Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23988 del 24/11/2016


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Cassazione civile sez. trib., 24/11/2016, (ud. 07/06/2016, dep. 24/11/2016), n.23988

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12910-2010 proposto da:

ITALSCAVI COSTRUZIONI SPA in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA A. GRAMSCI 34, presso

lo studio dell’avvocato VINCENZO IOFFREDI, rappresentato e difeso

dall’avvocato FRANCESCO MANCINI giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

Nonchè da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorso e ricorso incidentale –

contro

ITALSCAVI COSTRUZIONI SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 78/2009 della COMM.TRIB.REG. di CAMPOBASSO,

depositata il 13/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2016 dal Consigliere Dott. LUCIO LUCIOTTI;

udito per il controricorrente l’Avvocato URBANI NERI che ha chiesto

il rigetto del ricorso principale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO Luigi, che ha concluso per l’accoglimento del 3 motivo di

ricorso principale e rigetto degli altri motivi di ricorso

principale, assorbito il ricorso incidentale.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. L’Agenzia delle entrate di Campobasso, sulla scorta delle risultanze di un processo verbale di constatazione redatto in data 26 giugno 2000 dal Nucleo di Polizia Tributaria a seguito di verifica generale effettuata nei confronti della ITALSCAVI COSTRUZIONI s.r.l., emetteva a carico di tale società un avviso di accertamento ai fini IRPEG, IRAP ed IVA con cui, in relazione all’anno di imposta 1998, riprendeva a tassazione costi ritenuti non deducibili per complessivi 461.228.000 delle vecchie Lire (attualmente Euro 238.204,38) e ricavi non contabilizzati per complessivi Lire 1.766.000.000 (attualmente Euro 912.062.75).

2. L’impugnazione proposta avverso detto avviso di accertamento veniva parzialmente accolta dalla Commissione tributaria provinciale di Campobasso che annullava la ripresa tassazione sia dei ricavi che dei costi, escludendo tra questi ultimi solo quelli relativi a “lavori di riparazione” e “spese diverse”.

3. La sentenza di primo grado, impugnata dall’Amministrazione finanziaria, veniva parzialmente riformata dalla Commissione tributaria regionale del Molise che con sentenza n. 78 del 13 novembre 2009 riteneva deducibili i costi sostenuti dalla società contribuente per l’acquisto di un idrocontatore e di un gruppo elettrogeno, per l’acquisto di carburanti utilizzati per i mezzi di cantiere e per canoni di locazione, ed annullava la ripresa a tassazione dei ricavi non contabilizzati, confermava nel resto l’accertamento impugnato, disponeva l’applicazione delle sanzioni nel minimo edittale e compensava le spese.

3.1. Sostenevano i giudici di appello, in relazione alle questioni ancora di interesse. in quanto poste all’attenzione di questa Corte:

– che non potevano dedursi i costi per acquisti di carburanti con carta di credito aziendale avendo la società contribuente omesso di fornire la prova dell’esistenza del contratto c.d. di netting stipulato con la compagnia petrolifera, così ingenerando incertezza sul soggetto contraente, che poteva essere diverso dalla società verificata;

– che i finanziamenti per complessivi Lire 1.766.000.000 effettuati dalla società contribuente a favore di diverse società consortili, inattive ed in liquidazione volontaria, non potevano essere considerati alla stregua di ricavi non contabilizzati in assenza della prova – che avrebbe dovuto fornire l’Amministrazione finanziaria – del contratto simulato intercorso tra le parti, ma costituivano costi non documentati, quindi indeducibili, ma che non potevano esser disconosciuti in quanto l’Ufficio non li aveva contestati come tali.

4. Avverso tale statuizione la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui replica l’Agenzia delle entrate con controricorso e ricorso incidentale affidato ad un motivo. La ricorrente deposita memoria ex art. 378 c.p.c. corredata da documento.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Va preliminarmente dichiarata l. inammissibilità della produzione documentale effettuata dalla ricorrente in allegato alla memoria ex art. 378 c.p.c., costituita da sentenza del Tribunale penale di Campobasso del 19 maggio 2005, trattandosi di documento nuovo (ex multis, Cass. n. 7515 del 2011) che non riguarda l’ammissibilità del ricorso e del controricorso ovvero la nullità della sentenza impugnata (ex art. 372 c.p.c.).

