Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23971 del 29/10/2020

Cassazione civile sez. I, 29/10/2020, (ud. 12/10/2020, dep. 29/10/2020), n.23971

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15289/2016 proposto da:

C.M.B. S.A.S. DI C.D. E C.A. & C., in persona

dei legali rappresentanti pro tempore, nonchè C.A.,

C.D., C.L. e P.A., elettivamente domiciliati in

Roma, Via degli Scipioni n. 94/8, presso lo studio dell’avvocato

Giovanna Fiore, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Giancarlo La Scala, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

BANCA POPOLARE DI SONDRIO SOC. COOP. PER AZIONI, in persona dei

legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Via Michelangelo Pinto n. 22, presso lo studio dell’avvocato

Federico Caparrotta, rappresentata e difesa dagli avvocati

Alessandra Majorana, e Fabio Fedi, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4808/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 15/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/10/2020 dal cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Milano con sentenza del 15 dicembre 2015, n. 4808 ha respinto l’impugnazione avverso la decisione del Tribunale di Milano del 2 dicembre 2014, la quale aveva disatteso l’opposizione a decreto ingiuntivo, emesso su istanza della Banca Popolare di Sondrio soc. coop. p.a. contro la C.M.B. di C.D. e C.A. & C. s.a.s. ed i soci e fideiussori della stessa, concernente un rapporto di conto corrente sorto nel 2010.

La corte territoriale ha ritenuto, per quanto ancora rileva, che le istruzioni di Banca d’Italia del 2009, non aventi valore normativo, hanno disposto l’inclusione nel T.e.g. delle commissioni di massimo scoperto; pertanto, dopo tale momento, con riguardo al caso di specie, le c.m.s. sono incluse tra gli oneri da calcolare nel T.e.g.; i D.M. successivi ne dettano le modalità di rilevazione, secondo criteri di discrezionalità tecnica, che hanno consentito di individuare le forme di rilevazione dei dati e la precisazione di formule di calcolo distinte con riguardo ai diversi costi del credito, secondo modalità di calcolo del T.e.g. alla stregua di criteri uniformi e predeterminati, a fini di interesse pubblico di contrasto all’usura.

Tali istruzioni hanno valore per il caso di specie, essendo stato concluso il contratto di conto corrente nel 2010.

In definitiva, pertanto, la formula da applicare è quella derivante dalle istruzioni di Banca d’Italia, che prevede la suddivisione dell’incidenza delle c.m.s. sull’anno, criterio giustificato dal fine di evitare che alcune spese, se concentrate in un solo trimestre, possano comportare un improprio innalzamento del T.e.g.m. e, quindi, del tasso soglia.

Avverso questa sentenza propongono ricorso i soccombenti, affidato ad unico motivo.

Resiste la banca intimata con controricorso, cui hanno inteso rispondere i ricorrenti con proprio ulteriore controricorso.

La controricorrente ha depositato la memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – L’unico motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 644 c.p., D.Lgs. n. 385 del 1993, artt. 4 e 5, L. n. 108 del 1996, art. 2, L. n. 2 del 2009, art. 2-bis per avere la sentenza impugnata legittimato la scelta di suddivisione dell’incidenza della c.m.s. sulla base d’anno, operata dalla Banca d’Italia, invece che secondo il rilevamento del tasso soglia ogni trimestre, come, invece, ritenuto corretto dal consulente di parte, in quanto le istruzioni di Bit non hanno nessuna efficacia precettiva nei confronti del giudice al fine dell’accertamento del T.e.g. della singola operazione.

2. – Il ricorso è inammissibile, in quanto proposto oltre il termine breve per ricorrere, attesa la notificazione della sentenza di appello a mezzo PEC in data 29 gennaio 2016 da parte del difensore della banca, all’indirizzo del procuratore all’epoca dei ricorrenti.

Il ricorso introduttivo, notificato alla banca solo il 14 giugno 2016, è dunque intempestivo, in quanto notificato oltre i sessanta giorni di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2.

