Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23963 del 29/10/2020

Cassazione civile sez. II, 29/10/2020, (ud. 08/07/2020, dep. 29/10/2020), n.23963

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31618-2018 proposto da:

Q.B., rappresentato e difeso dall’Avvocato SERGIO

TREDICINE;

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI S.p.A., nuova denominazione di Fondiaria Sai

S.p.A., quale incorporante di Unipol Assicurazioni S.p.A., Compagnia

di Assicurazioni Milano S.p.A., Premafin Finanziaria S.p.A., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PIETRO DELLA VALLE 4, presso lo studio

dell’avvocato MARIO TUCCILLO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5414/2018 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata

il 01/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/07/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza in epigrafe indicata il Tribunale di Napoli, decidendo in grado di appello, in riforma della sentenza del locale Giudice di Pace, dichiarò improponibile la domanda del perito assicurativo Q.B. nei confronti della compagnia Fondiaria Sai Assicurazioni (oggi UnipolSAI Assicurazioni spa), per ottenere il pagamento del compenso relativo a un incarico esperito per conto della società.

Per quanto ancora interessa, il Tribunale, disattesa la doglianza sulla mancata riunione dei numerosi giudizi instaurati dall’attore, ha ravvisato, sulla scorta della giurisprudenza di legittimità anche a sezioni unite, un abusivo frazionamento del credito, posto che gli incarichi professionali, seppur diversi (in quanto riguardanti ciascuno un distinto sinistro), erano tutti riconducibili ad un unico rapporto contrattuale d’opera esistente tra la compagnia di assicurazioni e il Q.. Secondo il Tribunale, proprio la circostanza che il Q. si adeguava alle modalità previste per il pagamento delle spettanze attraverso un particolare sistema informatico, che accettava le parcelle solo se conformi ai criteri amministrativi elaborati, portava ad escludere che tra le parti venisse concluso di volta in volta un contratto autonomo. Inoltre, rileva il Tribunale che non risultava dimostrata l’esistenza di alcun interesse meritevole di tutela alla base della operata parcellizzazione.

Il Q. ricorre per cassazione sulla base di otto motivi.

Resiste con controricorso la società UnipoISAI Assicurazioni spa. Non risultano essere state depositate memorie per l’odierna adunanza camerale.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Prima di procedere al vaglio del ricorso in via di preliminarietà deve disattendersi l’istanza di rimessione alle Sezioni Unite, non emergendo la necessità di risolvere contrasto tra diverse sezioni della Corte, nè si configurandosi questioni di massima di particolare importanza. Vai la pena soggiungere che per quanto concerne le sentenze di questa Sezione n. 18808/2016, n. 18809/2016 e n. 18810/2016, invocate dal ricorrente, le stesse risultano superate dalla giurisprudenza di questa stessa Sezione successiva alla sentenza SSUU n. 4090/2017 (cfr., ex multis, sentt. nn. 3738/2018, 1356/2018, 1351/2018, 1355/2018, 1354/2018, 1353/2018, 1352/2018, 717/2018, 491/2018, 490/2018, 489/2018, 163/2018, 162/2018, 161/2018, 160/2018, 159/2018, 158/2018, 31167/2017, 31166/2017, 31165/2017, 31164/2017, 31163/2017, 31162/2017, 31161/2017, 31017/2017, 31016/2017, 31015/2017, 31014/2017, 31013/2017, 31012/2017, 31011/2017 e, da ultimo, 1664/2019, 8062/2019, 4315/2020, 11838/2020,nonchè S.U.n. 4315, 20/2/2020).

2. Con il primo motivo il ricorrente deduce l’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 339 c.p.c., in quanto il petitum di condanna, inferiore a Euro 1.100,00, imponeva il giudizio d’equità necessaria davanti al giudice di pace, con la conseguenza che la sentenza di quest’ultimo sarebbe stata appellabile “esclusivamente per violazione di norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie, ovvero dei principi regolatori della materia”.

2.1. La censura non supera il vaglio d’ammissibilità.

In primo luogo devesi rilevarsi il difetto di specificità della doglianza, avendo il ricorrente omesso di riprodurre i motivi d’appello, di talchè questa Corte non è in condizione di accertare il fondamento dell’assunto, non giustificando la natura processuale della dedotta questione un’impropria attività istruttoria in questa sede (cfr. S.U. n. 8077/2012).

