame), disposta dall’art. 2 dell’allegato 3 al codice, vale soltanto per i termini in corso al momento della medesima entrata in vigore della nuova disciplina (v. Cass. n. 17377/15, cui adde le nn. 7326/15, 5299/15, 12575/15 e 23373/14; da ultimo, v. anche la n. 4636/17).

Interpretazione, quest’ultima, che trova riscontro anche nella costante giurisprudenza del Consiglio di Stato, in base alla quale l’art. 2 dell’allegato 3 del codice del processo amministrativo, il quale con norma transitoria dispone che per i termini in corso alla data di entrata in vigore del codice stesso (16.9.2010) continuano ad operare le norme previgenti, non trova applicazione ai casi in cui il mutamento del termine – come quello c.d. lungo per proporre appello – sia già entrato in vigore anteriormente al deposito della sentenza impugnata. Ciò in quanto già prima dell’entrata in vigore del c.p.a., le norme del c.p.c. si applicavano al giudizio amministrativo in quanto compatibili e salvo non fosse diversamente previsto. Tra dette norme si applicava l’art. 327 c.p.c., che nel testo modificato dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 17, entrato in vigore il 4.7.2009, prevede per l’impugnazione il termine (non più di un anno, ma) di sei mesi (v. Cons. Stato nn. 4055/13, 6646/12 e 5793/11).

8. – Neppure hanno pregio il secondo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo, da esaminare congiuntamente per la loro stretta connessione (e sostanziale ripetitività).

Come già esaustivamente osservato da Cass. n. 4636/17, “della L. Delega n. 69 del 2009, art. 44, comma 2 lett. g), prevede espressamente che i decreti legislativi di cui al comma 1, oltre che ai principi e criteri direttivi di cui alla L. 15 marzo 1997, n. 59, art. 20, comma 3, in quanto applicabili, si attengono ai seguenti principi e criteri direttivi: “g) riordinare il sistema delle impugnnioni, individuando le disposizioni applicabili, mediante rinvio a quelle del processo di primo grado, e disciplinando la concentrazione delle impugnazioni, l’effetto devolutivo dell’appello, la proposizione di nuove domande, prove ed eccezioni”. Come si vede, in materia di impugnazioni, la delega non prevede rinvii al processo civile in tema di disciplina transitoria e limita invece il campo di operatività del delegato ad altri temi (rinvio alle norme del processo di primo grado, concentrazione delle impugnazioni ed effetto devolutivo dell’appello, disciplina dei “nova”): dunque l’eccesso di delega non sussiste così come non sussiste la violazione dell’art. 6 CEDU sotto il profilo della compressione del diritto di difesa, essendo più che ragionevole il termine di sei mesi. Sulla disparità di trattamento rispetto all’appellante di una sentenza emessa da un giudice civile la questione, così come prospettata, è irrilevante perchè mal posta: i ricorrenti non sono affatto “appellanti” (e certo qui non si discute della tempestività dell’appello nel giudizio presupposto). La questione avrebbe dovuto, semmai, essere prospettata con riferimento alla diversa posizione tra chi intende agire per l’equa riparazione con riferimento ad un giudizio presupposto di natura civile e chi invece si duole della lungaggine di un giudizio amministrativo, ma sotto il profilo della formazione del giudicato formale e, in definitiva, del computo del termine di decadenza. Pertanto non può parlarsi in questa sede di mutamento di regole “a giudizio in corso” e di violazione del principio di affidamento ed in ogni caso la disposizione transitoria del processo amministrativo che ha disciplinato le regole sui termini dell’appello nel giudizio presupposto è entrata in vigore ben prima della pubblicazione della sentenza: ben diversa sarebbe stata l’ipotesi se le regole fossero mutate in pendenza del termine per impugnare, ma tale evenienza è stata espressamente esclusa dal legislatore, come si visto”.

9. – Il sesto motivo è manifestamente infondato.

Infatti, in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, la sanzione processuale di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 5-quater, è applicabile non solo quando la domanda sia dichiarata manifestamente infondata, ma anche quando la stessa sia inammissibile per colpa ascrivibile al ricorrente, come in ipotesi di inosservanza del termine semestrale di proponibilità che decorre dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento sia divenuta definitiva (nella specie, desumibile dalla piana applicazione dell’art. 2, all. 3, cod. proc. amm., che ha sancito l’ultrattività della previgente disciplina per la proposizione dell’appello ai soli termini “in corso all’entrata in vigore” del codice del processo amministrativo) (Cass. n. 23302/14).

Inoltre, il processo cumulativo non cessa di essere tale in caso di rigetto, sicchè come in caso di accoglimento l’equa riparazione sarebbe stata riconosciuta a ciascun ricorrente e non al loro insieme, così anche in caso di inammissibilità la sanzione dell’art. 5-quater, grava su ciascuno dei ricorrenti.

10. – Il ricorso va dunque respinto.

11. – Nulla per le spese, non avendo il Ministero dell’Economia e delle Finanze svolto un’idonea attività difensiva.

12. – Rilevato che dagli atti il processo risulta esente dal pagamento del contributo unificato, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2017

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