Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23956 del 22/10/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 23956 Anno 2013
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: FALASCHI MILENA

SENTENZA

Procedimento —
Appello —
Eccezioni nuove

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 11782/10) proposto da:
LORENZO MARIA ASSUNTA, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a margine del
ricorso, dall’Avv.to Salvatore Armenio del foro di Milano e domiciliata presso la cancelleria della
Corte di Cassazione;
– ricorrente contro
MOLTENI NICOLETTA, MOLTENI LAURETTA, CANCELLIERI TATIANA e CANCELLIERI
SONIA, rappresentate e difese dall’Avv.to Angelo Quieti del foro di Milano e dall’Avv.to Ezio
Spaziani Testa del foro di Roma, in virtù di procura speciale apposta a margine del controricorso,
ed elettivamente domiciliate presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale Mazzini n. 146;
– controricorrenti —

Data pubblicazione: 22/10/2013

e contro
MOLTENI MARIA LUISA, rappresentata e difesa dall’Avv.to Gianluigi lannacchino del foro di
Milano e dall’Avv.to Mario Peron*del foro di Roma, in virtù di procura speciale apposta a margine
del controricorso, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via

– controricorrente —
e contro
CANZI ANNAMARIA, in proprio, LUCINI PIERINO, in proprio, FERRARIO GIANCARLO, CARLA,
GIOVANNA, ALDO e ADELIO, nella qualità di eredi di Ornella Ferrario, FERRARIO ALDO,
ADELIO, ALBERTO e COLOMBO ROBERTO, nella qualità di eredi di Scaramuzza Vittorio,
elettivamenti domiciliati in appello presso lo studio degli Avv.ti Ottavio Beretta e Maurizio Meda;
– intimati avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 116 depositata il 28 gennaio 2010 e
notificata il 18 febbraio 2010.
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 6 giugno 2013 dal
Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;
udito l’Avv.to Ezio Spaziani Testa, per alcune parti resistenti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Carmelo
Sgroi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 2 dicembre 2003 Giuseppe COLZANI, Vittorio SCARAMUZZA,
Ornella FERRARI°, Sonia e Tatiana CANCELLIERI, Maria Luisa e Nicoletta MOLTENI, Pierino
LUCINI e Annamaria CANZI evocavano, dinanzi al Tribunale di Milano, Maria Assunta LORENZO
esponendo che con contratto preliminare del 7.10.2002 avevano promesso di vendere alla

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Monte Zebio n. 7;

convenuta alcune unità immobiliari site nel Comune di Rho, località Passirana, via Trento nn. 3739, distinte in catasto, quanto al terreno, ai mappali 188, foglio 2 e quanto al fabbricato, al
mappale 548 sub 1 e 2, foglio 3, pattuendo il prezzo in €. 661.005,00 da corrispondersi quanto ad
€. 150.000,00 alla data di sottoscrizione della scrittura privata ed il saldo alla stipula del rogito, da

promissaria acquirente sarebbe stata dovuta, a titolo di risarcimento dei danni, una somma pari al
10% del prezzo pattuito; aggiungevano che alla data fissata per la stipula del contratto definitivo
la LORENZO non si rendeva disponibile agli adempimenti di sua competenza e, da ultimo, non
compariva avanti al notaio alla data fissata del 21.10.2003 per il rogito; tanto premesso,
chiedevano dichiararsi la risoluzione del contratto per fatto e colpa della promissaria acquirente,
oltre alla condanna della stessa al pagamento dell’importo di €. 66.106,00, pari al 10% del prezzo
pattuito, oltre ad interessi.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza della LORENZO, la quale eccepiva l’inadempimento
dei promittenti venditori, interrotto il giudizio per il decesso di Ferrario Ornella e di Scaramazza
Vittorio, che veniva riassunto nei confronti degli eredi degli stessi, il Tribunale adito dichiarava la
risoluzione del preliminare per inadempimento della convenuta e la condannava al pagamento di
€. 66.106,00, oltre ad ordinarle il rilascio del compendio immobiliare entro il 30.6.2008.
In virtù di rituale appello interposto dalla LORENZO, con il quale lamentava che il giudice di prime
cure avesse omesso di pronunciarsi in ordine ai pesi gravanti sull’immobile, ritenendola tardiva,
oltre a non considerare le sue gravi condizioni di salute che le avevano impedito di presenziare
alla sottoscrizione del definitivo avanti al notaio, condannandola alla corresponsione della penale
di €. 66.106,00, erroneamente calcolata, la Corte di appello di Milano, nella residenza degli
appellati Annamaria CANZI, Pierino LUCINI, nonché quali eredi di Ferrario Ornella, Giancarlo,
Carla, Giovanna, Aldo e Adelio FERRAIO, e quali eredi di Scaramuzza Vittorio, Aldo, Adelio ed
Alberto FERRARIO e Roberto COLOMBO, oltre a Lauretta e Nicoletta MOLTENI, Sonia e Tatiana