Inoltre, si trae dalla sentenza del Tribunale che l’appellante lamentando la mancata riunione e l’ingiusto frazionamento del debito denunziò la violazione di norme poste a regolamento del procedimento, il che rendeva ammissibile lo strumento impugnatorio, trattandosi di questione processuale, peraltro risolventesi nell’apprezzamento del giusto processo.

3. Con il secondo motivo il Q. deduce preclusione da giudicato esterno, derivante dalla sentenza n. 19575/2016 del Giudice di pace di Napoli, che sarebbe divenuta irrevocabile il 10/6/2018 e con il settimo, preclusione da giudicato implicito, derivante dalle sentenze nn. 18808/2016, 18809/2016 e 18810/2016 di questa Corte.

3.1. Entrambe le doglianze, unitariamente scrutinate, sono inammissibili.

Deve precisarsi che l’affermazione, posta nel titolo del sesto motivo e tuttavia non sviluppata, secondo la quale le tre pronunce di questa Corte avrebbero costituito giudicato implicito non è in alcun modo scrutinabile per difetto di specificità, non essendo stato spiegato per quale ragione quelle decisioni avrebbero assunto il valore di giudicato esterno.

Deve poi osservarsi che il giudicato giammai sarebbe potuto derivare dalle predette statuizioni di legittimità, le quali si limitarono ad annullare con rinvio la sentenza di merito impugnata.

Inoltre, con la sentenza n. 4315, 20/2/2020 le Sezioni unite (che costituisce l’ultimo giudicato) hanno espressamente escluso (p. 1.5.) la sussistenza di un “giudicato implicito – in ordine alla qualificazione e al carattere dell’intero rapporto giuridico instauratosi tra il Q. e la UnipolSai – scaturente dalle sentenze di questa Corte nn. 18808/2016, 18809/2016 e 18810/2016, trattandosi di pronunce che si sono limitate a escludere che i crediti azionati in quei tre singoli giudizi fossero assimilabili agli altri oggetto delle distinte azioni promosse dal Q. nei confronti della convenuta per diverse obbligazioni contrattuali, ma che nulla hanno statuito in ordine ai caratteri di tali diversi rapporti obbligatori”.

Ovviamente, la statuizione a sezioni unite, sopra richiamata, conforme alla vasta pluralità di decisioni di legittimità solo in parte prima richiamate (p. 1), di cui molte successive al passaggio in giudicato della sentenza del Giudice di pace evocata (ex multis, n. 1664 del 22/1/2019, n. 8062 del 21/3/2019, n. 4315 del 20/2/2020), hanno determinato il passaggio in giudicato della sentenza d’appello, che aveva ravvisato l’abusivo frazionamento, cosicchè, ogni eventuale contrasto fra giudicati non può che risolversi in favore di quello intervenuto per ultimo (cfr., ex multis, Cass. n. 13804/2018 e n. 28506/2018).

Osserva, di poi, il Collegio che la sentenza invocata come giudicato, suscettibile di incidere anche sulla decisione del presente ricorso è una sentenza del giudice di pace di Napoli n. 19575/2016 che lo stesso ricorrente riferisce essere stata pubblicata in data 9 giugno 2016, sostenendo tuttavia che sarebbe passata in cosa giudicata solo in data 10 giugno 2018, e cioè successivamente alla pronuncia di appello in questa sede gravata.

Trattasi però di affermazione evidentemente e consapevolmente erronea (il che rileva anche ai fini dell’applicazione della responsabilità ex art. 96 c.p.c.) che è riferibile alla diversa data dell’attestazione di cancelleria relativa alla mancata proposizione di impugnazione avverso tale sentenza, ma che non coincide invece con la data del passaggio in giudicato.

Infatti, atteso che la richiamata pronuncia del giudice di pace è intervenuta su domanda introdotta nel luglio del 2014, nella vicenda trova applicazione il termine di sei mesi di cui all’art. 327 c.p.c. quale scaturente dalla riforma della L. n. 69 del 2009, così che, avuto riguardo alla data di pubblicazione, la sentenza è passata in giudicato già nel gennaio del 2017, e quindi ben prima della pronuncia in questa sede gravata, resa dal Tribunale di Napoli il 26/2/2018.