2. Con il primo motivo la società ricorrente, denunciando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione di legge in riferimento alla disciplina applicabile al rapporto di somministrazione denominato “netting” ed alle norme che regolano l’interpretazione dei contratti, censura la sentenza gravata laddove aveva escluso la deduzione dei costi per acquisti di carburanti con carta di credito aziendale per difetto di prova dell’esistenza del contratto c.d. di netting stipulato con la compagnia petrolifera, che ingenerava incertezza sul soggetto contraente, che poteva essere diverso dalla società verificata.

Riferisce la ricorrente di aver stipulato un particolare contratto riconducibile alla procedura denominata “netting”, consistente in un contratto di somministrazione fra il gestore e la propria compagnia petrolifera di prodotti petroliferi, effettuati dal gestore direttamente all’utente che utilizza per il pagamento apposite carte aziendali contenenti tutti i dati relativi all’identificazione della ditta di trasporto e dell’autocarro rifornito e nel fatturare al medesimo utente del veicolo rifornito dalla compagnia petrolifera alla quale il gestore provvede a rifatturare l’operazione effettuata nei confronti del cliente (pagg. 8 e 9 del ricorso). Riferisce, altresì, che la documentazione prodotta dimostrava che, in base a detta procedura, il rifornimento avveniva per mezzo di carte di credito aziendali ((OMISSIS)) rilasciate dalla compagnia petrolifera, le cui ricevute contengono gli estremi dell’impianto di distribuzione che ha effettuato il rifornimento, la data del rifornimento, il tipo e la quantità di carburante acquistato, l’ammontare del corrispettivo pagato comprensivo dell’imposta (pag. 11 del ricorso).

Lamenta, quindi, che il giudice di appello omettendo di applicare i canoni di ermeneutica contrattuale previsti dal Codice Civile – ha ritenuto non provata la sussistenza di un valido ed efficace contratto c.d. di netting intercorrente tra la Italscavi e le compagnie petrolifere, precisando che, non essendo prevista per tale tipo di contratto la forma scritta ad substantiam, la CTR avrebbe dovuto fare riferimento al comportamento delle parti. Avendo però omesso di indagare la reale intenzione delle parti (pag. 9 del ricorso), la CTR è incorsa nella violazione delle norme sull’interpretazione dei contratti, denunciabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo pretermesso il criterio ermeneutico di cui all’art. 1362 c.c. (consistente nella valutazione dell’effettivo comportamento delle parti) e, per l’effetto, illegittimamente ritenuto indimostrata l’esistenza del contratto di netting (pagg. 12 e 13) fra essa ricorrente e compagnia petrolifera.

3. Il motivo è inammissibile.

3.1. E’ opportuno premettere che quello del “netting” è un particolare sistema di rifornimento di carburante associato all’utilizzo di tessere magnetiche, dette anche “carte fedeltà” o “carte aziendali”, caratterizzato dalla stipula di un duplice contratto di somministrazione, l’uno tra compagnia petrolifera e società che effettua il rifornimento a mezzo di tali tessere e l’altro tra compagnia petrolifera e gestore dell’impianto attraverso il quale viene effettuata l’erogazione del carburante.

L’Amministrazione finanziaria si è occupata del contratto di netting dapprima con la circolare n. 205 del 12 agosto 1998, in cui, descritte le modalità operative del sistema di vendita del carburante e ricondotto entrambi i rapporti contrattuali che disciplinano le due operazioni in cui si articola il sistema di rifornimento, alla somministrazione di beni di cui all’art. 1559 c.c., ha precisato che non è applicabile a tale ipotesi il divieto di fatturazione posto dal D.P.R. n. 444 del 1997, art. 1, comma 3, a carico dei gestori di impianti stradali di distribuzione di carburanti per autotrazione per le cessioni effettuate, sia perchè tale divieto non può estendersi alla società petrolifera, che è parte dei contratti di somministrazione di cui al sistema del “netting”, sia perchè in tale sistema non ricorre una cessione di beni in senso tecnico ma una (duplice) somministrazione, sia infine perchè gli adempimenti in materia di carta carburante non sono concretamente attuabili per la mancanza del personale addetto alla distribuzione di carburante.