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effettuarsi entro la data del 31.12.2002, prevedendosi, altresì, che in caso di inadempimento della

CANCELLIERI, con diverso difensore, e Maria Luisa MOLTENI, rigettava integralmente il
gravame.
A sostegno dell’adottata decisione la corte distrettuale evidenziava che l’appellante si era limitata
in sede di appello a riprodurre le argomentazioni svolte in primo grado, senza dimostrare

risultandone ben tredici inviti, da ultimo per il giorno 21.10.2003, in cui il pubblico ufficiale l’aveva
convocata per la stipulazione del contratto definitivo a mezzo diffida. Né era risultata provata la
mancata disponibilità di tutti i promittenti venditori a presenziare all’atto definitivo. La circostanza,
infine, che in corso di causa una quota del compendio immobiliare oggetto del preliminare fosse
stata venduta alla L.D.Immobiliare s.r.I., di cui l’appellante era amministratore unico e detentrice
della quasi totalità delle quote, non aveva nulla a vedere con la risoluzione del contratto de quo
per fatto e colpa della promissaria acquirente.
Aggiungeva che correttamente il Tribunale aveva interpretato la clausola penale, di cui all’art. 11
del preliminare, computandola sull’intero prezzo pattuito, né poteva ritenersi eccessiva; infine, la
condanna al rilascio dell’immobile costituiva logica conseguenza dell’accoglimento delle domande
dei promittenti venditori.
Avverso la sentenza della Corte di Milano ha proposto ricorso per cassazione la LORENZO,
illustrato anche da memoria ex ad. 378 c.p.c., che risulta articolato in sette motivi, cui hanno
resistito con controricorso Nicoletta e Lauretta MOLTENI, Sonia e Tatiana CANCELLIERI, nonché
con separato controricorso Maria Luisa MOLTENI, non costituiti gli altri intimati.
Fissata pubblica udienza per il 27 gennaio 2012, la causa veniva rinviata a nuovo ruolo per
regolarizzare la notificazione del ricorso nei confronti degli intimati (poi non costituiti).
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’ad. 1460 c.c. in relazione all’ad. 360
nn. 3, 4 e 5 c.p.c., nonché degli artt. 167, 183, 184 e 345 c.p.c. per avere la corte distrettuale —

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alcunché circa il suo impedimento a comparire avanti al notaio designato tutte le volte,

confermando la decisione del giudice di prime cure – ritenuto la tardività della eccezione sollevata
dalla LORENZO con riferimento alla sussistenza di pesi sull’immobile oggetto del preliminare in
comparsa conclusionale, benché la doglianza risultasse dalla produzione documentale del tutto
ritualmente presente fin dal giudizio di primo grado. Ad avviso della ricorrente, precisato che era

