Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23989 del 29/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 29/10/2020, (ud. 26/06/2020, dep. 29/10/2020), n.23989

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2617/13 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, 12 è elettivamente

domiciliata;

– ricorrente –

contro

C.F., T.M. e TA.MA.;

– intimati –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Centrale – Sezione

di Milano – n. 4400/12/11 depositata in data 30 novembre 2011;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 giugno

2020 dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Gli eredi di T.C., C.F., T.M. e Ta.Ma. impugnavano, con distinti ricorsi, l’avviso di rettifica, relativo all’anno 1982, con il quale l’Amministrazione aveva recuperato a tassazione corrispettivi non contabilizzati e I.V.A.

Riuniti i ricorsi, la Commissione tributaria di primo grado li rigettava e avverso la sentenza i contribuenti proponevano impugnazione, depositando nel corso del giudizio memoria alla quale allegavano l’intervenuta rinuncia all’eredità con atto del Notaio del 29 luglio 1985.

La Commissione tributaria di secondo grado, nel contraddittorio dell’Amministrazione finanziaria, accoglieva l’appello, rilevando che chi rinunciava all’eredità era considerato come se non fosse mai stato chiamato.

La decisione, impugnata dall’Amministrazione finanziaria, veniva confermata dalla Commissione tributaria centrale, la quale riteneva non fondato il gravame, rilevando che, ai sensi dell’art. 521 c.c., comma 1, la rinuncia “fatta in forma pubblica avanti a un Notaio” era pienamente legittima ed operante.

Ricorre per la cassazione della decisione d’appello l’Agenzia delle Entrate, con due motivi.

I contribuenti, ritualmente intimati, non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di censura la difesa erariale deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 521 c.c., comma 1, in combinato disposto con l’art. 476 c.c.

A seguito di rettifica svolta nei confronti della ditta T., era stato emesso avviso di accertamento nei confronti degli eredi – essendo il titolare della ditta medio tempore deceduto – i quali avevano proposto impugnazione chiedendone l’annullamento, rinunciando, solo con atto pubblico del 29 luglio 1985, all’eredità; i giudici di merito avevano ritenuto che la rinuncia all’eredità, in ragione del suo carattere retroattivo, avesse l’effetto di impedire, sin dalla chiamata all’eredità, la trasmissione agli eredi dell’obbligazione tributaria insorta nella sfera del de cuius, ma tale ragionamento, ad avviso della ricorrente, contrasta con l’art. 476 c.c., atteso che gli eredi del T., impugnando l’atto impositivo loro notificato per un’obbligazione sorta in capo all’erede, avevano implicitamente espresso la volontà di accettare l’eredità, posto che non avevano sostenuto di non essere eredi, ma avevano piuttosto censurato nel merito l’accertamento compiuto. La rinuncia all’eredità, intervenuta successivamente alla proposizione del ricorso avverso l’avviso di rettifica, ad avviso della ricorrente, non avrebbe quindi prodotto alcun effetto, dato che poteva rinunciare all’eredità esclusivamente il chiamato all’eredità e non l’erede, ossia colui che aveva già accettato l’eredità, stante il principio per il quale semel heres semper heres.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 525 c.c., in relazione all’art. 476 c.c., lamentando che la Commissione tributaria centrale non ha dato rilevanza alla circostanza, pure da essa allegata, della presentazione, da parte degli eredi, in data 16 agosto 1985 di una denuncia di successione, con espressa indicazione, nell’ambito delle passività, dell’obbligazione tributaria.

Sostiene che il rinunciante che presenta la dichiarazione di successione, non essendo a ciò obbligato, compie un atto tipico dell’erede e, per tale motivo, esprime la volontà di revocare la rinuncia ad accettare (sia pure tacitamente) l’eredità.

3. Il primo motivo è fondato, con assorbimento del secondo motivo.

3.1. Secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, gli eredi di T.C., ai quali sono stati direttamente notificati distinti avvisi di accertamento afferenti all’obbligazione tributaria sorta in capo al de cuius, li hanno impugnati contestando nel merito la pretesa fiscale e, nel corso del giudizio di secondo grado, con atto notarile del 29 luglio 1985, hanno rinunciato all’eredità, producendo il relativo atto.

3.2. Costituisce principio pacifico quello secondo cui l’assunzione della qualità di erede non può desumersi dalla mera chiamata all’eredità, nè dalla denuncia di successione, che ha valore di atto di natura meramente fiscale (Cass., sez. 2, 11/05/2009, n. 10729; Cass., sez. 2, 28/02/2007, n. 4783), ma consegue solo all’accettazione dell’eredità, espressa o tacita, che rappresenta elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio quale successore del de cuius (Cass., sez. 2, 6/05/2002, n. 6479; Cass., sez. 3, 10/03/1992, n. 2849).

Questa Corte ha chiarito, che in ipotesi di debiti del de cuius di natura tributaria, l’accettazione dell’eredità è una condizione imprescindibile affinchè possa affermarsi l’obbligazione del chiamato all’eredità a risponderne; non può, quindi, ritenersi obbligato chi abbia rinunciato all’eredità, ai sensi dell’art. 519 c.c. (Cass., sez. 5, 29/03/2017, n. 8053; Cass., sez. 5, 18/04/2019, n. 10908).