Con la successiva circolare n. 44/E del 9 novembre 2012 l’Agenzia delle entrate, nel fornire chiarimenti in merito agli effetti della disposizione di cui al D.P.R. n. 444 del 1997, art. 1, comma 3 introdotto dal D.L. 13 maggio 2011, n. 70 (c.d. “decreto sviluppo”), convertito con L. 12 luglio 2011, n. 106, che ha previsto la soppressione della scheda carburante per i soggetti che effettuano l’acquisto mediante carte di credito, carte di debito o carte prepagate emesse da operatori finanziari soggetti all’obbligo di comunicazione previsto dal D.P.R. n. 605 del 1973, art. 7, comma 6, ha precisato che la disposizione introdotta dal citato – decreto sviluppo” non interessa il sistema delle “carte fedeltà” associate al contratto di “netting”, perchè, come già chiarito con la precedente circolare n. 205 del 1998, il rapporto che si instaura per effetto del richiamato contratto di “netting”, è riconducibile alla somministrazione di beni di cui all’art. 1559 c.c. e non è, pertanto, assimilabile alle cessioni di beni disciplinate dalle disposizioni del citato D.P.R. n. 444 del 1997.

Ciò posto, deve pervenirsi alla conclusione che al – netting -, costituito da due contratti di somministrazione, si applica la disciplina civilistica di tale tipo di negozio, che, stante l’assenza di specifica prescrizione, è a forma libera, non essendo indotta l’esigenza della forma scritta nè dall’oggetto del contratto (nella specie fornitura di carburante) nè dalla qualità delle parti (tutti soggetti privati).

3.2. Sostiene, quindi, la società ricorrente nel motivo di ricorso in esame che in assenza di prova scritta del contratto di netting, il giudice per accertare la sussistenza di siffatto negozio avrebbe dovuto indagare il comportamento delle parti per individuare la reale volontà delle stesse, secondo quanto prescritto dagli artt. 1362 c.c. e ss.: (pag. 14 del ricorso).

3.3. Tale assunto non è condivisibile. Anche a voler prescindere dal rilievo che la ricorrente fa riferimento ad un comportamento negoziale di cui si limita a descrivere le modalità mediante trascrizione del contenuto delle controdeduzioni in appello (pag. 11) in cui erano state dedotte, omettendo però – in violazione del principio di autosufficienza del ricorso – di trascrivere il contenuto rilevante dei documenti prodotti, idonei a dimostrare l’esistenza del contratto di netting e la sua concreta esecuzione, osserva il Collegio che quelle previste negli artt. 1362 c.c. e segg. sono regole ermeneutiche di interpretazione del contenuto del contratto o di una singola clausola del medesimo, la cui esistenza (di cui dubitano nella specie i giudici di appello) è certa o comunque provata, non potendosi utilizzare quelle regole, come pretende la ricorrente, per provare l’esistenza stessa della fonte negoziale da interpretare. Dal comportamento complessivo delle parti, di cui all’art. 1362 c.c., comma 2 il giudice può infatti trarre elementi per determinare quale sia stata la comune intenzione delle parti, soltanto in un’ottica di interpretazione di una disciplina negoziale già esistente e non per accertare la volontà di stipulare o meno un contratto (come pretende la società ricorrente).

In estrema sintesi, il motivo di ricorso in esame, laddove censura la sentenza di appello per violazione delle regole ermeneutiche di interpretazione di un contratto di cui i giudici di appello hanno negato l’esistenza, è inammissibile.

4. Con il secondo motivo la ricorrente, sempre in relazione al contratto di – netting -, censura la sentenza gravata per vizio di omessa ed insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sostenendo che la CTR non avrebbe tenuto conto di una serie di elementi probatori (schede carburanti e ricevute rilasciate dagli apparecchi automatizzati e dal personale delle stazioni di servizio, queste ultime riportanti anche il nominativo della società contribuente) idonei a provare l’esistenza del contratto e la riferibilità della spesa alla società contribuente.

5. Il motivo, come accennato esaminando il primo motivo, è inammissibile per difetto di autosufficienza.

5.1. E’ principio costantemente affermato da questa Corte (cfr. Cass. n. 14784 del 2015, n. 26489, n. 19306 e n. 14541 del 2014) che in base al disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, – che prevede che il ricorso deve contenere a pena di inammissibilità (…) la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, che ha codificato il principio di autosufficienza, nel ricorso devono essere presenti tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (cfr. Cass. n. 15952 del 2007). Si è perciò di nuovo ricordato che la disposizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, “costituente la conseguenza del principio di autosufficienza dell’esposizione del motivo di ricorso per cassazione”, impone di indicare specificamente. a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, “gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso si fonda mediante riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura, oppure attraverso una riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione” (cfr. Cass. n. 1142 del 2014).

