Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23958 del 15/11/2011
Cassazione civile sez. VI, 15/11/2011, (ud. 13/07/2011, dep. 15/11/2011), n.23958
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –
Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –
Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –
Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –
Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
D.S.M.C. (OMISSIS), elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio
dell’avvocato SCAPPATICCI MARIA LUCIA, rappresentata e difesa
dall’avvocato SABATINI DOMENICO, giusta procura a margine del
ricorso;
– ricorrente –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS) in
persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso
l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli
avvocati RICCIO ALESSANDRO, MAURO RICCI, ANTONELLA PATTERI, giusta
procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 822/2009 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA del
26.11.09, depositata il 15/01/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
13/07/2011 dal Consigliere Relatore Dott. PIETRO CURZIO;
udito per il controricorrente l’Avvocato Mauro Ricci che si riporta
agli scritti;
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. FINOCCHI
GHERSI Renato che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.
Fatto
FATTO E DIRITTO
D.S.M.C. chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila, pubblicata il 15 gennaio 2010, che accogliendo l’appello dell’INPS, ha rigettato l’opposizione al decreto ingiuntivo con il quale il Tribunale di Avezzano aveva condannato la ricorrente a restituire all’INPS somme percepite indebitamente.
L’INPS ha depositato controricorso ed il suo difensore ha discusso la controversia. Il PG ha chiesto il rigetto del ricorso. Il ricorso deve essere rigettato.
Le somme in questione erano ratei di pensione di reversibilità per il primo coniuge della ricorrente, percepiti, per il periodo dal 1 giugno 1983 al 31 luglio 1991, dalla D.S., in costanza di un secondo matrimonio contratto il 22 maggio 1983. Il ricorso consta di un unico, indistinto, motivo, con il quale si denunzia che “il giudice d’appello ha violato alcune norme di legge nello stabilire che debbano essere restituiti i ratei pensionistici che si presumono essere stati riscossi indebitamente negli anni 1996-1997”. In particolare sarebbe stato violato “la L. n. 88 del 1989, art. 52 e leggi successive e le sentenze della Corte di cassazione 4805/1989 ecc”. La norma invocata è la seguente: “Le pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, delle gestioni obbligatorie sostitutive o, comunque, integrative della medesima, della gestione speciale minatori, delle gestioni speciali per i commercianti, gli artigiani, i coltivatori diretti, mezzadri e coloni nonchè la pensione sociale, di cui alla L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 26 possono essere in ogni momento rettificate dagli enti o fondi erogatori, in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione della prestazione.
Nel caso in cui, in conseguenza del provvedimento modificato, siano state riscosse rate di pensione risultanti non dovute, non si fa luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che l’indebita percezione sia dovuta a dolo dell’interessato…”. La norma concerne i casi di errore da parte dell’ente erogatore ed esclude le situazioni di indebita percezione da parte dell’interessato dovuta a dolo”. Rimangono sicuramente fuori i casi, come quello in questione, in cui la Corte di merito, con ragionamento articolato e privo di vizi logici, ha spiegato perchè la percezione della pensione del primo coniuge sia avvenuta con consapevolezza del suo carattere indebito (fra l’altro, la Corte sottolinea come nella dichiarazione sottoscritta il 27 settembre 1996, a circa tredici anni dal nuovo matrimonio, la ricorrente abbia depennato la parte relativa alla contrazione di un nuovo matrimonio).
Il ricorso della D.S., pertanto, deve essere rigettato, con condanna alle spese in quanto non si è in presenza di un giudizio per ottenere una prestazione previdenziale; si è quindi fuori dal campo di applicazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c. e valgono le regole generali dettate dall’art. 91 c.p.c..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione all’INPS delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 2.040,00 Euro di cui 2.000,00 Euro per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.
Così deciso in Roma, il 13 luglio 2011.
Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2011