Nè potrebbe la conclusione essere diversa, in virtù della circostanza – allegata dal difensore attuale dei ricorrenti nel cd. controricorso, il quale può valere quale memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. – secondo cui il difensore dell’epoca dei soggetti notificati ebbe a rispondere al collega notificante di non riuscire ad aprire gli allegati alla PEC.

Tale circostanza, infatti, non può di per sè rendere inoperante la notificazione effettuata.

Dai documenti depositati dai ricorrenti ai sensi dell’art. 372 c.p.c., produzione consentita trattandosi di elementi riguardanti l’ammissibilità del ricorso, emerge che in data 29.1.2016, ore, 18,58, il difensore ebbe a richiedere un nuovo invio in formato diverso degli allegati, affermando di non leggerli. Si aggiunge che non vi fu risposta a tale richiesta; ma non si deduce l’ulteriore, prudenziale e diligente comportamento tenuto al riguardo dall’iniziale difensore. Da tali vicende, l’ricorrenti traggono argomento per sostenere che la notifica effettuata da controparte non possa essere ritenuta valida.

La tesi non merita accoglimento.

L’esame della relazione telematica di notificazione della sentenza impugnata non rivela alcuna anomalia, mentre la mera allegazione di problemi tecnici non è idonea, di per sè, ove pure comunicata alla controparte, ad escludere gli effetti della notificazione, ove di fatto sia imputabile allo stesso difensore la mancata predisposizione di mezzi tecnici per superarli.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, che si condivide (cfr., fra le tante, Cass. 25.9.2017, n. 22320; si vedano, altresì, Cass. 20.5.2019, n. 13532; Cass. 11.2.2020, n. 3164), la notifica a mezzo PEC L. n. 53 del 1994, ex art. 3-bis di un atto del processo – formato fin dall’inizio in forma di documento informatico – ad un legale implica, purchè soddisfi e rispetti i requisiti tecnici previsti dalla normativa vigente, l’onere per il suo destinatario di dotarsi degli strumenti per decodificarla o leggerla, non potendo la funzionalità dell’attività del notificante essere rimessa alla mera discrezionalità del destinatario, salva l’allegazione e la prova del caso fortuito, come in ipotesi di malfunzionamenti del tutto incolpevoli, imprevedibili e comunque non imputabili al professionista coinvolto; peraltro, costituendo la normativa sulle notifiche telematiche la mera evoluzione della disciplina delle notificazioni tradizionali ed il suo adeguamento al mutato contesto tecnologico, l’onere in questione non può dirsi eccezionale od eccessivamente gravoso, in quanto la dotazione degli strumenti informatici integra un necessario complemento dello strumentario corrente per l’esercizio della professione.

Infatti, non rileva ai fini desiderati la mera dedotta difficoltà di scarico del relativo documento informatico, essendo invece onere del professionista destinatario della notifica munirsi dei minimali strumenti informatici richiesti dal sistema normativo, anche secondario, per leggere o decodificare le notifiche delle controparti (o le comunicazioni o notifiche della cancelleria) eseguite col sistema della posta elettronica certificata.

Dunque, in un contesto di diffusione degli strumenti informatici e delle telecomunicazioni con tali mezzi, è onere del difensore munirsi di quello che consenta di leggere correntemente il formato di un atto notificato nel rispetto di quelle regole, corrispondenti a standard tecnici minimi ed adeguatamente diffusi e pubblicizzati.

L’unica ipotesi di possibile esonero dalla piena efficacia della notificazione è nella allegazione e prova, da valutarsi con il necessario rigore, del caso fortuito, dunque non riferibile alla persona del destinatario della notificazione, come in caso di disfunzione del sistema per cause esterne.

Nella specie, non è neppure censurato che la notificazione abbia avuto luogo, ad opera della controparte, in corretta applicazione della normativa anche secondaria in tema di notifica a mezzo posta elettronica certificata da parte di avvocato.

3. – Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie al 15% sui compensi ed agli accessori di legge.

Dichiara che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2020

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