senso proprio, ma della stessa obbligazione facente carico ai promittenti venditori “a restare
investita di quel peso”, per cui non era vietato il rimedio ed il giudice del gravame aveva uno
specifico dovere di riscontro dei motivi di gravame.
Con il secondo motivo viene denunciata la violazione di legge con riferimento all’art. 1454
e ss c.c., regolanti le connotazioni della diffida quale atto recettizio di provenienza dalla parte,
oltre al travisamento delle risultanze processuali, in particolare di quelle evincibili dalla lettera del
notaio Gentile del 5.11.2003, in relazione all’art. 360 nn. 3,4 e 5 c.p.c.. In particolare dalla lettera
riprodotta agli atti emergerebbe che il tredicesimo appuntamento fissato per la sottoscrizione del
definito era per la data del 4.11.2003 e non già quella indicata dalla Corte di merito al 21.10.2003;
tra l’appuntamento del 21.10.2003 e quello del 4.11.2003 ve ne sarebbero stati altri due,
rispettivamente al 31.10 e al 3.11.2003; non vi era stata alcuna diffida, ma solo degli
appuntamenti, né la LORENZO era stata convocata dallo stesso notaio in veste di pubblico
ufficiale; nella lettera non viene dato alcun rilievo alla presenza o meno in sede di convocazione
del gruppo dei venditori. Tutto ciò, ad avviso della ricorrente comporterebbe un travisamento dei
fatti per non essere supportati da adeguati elementi di prova. Per completezza, aggiunge che il
giudice distrettuale non ha tenuto conto che il differimento degli appuntamenti era dovuto alla
malattia che il giorno 21.10.2003 aveva colpito la LORENZO, tanto da farla ricoverare in
ospedale; i rinvii dopo quella data, accordati dalle controparti, starebbero proprio a significare il
riconoscimento di detta malattia, resa ben nota con n. 2 lettere del difensore.

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stata dedotta in sede di precisazione delle conclusioni, non si tratterebbe di una eccezione in

Con il terzo motivo viene dedotta la violazione degli artt. 1460 e 2697 c.c.: ad avviso della
ricorrente faceva carico a ciascun promittente venditore farsi carico di dimostrare la propria
presenza a ciascun appuntamento, per cui sotto detto profilo ha errato la sentenza nell’addebitare
alla LORENZO oneri probatori assunti insoddisfatti, coi principi di cui all’ad. 2693 c.c.. Di

l’invenzione di una diffida a mezzo di pubblico ufficiale assolutamente inesistente od il suo
tempestivo recapito, rimasto del tutto non provato.
Le censure – che sono strettamente connesse, vedendo tutte sull’accertamento dell’asserito
inadempimento dei promittenti venditori, per cui vanno esaminate congiuntamente – sono prive di
pregio e pertanto non possono trovare accoglimento.
Occorre premettere che, in tema di risoluzione per inadempimento di contratto preliminare e in
particolare nel caso in cui, come quello di specie, si sia in presenza della deduzione di
contrapposti inadempimenti, il giudice deve procedere ad una valutazione comparativa ed unitaria
degli inadempimenti che le parti si sono addebitati, al fine di stabilire se sussista l’inadempimento
che legittima la risoluzione. La valutazione della gravità dell’inadempimento – prendendo le mosse
dall’esame dei fatti e delle prove inerenti al processo – è rimessa al giudice del merito ed è
incensurabile in cassazione se la relativa motivazione risulti immune da vizi logici o giuridici (nei
sensi suddetti, tra le tante, Cass. 29 luglio 2004 n. 14378; Cass. 2 luglio 2003 n. 10454; Cass. 5
maggio 2003 n. 6756).
Nel caso in esame, la corte di appello ha puntualmente proceduto ad un apprezzamento
complessivo del comportamento delle parti al fine di stabilire la sussistenza o meno di
quell’inadempimento che giustifica la pronuncia di risoluzione. Nel confermare la sentenza di
primo grado, la corte distrettuale dopo avere ribadito la tardività dell’eccezione sollevata dalla
promissaria acquirente ai sensi dell’ad. 1482 c.c. (dedotta solo in comparsa conclusionale), ha

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converso il giudice distrettuale è incorso in un vero e proprio travisamento dei fatti, tali essendo

ritenuto grave l’inadempimento dell’appellante convocata ben tredici volte avanti al notaio
designato per la stipula del contratto definitivo.
In tema di contratto preliminare, la esistenza di un vincolo reale sul bene oggetto del futuro
trasferimento, che non sia stata dichiarata dal promittente venditore e non sia conosciuta dal

