Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2399 del 03/02/2021

Cassazione civile sez. III, 03/02/2021, (ud. 06/10/2020, dep. 03/02/2021), n.2399

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31262/2019 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMILIO FAA’

DI BRUNO, 15, presso lo studio dell’avvocato MARTA DI TULLIO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrenti –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 5390/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 06/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/10/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. S.A., cittadino del (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento della sua istanza dedusse di essere fuggito dal Gambia perchè era stato arrestato per essere risultato assente dal suo posto di lavoro poichè sosteneva l’opposizione politica avverso il governo gambiano. Era stato fermato dei militanti del partito APRC mentre si trovava con il cugino, candidato alle elezioni, e per questo denunciato quale collaboratore dell’opposizione.

3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza. Avverso tale provvedimento propose opposizione ex art. 702 bis c.p.c., dinanzi al Tribunale di Roma, che con ordinanza rigettò il reclamo.

Il Tribunale ha ritenuto:

a) il richiedente asilo non credibile;

b) infondata la domanda di protezione internazionale perchè il richiedente asilo non aveva dedotto a sostegno di essa alcun fatto di persecuzione;

c) infondata la domanda di protezione sussidiaria perchè nella regione di provenienza del richiedente asilo non era in atto un conflitto armato;

d) infondata la domanda di protezione umanitaria poichè l’istante non aveva nè allegato, nè provato, alcuna circostanza di fatto, diversa da quelle poste a fondamento delle domande di protezione “maggiore” (e ritenute inveritiere), di per sè dimostrativa d’una situazione di vulnerabilità.

La Corte d’Appello ha confermato la decisione del giudice di primo grado con la sentenza n. 5390 del 6 settembre 2019.

4. Avverso tale pronuncia S.A. ricorre per cassazione con 3 motivi. Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5.1. Con i primi due motivi di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 1998, art. 8, dell’art. 16 Direttiva Procedure 2013/32 UE, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

Lamenta che la corte d’appello avrebbe errato perchè non ha posto il ricorrente nella condizione, prevista tassativamente ed espressamente dalla legge, di chiarire le contraddizioni rilevate dal giudice di prime cure, in quanto, in tale sede, non sono state poste domande di approfondimento ho richieste di chiarimenti. Il giudice avrebbe dovuto procedere a chiedere chiarimenti o precisazioni sulla base del dovere di cooperazione.

Inoltre “era dovere della corte, attraverso l’utilizzo dei poteri istruttori ufficiosi, acquisendo informazioni sul paese d’origine del richiedente, accertare se le autorità gambiana siano effettivamente in grado di offrire protezione al richiedente”.

I motivi congiuntamente esaminati sono infondati.

Il dovere di cooperazione da parte del giudice si sostanzia nell’acquisizione di COI pertinenti e aggiornate al momento della decisione (ovvero ad epoca ad essa prossima), da richiedersi agli enti a ciò preposti alla luce dell’obbligo, sancito dall’art. 10, comma 3, lett. b) della cd. Direttiva Procedure, “di mettere a disposizione del personale incaricato di esaminare le domande informazioni precise e aggiornate provenienti dall’EASO, dall’UNHCR e da Organizzazioni internazionali per la tutela dei diritti umani circa la situazione generale nel paese d’origine dei richiedenti e, all’occorrenza, dei paesi in cui hanno transitato”. Spetterà, dunque (all’amministrazione, prima, e poi) al giudice fare riferimento anche di propria iniziativa a informazioni relative ai Paesi d’origine che risultino complete, affidabili e aggiornate.” Nel caso di specie il giudice del merito ha utilizzato fonti ufficiali del 2016/2017 ed il ricorrente nei motivi di ricorso non ha allegato fonti diverse e più recenti rispetto alla decisione impugnata.

5.1. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Lamenta che la corte di appello avrebbe errato nell’omettere l’esame della domanda di protezione umanitaria perchè non ha ravvisato la sussistenza delle condizioni di riconoscimento delle misure e maggiori in particolare sotto il profilo della mancanza di rilevanza delle dichiarazioni del richiedente ai fini della protezione internazionale. La corte avrebbe dovuto verificare l’esistenza dei presupposti specifici della domanda di protezione umanitaria considerando anche il collegamento tra la situazione soggettiva e la condizione generale del paese in rapporto alle minacce ricevute tali da integrare una situazione di vulnerabilità idonea disporre il rilascio del permesso di natura umanitaria.

Il motivo è fondato.

Il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018) costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica (“status” di rifugiato o protezione sussidiaria), non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso, anche considerando le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona (Cass. 13096/2019).

Nel caso di specie risulta del tutto carente (ben al di sotto del “minimo costituzionale” imposto dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità), nella motivazione impugnata, la valutazione comparativa tra la odierna situazione della ricorrente e la possibile compressione del nucleo dei suoi diritti fondamentali, in caso di rimpatrio nel Paese d’origine, da condurre in ossequio ai principi che si andranno ad esporre.

Sul punto, va ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 4455/2018, per come confermata anche da Cass., ss.uu., sent. 29459/2019), in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

6. Pertanto la Corte rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo motivo come in motivazione, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.

P.Q.M.

la Corte rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo motivo come in motivazione, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2021

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