Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23982 del 12/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 12/10/2017, (ud. 28/04/2017, dep.12/10/2017),  n. 23982

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 918/2016 proposto da:

S.O., + ALTRI OMESSI

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

nonchè

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, c.f (OMISSIS) in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis,

– ricorrente successivo –

contro

S.O.; + ALTRI OMESSI

– c/ricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso il decreto n. 914/2015 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositato il 04/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/04/2017 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA.

Fatto

IN FATTO

Con separati ricorsi depositati nel 2011 gli odierni ricorrenti adivano la Corte d’appello di Perugia per ottenere la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento d’un equo indennizzo ex lege n. 89 del 2001, per la durata irragionevole di una procedura fallimentare instaurata innanzi al Tribunale di Roma nel 1984 ed ancora pendente, nel cui stato passivo essi si erano insinuati per il recupero dei rispettivi crediti.

La Corte d’appello di Perugia in accoglimento della domanda condannava il Ministero al pagamento della minor somma tra l’importo di Euro 11.500,00, ottenuto applicando il moltiplicatore annuo di Euro 500,00 per 23 anni di ritardo (30 anni durata effettiva – 7 anni di durata ragionevole), e il credito fatto valere da ciascun ricorrente nella procedura presupposta. Osservava al riguardo la Corte territoriale che non poteva dubitarsi del fatto che il valore del credito ammesso dovesse costituire un tetto invalicabile alla quantificazione dell’indennizzo, per ragioni sia di ordine giuridico che logico, per evitare di riconoscere al pregiudizio non patrimoniale un valore più elevato di quello attribuibile al bene della vita oggetto del giudizio stesso. E, a sostegno, richiamava la modifica della L. n. 89 del 2012, apportata sul punto dall’art. 2-bis, comma 3, introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito nella L. n. 134 del 2012.

Condannava, inoltre, il Ministero alle spese, che liquidava in Euro 1.500,00, oltre accessori di legge.

Per la cassazione di tale decreto le parti meglio indicate in epigrafe propongono ricorso, affidato a due motivi e notificato all’Avvocatura generale dello Stato il 30.12.2015.

Successivo ricorso (registrato sotto il medesimo numero di R.G.), spedito con raccomandata a.r. il 30.12.2015, è stato proposto anche dal Ministero della Giustizia, al quale i ricorrenti principali hanno replicato con controricorso e “ricorso incidentale”, in realtà meramente riproduttivo dei motivi già svolti nel primo ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente va rilevato che il secondo ricorso, in ordine di tempo quello proposto dal Ministero della Giustizia, va qualificato come ricorso incidentale; e che l’identità tra detto ricorso principale e quello proposto dalle medesime parti in via incidentale (per effetto della notifica del ricorso dell’Avvocatura dello Stato) rende quest’ultimo inammissibile (cfr. Cass. n. 27555/11).

2. – Il primo motivo del ricorso principale deduce la violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, nel testo anteriore alle modifiche apportate con D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni in L. n. 134 del 2012, art. 6, par. 1, CEDU e della L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, comma 3, nel testo introdotto dal citato D.L., e dell’art. 55, commi 1 e 2 stesso D.L., in quanto il tetto massimo all’indennizzo, pari all’entità della posta in gioco, è stato introdotto, con norma non avente efficacia retroattiva, in base alla citata legislazione d’urgenza solo a decorrere dall’11.9.2012, mentre tutti i ricorsi in oggetto sono stati proposti nel 2011.

2.1. – Il motivo è fondato.

Le norme del D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazione, dalla L. n. 134 del 2012, sono applicabili soltanto ai ricorsi depositati a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione (art. 55, comma 2 detto D.L.), e dunque dall’11.9.2012. Come già osservato da questa Corte (v. sentenza n. 14912/15), “alle disposizioni introdotte nel 2012 non può neanche riconoscersi natura di norme di interpretazione autentica, atteso che, se è vero che per alcuni aspetti vengono recepiti orientamenti della giurisprudenza di questa Corte mutuati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, non vi è nulla nel D.L. n. 83 del 2012, che possa indurre a ritenere che il legislatore abbia inteso attribuire alle nuove disposizioni efficacia retroattiva, avendo anzi espressamente dettato una specifica previsione per la entrata in vigore della nuova disciplina”.

Nella specie, sebbene nel decreto impugnato il richiamo al D.L. n. 83 del 2012, sia stato consapevolmente operato non già in via di applicazione diretta, ma solo per confermare la legittimità, altrimenti motivata su base logico-giuridica, di una liquidazione contenuta entro i limiti di valore del credito azionato in sede concorsuale, il risultato ultimo cui sono pervenuti i giudici di merito non è per nulla dissimile. E si pone in contrasto con la costante giurisprudenza di questa Corte (e della Corte EDU), che ante D.L. cit. ha sempre affermato che il diritto all’equa riparazione non è condizionato dall’esito del giudizio e dalla scarsa entità della posta in gioco, salvo che la parte non abbia promosso una lite temeraria o non abbia abusato del processo (così per tutte e tra le ultime massimate, v. Cass. n. 15905/15).

3. – L’accoglimento del predetto motivo assorbe l’esame del secondo mezzo del ricorso principale, che denuncia la violazione dell’art. 91 c.p.c., L. n. 247 del 2012, art. 13,D.M. n. 55 del 2014, artt. 1, 2 e 4 e art. 24 Cost., per aver la Corte territoriale liquidato spese inferiori al richiesto e al dovuto.