3.3. Considerato che l’accettazione dell’eredità è il presupposto perchè si possa rispondere dei debiti ereditari, una eventuale rinuncia, anche se tardivamente proposta, esclude che possa essere chiamato a rispondere dei debiti tributari il rinunciatario, sempre che egli non abbia posto in essere comportamenti dai quali si possa desumere un’accettazione implicita dell’eredità, della cui prova è onerata l’Amministrazione finanziaria.

3.4. Nella specie l’Ufficio ricorrente ha dedotto che la rinuncia all’eredità è di per sè irrilevante, in quanto intervenuta in momento successivo alla proposizione dell’impugnazione dell’atto impositivo dinanzi alla Commissione tributaria, costituendo l’impugnazione comportamento che presuppone necessariamente la volontà di accettare e, comunque, di attività che non si avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede.

3.5. Al riguardo, questa Corte ha affermato (Cass., sez. 2, 20/03/1976, n. 1021) che non solo gli atti dispositivi, ma anche gli atti di gestione possono dare luogo ad accettazione tacita dell’eredità, secondo l’accertamento compiuto caso per caso dal giudice di merito, in considerazione della peculiarità di ogni singola fattispecie e tenendo conto di molteplici fattori, tra cui quelli della natura ed importanza, nonchè della finalità degli atti di gestione compiuti dal chiamato. In ogni caso, occorre però che si tratti di atti incompatibili con la volontà di rinunziare e non altrimenti giustificabili se non con la veste di erede, mentre sono privi di rilevanza tutti quegli atti che non denotano in maniera univoca un’effettiva assunzione della qualità di erede, occorrendo accertare se il chiamato si sia mantenuto o meno nei limiti della conservazione e dell’ordinaria amministrazione del patrimonio ereditario, potendosi in linea generale affermare che tutti gli atti previsti dall’art. 460 c.c. (disciplinante i poteri del chiamato prima dell’accettazione, e cioè: compimento di azioni possessorie a tutela dei beni ereditari; compimento di atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea) non provochino la mutazione dello status da chiamato a erede.

3.6. Partendo da tali premesse, questa Corte ha ritenuto che, qualora i chiamati all’eredità abbiano ricevuto ed accettato la notifica di una citazione o di un ricorso per debiti del de cuius o si siano costituiti eccependo la propria carenza di legittimazione, non siano configurabili ipotesi di accettazione tacita dell’eredità, trattandosi di atti pienamente compatibili con la volontà di non accettare l’eredità (Cass., sez. 3, 3/08/2000, n. 10197).

Qualora, invece, i chiamati all’eredità, come nel caso di specie, abbiano impugnato un atto di accertamento emesso nei loro confronti in qualità di eredi dell’originario debitore, senza contestare l’assunzione di tale qualità e, quindi, il difetto di titolarità passiva della pretesa, ma censurando nel merito l’accertamento compiuto dall’Amministrazione finanziaria, deve ritenersi che essi abbiano posto in essere un’attività che non è altrimenti giustificabile se non con la veste di erede, atteso che tale comportamento esorbita dalla mera attività processuale conservativa del patrimonio ereditario.

3.7. Nè a tale conclusione vale obiettare, come ritenuto dalla Commissione tributaria centrale, che gli eredi del T. hanno prodotto atto di rinuncia all’eredità formalizzato con atto pubblico dinanzi al Notaio. Infatti, è pur vero che, in base all’art. 521 c.c., comma 1, “chi rinunzia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato”, con la conseguenza che, per effetto della rinuncia, viene impedita retroattivamente – cioè a far data dall’apertura della successione -l’assunzione di responsabilità per i debiti facenti parte del compendio ereditario. Va, tuttavia, considerato che, nel caso di specie, l’atto di rinuncia all’eredità, essendo intervenuto successivamente all’impugnazione degli avvisi di accertamento, è, in realtà, privo di effetti, per essere i chiamati all’eredità decaduti dal relativo diritto in quanto già accettanti in dipendenza del comportamento dagli stessi tenuto, posto che la mancata contestazione della loro qualità di eredi configura accettazione tacita dell’eredità (in senso conforme, questa Corte con la sentenza n. 13384 del 8 giugno 2007 ha ritenuto che configurasse accettazione tacita dell’eredità, inconciliabile con la successiva rinuncia, il fatto del chiamato che era rimasto contumace in due giudizi di merito concernenti beni del de cuius e, nella fase d’appello e informalmente, mediante uno scritto, aveva dichiarato il disinteresse alla lite; in senso conforme Cass., sez. L., 18/01/2017, n. 1183).

4. La decisione impugnata non si è uniformata ai superiori principi e va, pertanto, cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia che dovrà procedere a nuovo esame, oltre che alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il primo motivo e dichiara assorbito il secondo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2020

 

 

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