Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23971 del 24/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 25/09/2019, (ud. 02/04/2019, dep. 25/09/2019), n.23971

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30265-2017 proposto da:

C.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

MARISA CARAVETTA;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 80078750587, in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati

ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO TRIOLO, VINCENZO STUMPO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 971/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 07/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI

CAVALI ARO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 7.6.2017, la Corte d’appello di Catanzaro, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato le domande proposte da C.L. avverso il provvedimento con cui l’INPS, dopo averlo cancellato dagli elenchi dei lavoratori agricoli, gli aveva negato la corresponsione dell’indennità di disoccupazione;

che avverso tale pronuncia C.L. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura;

che l’INPS ha resistito con controricorso;

che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, il ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 116 c.p.c., per avere la Corte di merito omesso di valutare le prove testimoniali raccolte in primo grado, dalle quali a suo dire era emersa la sussistenza del rapporto di lavoro agricolo negato dall’INPS;

che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 246 e 421 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto l’inutilizzabilità delle prove orali assunte in primo grado, in considerazione dell’interesse che animava i testimoni (tutti coinvolti nel medesimo accertamento ispettivo che aveva condotto alla sua cancellazione dagli elenchi dei lavoratori agricoli), e per non aver assunto la prova testimoniale con gli altri testi indicati dalle parti; che, con il terzo motivo, il ricorrente si duole di violazione dell’art. 152 att. c.p.c., per come modificato dalla D.L. n. 98 del 2011, art. 38, (conv. con L. n. 111 del 2011), per avere la Corte territoriale posto a suo carico le spese di lite, nonostante che egli avesse depositato la rituale dichiarazione ai fini dell’esonero;

che i primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in considerazione del tenore delle censure rivolte all’impugnata sentenza, e sono entrambi inammissibili, risolvendosi pro parte nella non consentita sollecitazione a riesaminare le risultanze della prova orale assunta in primo grado e a riconsiderare il giudizio formulato dalla Corte in ordine alla (in)attendibilità dei testi escussi (cfr. Cass. n. 27278 del 2018 e Cass. nn. 395, 396 e 3572 del 2019, rese in fattispecie pressochè sovrapponibili alla presente), mentre affatto priva di specificità è la censura relativa alla violazione dell’art. 421 c.p.c., non constando nè quando si sarebbe sollecitata la Corte territoriale all’esercizio dei propri poteri ufficiosi nè quali ulteriori testi avrebbero dovuto eventualmente assumersi nè su quali circostanze significative essi avrebbero dovuto riferire (cfr. Cass. nn. 25374 del 2017, 19985 e 20693 del 2015, 17915 del 2010, 6440 del 2007);

che parimenti inammissibile è il terzo motivo, atteso che la dichiarazione resa ai fini dell’esonero delle spese non è stata trascritta nel ricorso nè si dice in quale luogo del fascicolo processuale e/o di parte essa si troverebbe, in spregio al consolidato principio secondo cui il ricorrente che denunci l’omessa o inesatta valutazione di atti o documenti prodotti in giudizio, anche ove intenda far valere un vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, è onerato, a pena di inammissibilità del ricorso, non solo della specifica indicazione del documento e della chiara indicazione del nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto, ma anche della completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti e dei documenti di cui lamenta l’omessa o inesatta valutazione (cfr. fra le tante Cass. nn. 29093 del 2018, 14107 del 2017, 19410 del 2015);

che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;

che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso;

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 2 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2019

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