Ciò comporta che debba farsi applicazione del principio (Cass. n. 1534/2018) secondo cui nel giudizio di cassazione, il giudicato esterno è, al pari del giudicato interno, rilevabile d’ufficio anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla sentenza impugnata, e che in tal ultima ipotesi, infatti, la produzione del documento che lo attesta non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372 c.p.c., che invece opera per i documenti formatisi già nel corso del giudizio di merito, come appunto nel caso in cui sia invocata l’efficacia di giudicato di una pronuncia anteriore a quella impugnata, e che non sia stata prodotta nei precedenti gradi del processo (conf. Cass. n. 28247/2013; Cass. S.U. n. 13916/2006).

Attesa la possibilità di dedurre l’efficacia di tale sentenza già dinanzi al giudice di merito, la sua produzione in questa sede è preclusa, non rientrando tra i documenti di cui è consentito il deposito ex art. 372 c.p.c., determinandosi quindi l’inammissibilità del motivo stesso.

Peraltro, il motivo risulta altresì inammissibile per difetto di specificità, in quanto la sentenza di cui si invoca l’efficacia di giudicato viene richiamata solo sommariamente, senza una precisa indicazione del suo contenuto e della vicenda sulla quale è intervenuta, il che impedisce di poter anche affermare la sua eventuale portata preclusiva rispetto alla questione in questa sede dibattuta.

4. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 274 c.p.c., per avere il Giudice dell’appello ricusato di riunire il processo agli altri pendenti fra le medesime parti, facendo applicazione di un’affermazione di principio oramai superata dalla più recente giurisprudenza di legittimità.

4.1. La censura è inammissibile per più ragioni, ognuna delle quali idonea a sostenere l’assunto:

a) della mancata riunione, con l’atto d’appello, siccome riporta il Tribunale, si è doluta solo l’appellante UnipolSai, di conseguenza, la lagnanza dell’odierno ricorrente non è scrutinabile in quanto nuova;

b) il ricorrente difetta d’interesse, non avendo individuato in cosa sia consistito il pregiudizio che gli sarebbe derivato dalla scelta del Tribunale di non far luogo alla invocata riunione;

c) per consolidata interpretazione, in presenza di una pluralità di sentenze, pur concernenti le medesime parti, l’eventuale riunione è rimessa alla valutazione insindacabile del giudice (cfr., ex multis, da ultimo, Sez. 5, n. 27550/2018; S.U. n. 1521/2013; S.U. n. 18050/2010, Sez. 2, n. 16405/2008).

5. Con il quarto e l’ottavo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. e art. 111 Cost., nonchè la erronea interpretazione dei principi nomofilattici enunciati con le pronunce n. 18808/2016, 18809/2016, 18810/2016, n. 23726 del 15.11.2007, n. 5491/2015 e n. 4090 del 13.2.2017.

Il Q. analizzando le decisioni di cui detto, osserva che il frazionamento abusivo (e la conseguente violazione del principio di buona fede, correttezza e giusto processo) ricorre solo in presenza di un unico rapporto obbligatorio, di un’unica causa petendi, ipotesi non ravvisabile nel caso in esame in cui si discute di una attività di perito assicurativo svolta in favore della Fondiaria SAI spa attraverso singoli incarichi ricevuti. Ritiene irrilevante l’invio delle parcelle in conformità dello schema predisposto dalla società assicuratrice, rispondendo tale modalità solo ad una necessità organizzativa interna della convenuta. Ribadisce la sussistenza di distinti contratti d’opera professionale e quindi la possibilità di instaurare tanti giudizi quanti sono i sinistri nei quali egli aveva eseguito le perizie.

Individua l’interesse nella necessità di scongiurare un processo cumulativo elefantiaco, difficile da gestire e assai lungo, nonchè nell’esigenza di cosentine il vaglio delle singole pretese in quanto tali, “senza essere costretto ad interrompere, di volta in volta, i termini prescrizionali”. Infine, asserisce che la scelta della parcellizzazione fu del Giudice di pace coordinatore, il quale ebbe ad assegnare venti cause a ciascun giudice.

5.1. La critica è, nel suo complesso, inammissibile.

Il ricorrente non si cura di chiarire come l’inquadramento, dal medesimo proposto, dell’attività di perito assicurativo all’interno dell’attività d’impresa avrebbe potuto mutare le sorti della decisione; nè consta l’emersione di specifica attinenza con il decisum.