4. – Il primo motivo del ricorso incidentale lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dunque il vizio di extrapetizione della pronuncia, perchè il decreto impugnato ha posticipato il dies ad quem della liquidazione alla data di decisione del ricorso anzichè a quello di deposito del ricorso.

5. – Il secondo motivo propone, in via alternativa, la medesima censura sotto il profilo della violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2.

6. – Entrambi i predetti motivi, da esaminare congiuntamente per la loro sostanziale identità, sono fondati.

Il riconoscimento del diritto all’equa riparazione riguarda come risulta chiaro dalla lettera della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 4 – i soli danni effetto della irragionevole durata di un processo già svoltosi, anche se ancora pendente, e non anche quelli eventuali dipendenti da durate successive del medesimo processo, che non sono mai certe e prevedibili, essendo comunque ipotetica e non sicura la prosecuzione del processo e l’ulteriore maturazione di nuovi danni, e non essendo comunque preclusa alla parte la facoltà di richiedere successivamente l’indennizzo per il periodo residuo dello stesso (Cass. n. 7143/06).

7. – Anche il terzo motivo deduce la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, con riguardo all’an e al quantum dell’equa riparazione, per non aver considerato gli aspetti concreti della procedura al fine di valutarne la durata ragionevole.

7.1. – Il motivo è infondato.

In tema di equa riparazione per la violazione del termine di durata ragionevole del processo, a norma della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, la durata delle procedure fallimentari, secondo lo standard ricavabile dalle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo, è di cinque anni nel caso di media complessità e, in ogni caso, per quelle notevolmente complesse – a causa del numero dei creditori, della particolare natura o situazione giuridica dei beni da liquidare (partecipazioni societarie, beni indivisi, ecc.), della proliferazione di giudizi connessi o della pluralità di procedure concorsuali interdipendenti – non può superare la durata complessiva di sette anni (Cass. n. 8468/12; conforme, n. 9254/12).

8. – Il quarto motivo lamenta, ancora, la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, in quanto anzichè operare una liquidazione su base equitativa, la Corte distrettuale ha liquidato l’indennizzo su base meramente tabellare (Euro 500 per anno).

8.1. – La censura è infondata.

In disparte che la natura equitativa dell’indennizzo ex lege n. 89 del 2001, non dipende dalla tecnica giudiziale di quantificazione elaborata, ma è immanente alla norma che la prevede, sicchè non è comprensibile la contrapposizione tra liquidazione equitativa e liquidazione “tabellare” operata dal Ministero; ciò a parte, va osservato che nei procedimenti amministrativi, fallimentari o comunque di lunga durata ante D.L. n. 83 del 2012, la giurisprudenza di questa Corte si è ormai da tempo attestata nel senso di ritenere conforme ai parametri della Corte EDU determinare l’equa riparazione sulla base di un moltiplicatore annuo di Euro 500,00 (cfr. ex multis Cass. nn. 4521/15, 18617/10 e 17922/10), che ratione temporis non potrebbe essere di misura inferiore senza porsi in tendenziale contrasto proprio con la giurisprudenza della Corte EDU.

9. – Il quinto ed il sesto motivo lamentano, rispettivamente, la “omessa motivazione” su un fatto decisivo, in quanto la durata del procedimento è andata a vantaggio delle parti creditrici e la perplessità della motivazione del decreto impugnato, atteso che il giudice non ha considerato l’inesigibilità dei crediti, dato che l’attivo è stato distribuito soltanto in favore di altri creditori.

9.1. – Entrambe le censure sono infondate.

Esse, infatti, prospettano il mancato esame di circostanze di fatto non decisive. La prima perchè suppone applicabile l’art. 2, comma 2-septies, inserito dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 777, lett. d), a decorrere dal 1 gennaio 2016, lì dove, invece, al procedimento in oggetto risulta inapplicabile anche il precedente D.L. n. 83 del 2012, le cui innovative limitazioni la L. n. 208 del 2015, presuppone implicitamente. La seconda perchè l’esito della lite, nell’originario sistema della L. n. 89 del 2001, non è mai funzione del diritto all’indennizzo.

10. – Il settimo motivo deduce la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 75 c.p.c., con riferimento alla posizione della ricorrente Sc.Ma.. Sebbene quest’ultima avesse agito in proprio e quale erede di M.R., la Corte territoriale avrebbe liquidato indistintamente l’indennizzo per tutto l’arco della procedura fallimentare, senza distinguere tra indennizzo iure proprio e iure hereditario, quest’ultimo fino alla data del decesso.

10.1. – La doglianza è inammissibile per difetto di specificità, poichè non chiarisce da quali elementi testuali si desuma che tale indennizzo sia stato liquidato dalla Corte territoriale nella maniera erronea che il motivo denuncia.

11. – Per le considerazioni svolte il decreto impugnato va cassato, in relazione ai soli motivi del ricorso principale e di quello incidentale rispettivamente accolti, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Perugia, che nel decidere si atterrà ai principi di diritto sopra richiamati, provvedendo, altresì, sulle spese di cassazione.

PQM

 

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo, e i primi due motivi del ricorso incidentale, respinti gli altri, cassa il decreto impugnato con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Perugia, che provvederà anche sulle spese di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2017

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