Orbene, la ricorrente non si è attenuta ai suddetti principi. Invero, il vaglio di fondatezza della censura presuppone l’esame e, quindi, la conoscenza del contenuto dei documenti cui si fa riferimento nel motivo di ricorso e cioè delle “carte di credito aziendali”, delle “ricevute” emesse dal personale delle stazioni di servizio o dagli apparecchi automatici, delle “schede-carburante” che, se presi in esame, avrebbero senz’altro condotto ad una statuizione di segno opposto a quella impugnata (pag. 16 del ricorso).

5.2. La ricorrente, pertanto, per non incorrere nel rilevato vizio, avrebbe dovuto trascrivere le parti dei predetti documenti idonei a permettere a questa Corte – cui non è consentito, in relazione al tipo di censura mossa (error in iudicando), l’accesso agli atti del giudizio di merito – di effettuare le opportune valutazioni, rilevandosi come a tal fine sia del tutto insufficiente la trascrizione (effettuata alle pagg. 11 e 15 del ricorso) di parte delle controdeduzioni di appello in cui vengono dedotte tali circostanze.

6. Con il terzo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c.

Osserva che il giudice di appello aveva confermato l’accertamento impugnato anche in relazione alle riprese a tassazione delle spese telefoniche e per riscaldamento, nonostante l’Agenzia delle entrate appellante avesse espressamente escluso tali spese dalla richiesta di riforma della statuizione di primo grado.

7. Il motivo è fondato e va accolto.

7.1. Come è dato evincere dalle richieste formulate nel ricorso in appello, debitamente trascritte dalla ricorrente nel motivo in esame (pag. 18) in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, l’Agenzia appellante aveva chiesto alla CTR di confermare l’avviso di accertamento ad eccezione delle riprese a tassazione delle poste negative di reddito relative alle Spese telefoniche per Lire 9.067.906 ed al c/Gas e riscaldamento per Lire 17.225.401. I giudici di appello, invece, dopo aver dichiarato inerenti e quindi deducibili i costi per l’acquisto di un idrocontatore e di un gruppo elettrogeno nonchè di carburanti utilizzati per i mezzi di cantieri ed i canoni di locazione, riformando la decisione di primo grado limitatamente a tali poste negative di reddito, e dopo aver annullato l’atto impositivo impugnato per la parte relativa ai ricavi non contabilizzati, hanno confermato nel resto l’accertamento impugnato, che prevedeva la ripresa a tassazione di quei costi – per “spese telefoniche” e per “gas/riscaldamento” – che l’Agenzia delle entrate, invece, aveva espressamente chiesto di escludere. E’ pertanto evidente che la CTR, in relazione a tali costi, ha pronunciato ultrapetita e, quindi, la sentenza va sul punto emendata.

8. Con l’unico motivo di ricorso incidentale l’Agenzia delle entrate deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio di illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata con riferimento a due profili: a) al disconoscimento della ripresa a tassazione di ricavi non contabilizzati per complessivi Lire 1.766.000.000; b) al recupero di costi per carburanti prelevati con taniche ed utilizzate per i mezzi di cantiere.

9. In relazione al primo profilo, la difesa erariale osserva che i giudici di appello avevano dichiarato l’illegittimità del recupero a tassazione dei finanziamenti erogati dalla consorziata Italscavi Costruzioni s.p.a. alle società consortili per complessive Lire 1.766.000.000, sul rilievo che l’Agenzia delle entrate, assumendo l’esistenza di un rapporto di natura diversa rispetto a quello finanziato e, a detta dell’Ufficio, senz’altro simulato, non aveva fornito la prova rigorosa del contratto dissimulato intercorrente tra le parti. Tale affermazione, si sostiene nel motivo in esame, sarebbe contraddittoria ed illogica rispetto all’affermazione pure fatta dai giudici di appello – peraltro condividendo quanto sostenuto dall’Amministrazione finanziaria nell’atto di appello – secondo cui, affinchè potesse ritenersi l’esistenza di finanziamenti in favore di società totalmente inattive ed anzi in fase di liquidazione volontaria, sarebbe stato necessario rinvenire, negli atti amministrativo-contabili dell’accertata, una documentazione, proveniente dalle consortili, attestante la richiesta dei finanziamenti e la relativa causale, così come una delibera assembleare di approvazione della suddetta operazione, di nessuna convenienza economica per la Italscavi.