Partendo dalla ricostruzione del rapporto operata dal Tribunale deve ritenersi che, benchè alla base delle varie obbligazioni vi sia un unico rapporto di durata pluriennale (per usare la stessa espressione del ricorrente), non può da ciò farsi discendere un’unica prestazione professionale e, correlativamente, un’unica obbligazione di pagamento, essendosi invece in presenza di una pluralità di prestazioni, aventi peraltro il medesimo contenuto ed i medesimi caratteri. Risulta accertato infatti che il singolo incarico indicava gli elementi identificativi della stima da effettuare e la remunerazione del perito era collegata unicamente al numero dei sinistri periziati, con accettazione delle parcelle mediante il sistema informatico della compagnia.

Su tali basi, deve ritenersi che i distinti crediti maturati dal Q. siano inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo e fondati su un medesimo rapporto di durata.

Ebbene, le Sezioni unite di questa Corte, intervenute di recente sul tema della possibilità di frazionamento giudiziale del credito, hanno affermato che le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benchè relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, – sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale – le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, e, laddove ne manchi la corrispondente deduzione, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ex art. 183 c.p.c., riservando, se del caso, la decisione con termine alle parti per il deposito di memorie ex art. 101 c.p.c., comma 2 (Sez. U, Sentenza n. 4090 del 16/02/2017 Rv. 643111).

Sulla scorta di tale principio e venendo al caso di specie, occorre pertanto verificare se la mancanza di un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata (riscontrata dal primo giudice e posta a base della pronuncia di improponibilità) abbia formato oggetto di precedente deduzione nel giudizio di merito: la risposta non può che essere positiva in considerazione della linea difensiva adottata dalla società convenuta improntata principalmente sulla improponibilità della domanda per abusivo frazionamento del credito, concetto che, come è evidente, presuppone logicamente proprio la contestazione dell’esistenza di un interesse meritevole di tutela a tale modalità di esercizio del diritto di azione, anche in relazione al principio di proporzionalità nell’uso della giurisdizione (Cass. 21 dicembre 2016 n. 26464).

Sul tema dell’interesse concreto alla proposizione di separati giudizi – fondamentale per la soluzione della questione di diritto che la Corte deve oggi risolvere – il ricorrente si limita ad un generico richiamo al rischio di prescrizione, ma non allega alcun concreto elemento a sostegno della sua affermazione (decorrenza del termine e sua scadenza), nè deduce l’esistenza di elementi di fatto idonei a diversificare le prestazioni di volta in volta eseguite e tali da giustificare una trattazione separata delle sue pretese creditorie. Di conseguenza, il fugace accenno al rischio prescrizione si rivela privo di consistenza ai fini che qui interessano, anche perchè sarebbe stato sufficiente l’invio di un mero atto di costituzione in mora per interrompere il decorso del termine (art. 2943 c.c., u.c.). Non meno consistenti, perchè sommari e aspecifici, devono ritenersi le altre addotte ragioni: non sono conoscibili in questa sede i concreti riferimenti che attengono ad altri motivi di opportunità e ancor meno apprezzabile (ma ancor prima riscontrabile) appare la ricostruzione che tende ad attribuire al Giudice di primo grado la “colpa” per non avere riunito i numerosi processi incardinati per libera scelta del Q..

L’intervento chiarificatore delle Sezioni unite costituisce elemento sufficiente a giustificare la diversa soluzione qui adottata rispetto a quella cui è pervenuta, tra le stesse parti, la sentenza di questa Corte n. 18810 del 2016, resa in fattispecie in cui il mancato svolgimento di attività difensiva da parte della odierna resistente non aveva consentito, al contrario di quanto avvenuto nel presente giudizio, di identificare la riconducibilità delle diverse controversie, separatamente instaurate dall’odierno ricorrente, al medesimo ambito oggettivo, e dunque, in buona sostanza, in assenza di un apprezzabile interesse al frazionamento, l’esistenza di una pratica abusiva, in ordine alla quale il giudice di rinvio di quel giudizio dovrà svolgere le proprie valutazioni.