rispettivamente dichiarate o conosciuto), legittima quest’ultimo all’attivazione di rimedi a tutela
della propria posizione, come la sospensione del pagamento del prezzo ancora dovuto (ove
voglia, comunque, dare esecuzione al contratto ed abbia, all’uopo, proposto domanda di
esecuzione in forma specifica, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1482 e 2932 c.c.) ovvero
formulare richiesta di risoluzione del contratto. In quest’ultima ipotesi si versa in situazione
valutabile ai sensi dell’art. 1460 c.c. in presenza di denuncia di contrapposti inadempimenti.
Orbene, a parte la considerazione che anche nella esposizione del primo motivo di ricorso parte
ricorrente ha genericamente riportato le considerazioni svolte in relazione all’eccezione di cui
all’art. 1482 c.c., senza precisarne i contenuti, deve darsi atto in questa sede che con motivazione
congrua, esente da vizi logici e da errori giuridici, e pertanto qui insindacabile, la Corte meneghina
ha esaurientemente affermato, senza necessità di valutazioni comparative, che la promissaria
acquirente non aveva adempiuto all’obbligazione contrattualmente assunta di concludere il
contratto definitivo, non avendo aderito ad alcuno dei tredici inviti pacificamente ricevuti dai
promittenti venditori a comparire avanti al notaio designato, non dimostrato l’impedimento dei
‘gravi motivi di salute’ ovvero la mancata disponibilità delle controparti a presenziare tutti all’atto.
In sostanza, quello relativo alla esistenza dell’inadempimento e alla sua gravità integra un
apprezzamento di fatto, rimesso al giudice di merito, che nel caso di specie si sottrae al sindacato
in sede di legittimità, perché sorretto da motivazione immune dai denunciati vizi logici e giuridici.
Con il quarto motivo viene denunciata la violazione di legge degli artt. 1362 e ss c.c., in
relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., giacchè la Corte di merito, con principio non conforme a

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promissario compratore (ovvero risulti relativa ad un credito di importo maggiore di quello

legge e a giustizia, ha ritenuto irrilevante “la circostanza che in corso di causa una quota
dell’immobile oggetto di preliminare sia stata venduta alla L.D.Immobilaire s.r.I., di cui peraltro
l’appellante risulta essere l’Amministratore Unico”, senza neanche valutarlo sotto il profilo della
determinazione della penale, di cui alla clausola n. 11 del contratto, nonostante per una parte il

scelta interpretativa.
Anche il quarto motivo non ha pregio.
Deve innanzitutto osservarsi che nessuna violazione dei canoni ermeneutici e dell’art. 1362 c.c. è
dato ravvisare nella sentenza impugnata che, con motivazione logica e coerente, ha ritenuto
l’irrilevanza della circostanza secondo la quale nelle more del giudizio una quota dell’immobile
oggetto del preliminare sarebbe stata venduta a società di cui la LORENZI è amministratore
unico e detentrice della quasi totalità delle quote. Invero, tale valutazione, oltre che essere logica
e razionale – in quanto trattasi di soggetto, la L.D.Immobiliare s.r.I., estraneo al rapporto de quo,
sicché all’evidenza tale vicenda non può avere alcuna incidenza nella vicenda in esame (in difetto
di una espressa previsione contrattuale in tal senso), la ricorrente non chiarisce quali canoni
interpretativi sarebbero stati violati dalla Corte di merito.
Per il resto è appena il caso di rilevare che l’indagine del giudice di merito circa l’esistenza (o
meno) di collegamento negoziale fra diverse convenzioni si risolve in un apprezzamento che
costituisce accertamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, quando, come nella
specie, risulta adeguatamente e congruamente motivato attraverso la valutazione del complesso
delle pattuizioni contrattuali e del comportamento delle parti.
Con il quinto motivo viene denunciata la violazione di legge in relazione all’art. 1384 c.c.,
sempre con riferimento all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. per avere ritenuto la penale “equa ed idonea a
tutelare le ragioni della parte adempiente” a fronte della richiesta formulata dalla LORENZO con

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contratto definitivo fosse stato concluso. La decisione, in questa prospettiva, non spiegherebbe la

l’atto di appello, in termini assai articolati, di riduzione, determinata, peraltro, sull’intero prezzo
invece che sull’importo corrispondente al numero di quote immobiliari rimaste non trasferite.
Trattasi di censura formulata dalla ricorrente in modo assolutamente generico, non essendo stato
riportato nel motivo il passaggio del contratto preliminare che, diversamente interpretato,