Sostiene, inoltre, la difesa erariale di aver fornito plurimi elementi presuntivi da cui desumere la disponibilità di importi presenti tra le attività della situazione patrimoniale ma sottratti all’imposizione in quanto non dichiarati (pag. 21 del controricorso) – come la mancanza di documentazione bancaria idonea ad attestare il trasferimento delle somme dalla consorziata alle società consortili, la mancanza di costi sostenuti dalle consortili che giustificassero il finanziamento, nonchè l’assenza di valida ragione economica per l’Italscavi di effettuare finanziamenti a società inattive ed in liquidazione volontaria (riconosciuta anche dalla CTR), osservando che, in presenza di tali elementi probatori che dimostravano la simulazione del rapporto posto in essere tra la Italscavi e le società consortili (pag. 21 del controricorso), era onere della società contribuente fornire la prova che si trattava di ricavi dichiarati e fornire elementi presuntivi idonei a dimostrare l’effettività delle operazioni di finanziamento e le ragioni economiche che li giustificavano.

10. Il motivo in esame è fondato e va accolto.

10.1. Invero, l’affermazione che l’esistenza di un rapporto di natura diversa rispetto a quello finanziato e, a detta dell’Ufficio, senz’altro simulato, in assenza di una prova rigorosa del contratto dissimulato intercorrente tra le parti (cioè tra società consortile e consorziate), potesse far vacillare la tesi dell’Amministrazione finanziaria che gli esborsi erogati alle società consorziate con le modalità sopra descritte (e cioè senza delibera societaria di approvazione delle operazioni finanziarie, senza documentazione bancaria di riscontro, in assenza di costi sostenuti dalle consortili e, quindi, senza alcuna convenienza per la società consortile) dissimulasse un rapporto di natura diversa da quello finanziario, va censurata sotto il profilo della coerenza logica in quanto gli elementi presuntivi addotti dall’Amministrazione finanziaria stanno a dimostrare l’esistenza, tra le attività della situazione patrimoniale della società verificata, di somme di dubbia provenienza sottratte all’imposizione perchè non dichiarate, cosicchè era onere della società contribuente fornire adeguata dimostrazione del contrario e cioè della legittima provenienza delle somme utilizzate per finanziare le società consorziate e della loro regolare sottoposizione a tassazione. oltre che dell’effettività delle operazioni di finanziamento e delle ragioni economiche che li giustificavano. Da ciò discende l’ulteriore considerazione che è priva di adeguata giustificazione logica anche la pretesa della CTR di porre a carico dell’Amministrazione finanziaria l’onere di provare la reale fonte negoziale dei finanziamenti di cui si fa questione.

11. Il secondo profilo di censura, formulato dalla difesa erariale con riferimento alla statuizione di annullamento del recupero a tassazione dei costi sostenuti dalla società verificata per carburanti prelevati con taniche ed utilizzate per i mezzi di cantiere, è infondato in quanto, a fronte dell’accertamento in fatto compiuto dalla CTR in ordine all’emissione, da parte del gestore dell’impianto di distribuzione di carburanti, di fatture che attestano anche l’inerenza di quei costi, quella espressa dalla difesa erariale, affermando che un’impresa di costruzioni, come la società verificata, che dispone di più cantieri si sia potuta rifornire di carburante per le proprie cisterne per mezzo di semplici taniche certamente inadeguate allo scopo (pag. 22 del controricorso), è argomentazione di per sè inidonea, anche sul piano logico – non avendo dedotto l’inesistenza soggettiva od oggettiva delle operazioni commerciali fatturate -, a superare la prova ricavabile invece dai suddetti documenti fiscali.

12. Conclusivamente, quindi, i primi due motivi del ricorso principale vanno dichiarati inammissibili, infondato il secondo profilo del motivo di ricorso incidentale, va accolto il terzo motivo del ricorso principale ed il primo profilo del motivo di ricorso incidentale, la sentenza impugnata va cassata con rinvio, per nuovo esame della vicenda in relazione ai motivi accolti, nonchè per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione Tributaria Regionale del Molise in diversa composizione.

PQM

La Corte dichiara inammissibili il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, infondato il secondo profilo del motivo di ricorso incidentale, accoglie il terzo motivo di ricorso principale ed il primo profilo di censura del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame e per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Commissione Tributaria Regionale del Molise, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 7 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2016

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