Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23957 del 24/11/2016


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Cassazione civile sez. trib., 24/11/2016, (ud. 16/10/2015, dep. 24/11/2016), n.23957

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5267-2010 proposto da:

PM EUROPE SPA ora IPERCLUB SPA in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA P.L. DA

PALESTRINA 63, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA CONTALDI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato VALERIO FICARI

giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 35/2009 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 03/02/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/10/2015 dal Consigliere Dott. GRECO ANTONIO;

udito per il ricorrente l’Avvocato FICARI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’avvocato CASELLI che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO PAOLA che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La spa IPERCLUB, già PM EUROPE, esercente attività turistico alberghiera, propone ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio che, rigettandone l’appello, ha confermato la legittimità del diniego di rimborso di quanto versato, secondo la contribuente indebitamente, a seguito del mancato riconoscimento della piena fruizione, per l’anno 2003, del credito d’imposta per gli investimenti nelle aree svantaggiate, come maturato sulla base dell’originaria previsione della L. n. 388 del 2000, art. 8, – laddove l’ufficio aveva fatto applicazione di quanto disposto dalla successiva L. n. 289 del 2002, all’art. 62, comma 1, lett. a), e del correlato D.M. attuazione 6 agosto 2006, che avevano previsto la sospensione dell’utilizzazione del detto credito d’imposta per i primi mesi del 2003, e quindi una sua utilizzazione limitata al 49% per il 2003 ed al 6% per gli anni successivi.

Il giudice d’appello ha, in particolare, affermato che il legislatore può emanare norme con efficacia retroattiva, purchè, come nella specie, questa trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti, ed ha escluso che la normativa nuova si ponesse in contrasto con l’art. 3 dello statuto del contribuente.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso la contribuente lamenta la “falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 62, nella parte in cui la CTR Lazio non ne ha colto l’efficacia modificativa in peius della misura dell’agevolazione originariamente stabilità dalla L. n. 388 del 2000, art. 8 (art. 360 c.p.c., n. 3)”.

Con il secondo motivo la ricorrente si duole della “violazione dell’art. 11 disp. prel. c.c. e della L. n. 212 del 2000, art. 3, (cd. Statuto del contribuente), che pongono il divieto di applicazione retroattiva della norma tributaria che modifichi in peius un precedente regime fiscale nella parte in cui la CTR Lazio ha applicato le modifiche apportate dalla L. n. 289 del 2002, art. 62, a fattispecie perfezionatesi prima dell’entrata in vigore delle modifiche, violando, altresì, l’affidamento sulla stabilità della disciplina derivante dall’assenza di cause che potessero giustificare una deroga al divieto di retroattività, dalla natura programmatica della L. n. 388 del 2000 il cui art. 8 è stato attuato dalla L. n. 289 del 2002, art. 62, modificato retroattivamente e dai vincoli derivanti dal diritto comunitario (art. 360 c.p.c., n. 3)”.

I motivi sono inammissibili perchè del tutto privi dei quesiti di diritto prescritti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 bis c.p.c..

Quanto alla questione di legittimità costituzionale adombrata nel secondo motivo, il Collegio osserva che con riguardo al “ricorso per cassazione, la prospettazione di una questione di costituzionalità, essendo funzionale alla cassazione della sentenza impugnata e postulando la prospettazione di un motivo che giustificherebbe tale effetto una volta accolta la questione medesima, suppone necessariamente che, a conclusione dell’esposizione del motivo così finalizzato, sia indicato il corrispondente quesito di diritto previsto dall’abrogato art. 366 – bis c.p.c., (ove applicabile “ratione temporis”), indipendentemente dalla rilevabilità d’ufficio della questione di costituzionalità e dall’ammissibilità del ricorso che prospetti soltanto un dubbio di costituzionalità” (Cass., sez. un. 24 gennaio 2013, n. 1707).

Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 6.000 per compensi di avvocato, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2015.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2016

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