Del resto appare evidente, già nella tecnica espositiva, che la LORENZI con il mezzo in esame
intende contrappone alle argomentazioni dei giudici di merito una diversa tesi, e quindi un
riesame del merito, indugiando su circostanza, quale la cessione di quota dei beni alla L.D.
Immobiliare successiva alla proposizione della domanda di risoluzione, che non poteva essere
esaminata per quanto sopra esposto. Ed è ciò che ha ricordato la sentenza impugnata laddove
ha affermato che doveva trovare applicazione la clausola n. 11 del contratto nella sua integrità, a
tutela della parte adempiente.
Con il sesto motivo la ricorrente, sempre relativamente all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., lamenta
la illegittimità della pronuncia circa la condanna della LORENZO al rilascio dell’immobile, la cui
domanda è stata oggetto di separata controversia, altrimenti vi sarebbe violazione del principio
del ne bis in idem e comunque trattasi di pronuncia priva di qualunque adeguato riferimento
normativo.
Si tratta, ancora una volta, di una censura da rigettare, poiché diversamente da quanto asserito
dalla ricorrente, fin dall’atto introduttivo i promittenti venditori hanno chiesto, in conseguenza della
domanda principale, la condanna della LORENZO alla restituzione degli immobili oggetto della
promessa di compravendita stipulata in data 7.10.2002.
Del resto l’esercizio, con esito positivo, dell’azione di risoluzione del preliminare, comporta di
regola che il promissario acquirente sia tenuto a restituire il bene, nella cui disponibilità sia stato
immesso anticipatamente, in forza del medesimo contratto preliminare.

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dovrebbe condurre a differenti conclusioni.

Secondo orientamento consolidato di questa Corte la funzione di restituzione, conseguente alla
risoluzione per inadempimento del contratto, si desume dalla efficacia retroattiva della risoluzione
(ad. 1458 c.c.) e mira a rimettere le parti nella stessa situazione nella quale le stesse si trovavano
prima della conclusione del contratto, neutralizzando le conseguenze dell’evento lesivo.

rescissione del contratto ed, in genere, in tutti i casi in cui venga meno il vincolo originariamente
esistente e si riconduce, in definitiva, a quella propria dell’indebito oggettivo, di cui all’art. 2033
c.c..
Con il settimo ed ultimo motivo viene censurata la condanna alle spese processuali, ai
sensi dell’ad. 360 nn. 4 e 5 c.p.c., poste integralmente a carico della convenuta-appellante
nonostante molte delle domande avversarie comprendessero corpose pretese di indennizzo a
vario titolo rimaste disattese.
La censura non può trovare accoglimento. Ed invero, in materia di spese giudiziali, il sindacato di
legittimità trova ingresso nella sola ipotesi in cui il giudice di merito abbia violato il principio della
soccombenza ponendo le spese a carico della parte risultata totalmente vittoriosa (Cass. n.
17351 del 2010; n. 12963 del 2007, n. 10052 del 2006; n. 13660 n. 2004; n. 5386 del 2003; n.
14023 del 2002, tra le tante), intendendosi per tale, cioè totalmente vittoriosa, la parte nei cui
confronti la domanda avversaria sia stata totalmente respinta, giacché solo la parte totalmente
vittoriosa, neppure in parte, può e deve sopportare le spese di causa.
In tutti gli altri casi, non si configura la violazione del precetto di cui all’ad. 91 c.p.c. in quanto la
materia del governo delle spese processuali rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito e,
pertanto, esula dal sindacato di legittimità, salva la possibilità di censurarne la motivazione
basata su ragioni illogiche o contraddittorie. Nella specie, la motivazione si coglie dal complesso
dell’esposizione dei fatti e segnatamente dalla considerazione che la declaratoria di risoluzione
del preliminare per responsabilità contrattuale della ricorrente, all’origine di questo contenzioso, è

lo

Ciò si verifica non solo nel caso di risoluzione, ma anche nei casi di nullità, annullamento,

rimasta, pur sempre, positivamente accertata. Ne deriva l’infondatezza anche dell’ultima
doglianza.
Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle censure dedotte, ne consegue che il
ricorso, siccome infondato, deve essere rigettato; le spese del giudizio di Cassazione seguono la

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di
Cassazione, che liquida, in favore della Molteni, in complessivi €. 6.200,00, di cui €. 200,00 per
esborsi, ed in favore degli altri controricorrenti in complessivi €. 11.200,00, di cui €. 200,00 per
esborsi.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 6 giugno 2013.

soccombenza.

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