Vale, infine, la pena soggiungere che non è ipotizzabile alcun vulnus difensivo, avendo la Compagnia assicuratrice espressamente posto la questione dell’abusivo frazionamento del credito, così assicurando pienezza del contraddittorio sul punto.

6. Con il quinto motivo si denunzia la violazione della L. 4 dicembre 2017, n. 172, art. 19 quaterdecies, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la predetta legge imponeva a pena di nullità, e qualificando vessatorie le eventuali contrastanti disposizioni contrattuali, compensi professionali proporzionali alla quantità e qualità del lavoro prestato e tali non potevano considerarsi quelli pattuiti in Euro 40,00.

6.1. La censura è inammissibile per una convergente pluralità di ragioni, ognuna delle quali idonea a sorreggere l’assunto.

La doglianza afferisce a una questione del tutto nuovo, che non consta essere stata sottoposta al giudice del merito.

Viene evocata normativa sopravvenuta, della cui prospettata violazione non si è in grado di conoscere, attenendo essa alla vicenda di merito.

Con la stessa il ricorrente non si fa carico di contrapporre al ragionamento della sentenza d’appello un’alternativa ricostruzione giuridica, così finendo per dolersi del mancato auspicato risultato senza peritarsi di contestare il percorso giuridico attraverso il quale la sentenza avversata gli ha dato torto. A tutto concedere, perciò, la censura è inammissibile in quanto non attinge in alcun modo la principale ratio decidendi della sentenza, con la quale si è affermato che la domanda non era, in ogni caso, proponibile a cagione del doloso frazionamento del credito che aveva alla base.

7. Con il sesto motivo il ricorrente deduce omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la Corte d’appello affermato, in contrasto con la contestazione dell’appellato, che costui aveva accettato compensi nella misura fissa di Euro 40,00, compensi che, invece, erano variabili, siccome constava dal documento prodotto solo in questa sede, sull’asserto dell’essere stato solo tardivamente rinvenuto.

7.1. La doglianza è inammissibile non attingendo la ratio decidendi. In disparte, è appena il caso di soggiungere, che il documento sul quale il motivo si fonda non può essere ammesso, non versandosi in alcuna delle ipotesi tassativamente previste dall’art. 372 c.p.c.

8. Siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”.

9. Le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate.

10. Il ricorrente, nonostante questa Corte abbia disatteso le sue tesi impugnatorie, numerose volte riproposte, non ha reputato di rinunziare al presente ricorso, fondato anche su evidenze processuali sconfessate documentalmente, senza nulla di nuovo opporre alle Sezioni Unite. Nel resto, il Collegio condivide il giudizio di responsabilità aggravata espresso dalle Sezioni unite con la citata sentenza n. 4315/2020, nei confronti dello stesso ricorrente, avuto riguardo alla medesima vicenda: “la palese inammissibilità e la manifesta infondatezza dei motivi, il Collegio ritiene che la condotta processuale del ricorrente sia connotata da colpa grave, tale da integrare un “abuso del processo” (secondo la nozione enucleata da Cass., Sez. Un., n. 22405 del 13/09/2018; v. anche Cass., Sez. 1, n. 29462 del 15/11/2018; Cass., Sez. 3, n. 10327 del 30/04/2018; Cass., Sez. 3, n. 19285 del 29/09/2016), per il quale va comminata la sanzione prevista dall’art. 96 c.p.c., u.c., applicabile ratione temporis, mediante la condanna del Q. al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della controricorrente”.

11. Quanto all’eventuale revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato occorre rilevare che la citata sentenza delle Sezioni unite, dopo avere affermato la natura tributaria del debito gravante sulla parte in ordine al pagamento del cd. doppio contributo, ha, altresì chiarito che la competenza a provvedere sulla revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in relazione al giudizio di cassazione spetta al giudice del rinvio ovvero per le ipotesi di definizione del giudizio diverse dalla cassazione con rinvio (come in questo caso) – al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato; quest’ultimo, ricevuta copia della sentenza della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 388 c.p.c., è tenuto a valutare la sussistenza delle condizioni previste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136 per la revoca dell’ammissione (S.U. n. 4315, 20/2/2020).

12. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

P.Q.M.

dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge; condanna, altresì il predetto ricorrente al pagamento dell’ulteriore somma di Euro 1.000,00, sempre in favore della resistente, ex art. 96 c.p.c., comma 3.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2020

 

 

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