Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23963 del 12/10/2017
Cassazione civile, sez. III, 12/10/2017, (ud. 06/07/2017, dep.12/10/2017), n. 23963
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –
Dott. SPAZIANI Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 21351-2014 proposto da:
B.L., in proprio e quale titolare dell’omonima ditta di
autotrasporti, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 43, presso
lo studio dell’avvocato FRANCESCO CRISTIANI, rappresentato e difeso
dall’avvocato ALFONSO GUARAGNA giusta procura speciale in calce al
ricorso;
– ricorrente –
contro
A.S., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA
DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato
ANDREA VIANELLO giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1643/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,
depositata il 07/05/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
06/07/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto;
udito l’Avvocato ANDREA DEL VECCHIO per delega;
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. Nel marzo 2010 A.S. convenne in giudizio B.L., in proprio e quale titolare dell’omonima ditta di autotrasporti corrente in (OMISSIS) per sentirlo condannare al risarcimento dei danni non patrimoniali conseguenti alla perdita del marito B.A., collaboratore familiare dell’impresa di autotrasporti di titolarità del padre L., a seguito di infortunio sul lavoro occorsogli in data (OMISSIS).
Il B., costituitosi, chiese il rigetto della domanda.
Il Tribunale di Lodi con la sentenza numero 299/2013 ritenne dovuto il risarcimento del danno non patrimoniale, per la perdita del rapporto con il coniuge, spettante alla A. che determinò in Euro 160.000,00. Il giudice di prime cure aveva reputato congruo determinare il risarcimento del danno non patrimoniale in misura prossima ai minimi fissati dalle note tabelle milanesi, tenuto conto delle circostanze quali la breve durata del matrimonio (meno di due anni), l’età della giovane vedova (27 anni) che l’aveva favorita nel tentativo di riorganizzare la propria vita dopo il tragico evento. Ma ritenne poi di rigettare la domanda della A. di risarcimento del danno avanzata nei confronti del B. in considerazione del fatto che la somma liquidata a titolo di risarcimento del danno parentale era contenuta nella somma che le era stata erogata dannai). il cui valore capitale eccedeva la misura del risarcimento spettante (Euro 208.593,56 circa al marzo 2011) oltre ai ratei di rendita (per la somma di Euro 53.683,69) corrisposti nel periodo dal 2004 al febbraio 2011.
2. In accoglimento dell’appello principale proposto dalla signora A. la decisione è stata parzialmente riformata dalla Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 1643 del 7 maggio 2014 che ha condannato B.L. a pagare all’appellante la somma di Euro 170.000 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale. Ha ritenuto il giudice del merito che il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, a differenza del danno biologico strettamente inteso come compromissione dell’integrità psico-fisica del lavoratore infortunato non trova alcun ristoro nella rendita erogata danna al parente o al coniuge superstite e deve, pertanto, essere interamente ed autonomamente risarcito attraverso gli istituti della responsabilità civile.
3. Avverso tale pronunzia B.L. propone ricorso per cassazione sulla base di 2 motivi, illustrati da memoria.
3.1 Resiste con controricorso A.S..
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la “nullità dell’impugnata sentenza, art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., comma 1. Difetto di pronuncia su punti decisivi della controversia prospettate dalle parti e/o rilevabili di ufficio sotto il profilo dell’omesso rilievo di inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio di secondo grado per carenza dei requisiti tassativamente prescritti dal codice del rito.
Lamenta che la Corte d’Appello non abbia dichiarato l’inammissibilità dell’atto di appello nonostante la mancanza dei canoni imposti dall’art. 342 c.p.c..
4.2. Con il secondo motivo, denuncia la “violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, sotto il profilo della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13degli artt. 2043 e ss. c.c. e dell’art. 2059 c.c.
Omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio”.
Il ricorrente sostiene che la Corte d’Appello del tutto immotivatamente e con una pronuncia acritica e priva di supporto logico-giuridico ha ritenuto che il c.d. risarcimento da lesione del danno parentale, a differenza del danno biologico strettamente inteso come compromissione dell’integrità psico-fisica del lavoratore infortunato, non trova alcun ristoro nella rendita erogata dall’Inail al coniuge superstite e deve essere autonomamente risarcito.
I due motivi sono inammissibili.
A parte che il ricorrente con i due motivi richiede una nuova rivalutazione di merito della vicenda preclusa al giudice di legittimità (Cass. 7921/2011), ma in ogni caso si osserva per quanto riguarda il primo motivo che è anche inammissibile ai sensi del 366 c.p.c., n. 6 perchè non riporta i brani dell’atto di appello che il giudice avrebbe dovuto ritenere inammissibile per violazione dei criteri imposti dall’art. 342 c.p.c.
Per quanto riguarda, invece, il secondo motivo, occorre considerare che la rendita ai superstiti erogata dall’INAIL, anche successivamente alle modifiche introdotte con il D.Lgs. n. 38 del 2000, costituisce una prestazione autonoma all’interno del sistema assicurativo obbligatorio, sicchè va considerata fuori dall’ambito di applicabilità dell’art. 13 medesimo D.Lgs. che ha esteso la copertura assicurativa alla componente di danno biologico; la posizione specifica e differenziata dei superstiti, rafforzata dal D.Lgs. predetto, art. 73 e dalla L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 130, rende conforme al canone di razionalità di cui all’art. 3 Cost. la scelta del legislatore di attrarre il danno biologico all’interno dell’oggetto dell’assicurazione con riferimento alla prestazione del solo assicurato, lasciando all’area esterna del diritto civile la tutela dei diritti risarcitori degli eredi (Cass. 6306/2017).
Pertanto, come nel caso di specie, il fatto illecito, costituito dalle gravissime lesioni patite dal congiunto, dà luogo ad un danno non patrimoniale presunto, consistente nella conseguenze pregiudizievoli sul rapporto parentale, allorchè colpisce soggetti legati da uno stretto vincolo di parentela, restando irrilevante, per l’operare di detta presunzione, la sussistenza di una convivenza tra gli stretti congiunti e la vittima del sinistro (Cass. 12146/2016).
La Corte territoriale, in realtà, senza addivenire ad un riconoscimento in re ipsa del danno non patrimoniale ai congiunti della vittima del sinistro, ha fatto applicazione del principio – enunciato da questa Corte con la sentenza n. 4253 del 16 marzo 2012 – secondo cui “il fatto illecito, costituito dalla uccisione del congiunto, dà luogo ad un danno non patrimoniale presunto, consistente nella perdita del rapporto parentale, allorchè colpisce soggetti legati da uno stretto vincolo di parentela, la cui estinzione lede il diritto all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che caratterizza la vita familiare nucleare”. Sicchè, non essendo contestato lo “stretto vincolo di parentela” (trattandosi del coniuge della vittima) ed essendo provate le gravissime conseguenze pregiudizievoli patite dal congiunto a seguito del sinistro, cadono le doglianze del ricorrente. Come appunto è stato ritenuto nel caso di specie.
5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
PQM
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.200,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 luglio 2017.
Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2017