Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23955 del 29/10/2020

Cassazione civile sez. II, 29/10/2020, (ud. 24/07/2020, dep. 29/10/2020), n.23955

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 6792/16) proposto da:

P.M.C., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa, in

virtù di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti

Giuseppe Saitta, e Maurizio Cucinotta, ed elettivamente domiciliata

presso lo studio del primo, in Roma, piazza S. Andrea della Valle,

n. 3;

– ricorrente –

contro

P.A., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in virtù

di procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Salvatore

Leone, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.

Antonino Profilio, in Roma, v. A. Banzi, n. 88;

– controricorrente –

e

PA.AN., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa, in virtù di

procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Salvatore

Leone, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.

Antonino Profilio, in Roma, v. A. Banzi, n. 88;

– altra controricorrente –

nonchè

P.A.M., P.R., R.C.N.M.,

P.B., A.A. e P.P.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte di appello di Messina n. 85/2015

(depositata il 12 febbraio 2015);

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24 luglio 2020 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con atto di citazione del 5/12 maggio 1993 P.V., P.A.M., L.G. ved. P. e P.R. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Messina P.A. fu A., Pa.An. fu A., P.F. fu A., Pa.Al., P.G. ved. A. e P.G.G., esponendo che:

– il (OMISSIS) era deceduto P.A., lasciando eredi i figli A., Ad., E., F., Al., G. e G.G.;

– che al figlio A., poi deceduto, erano succeduti i figli A., F. ed An., mentre E. era morta lasciando eredi tutti gli altri fratelli;

– che il (OMISSIS) era deceduto anche F., lasciando eredi gli attori e il figlio P.A.;

– che nel (OMISSIS) era deceduto Pa.Ad., lasciando eredi i fratelli e i loro discendenti;

– che il comune dante causa P.A., notaio, aveva lasciato un’eredità che comprendeva terreni e fabbricati ubicati in (OMISSIS);

– che con testamento del 14 novembre 1951 il de cuius aveva lasciato al figlio F., al quale essi istanti erano succeduti, l’intera quota disponibile e aveva attribuito a titolo di prelegato due fondi;

– che il testatore aveva spiegato questo trattamento particolare con l’aiuto finanziario che il figlio gli aveva assicurato durante una lunga malattia con conseguente lunga degenza.

Tanto premesso, gli attori chiedevano che fossero distaccate in loro favore la quota disponibile e la legittima e che fossero loro attribuiti i beni oggetto del prelegato, con condanna dei convenuti all’eventuale rilascio, alla corresponsione dei frutti ed al risarcimento dei danni.

Nel costituirsi, i convenuti deducevano che le disposizioni testamentarie del 14 novembre 1951 erano lesive dei loro diritti di legittimari; rilevavano, inoltre, che il de cuius, con testamento olografo del 12 marzo 1951, aveva attribuito a titolo di legato al figlio Al. la propria casa di abitazione e quella del sito (OMISSIS), con ogni accessorio e pertinenza, nonchè l’usufrutto di tutti i beni per un periodo di quindici anni dopo la sua morte. Eccepivano, inoltre, la non integrità del contraddittorio, per non essere stati convenuti P.A., nato il (OMISSIS), figlio di P.F. deceduto il (OMISSIS), e D.B.E., vedova di P.A., deceduto il (OMISSIS).

I convenuti, pertanto, chiedevano la divisione ereditaria dei beni relitti, tenuto conto delle eventuali lesioni di legittima poste in essere dal de cuius.

A seguito di proposizione di querela di falso riferita al testamento del 12 marzo 1951 da parte degli attori e con riguardo al testamento del 14 novembre 1951 da parte dei convenuti, integrato il contraddittorio e disposto l’espletamento di perizia grafica, il Tribunale adito, con sentenza non definitiva n. 1321/2001 (depositata il 27 marzo 2001), così provvedeva:

– dichiarava aperta la successione ereditaria di P.A., deceduto il (OMISSIS);

– dichiarava la nullità dei testamenti olografi del 12 marzo 1951 e del 14 novembre 1951;

– disponeva che l’eredità del de cuius venisse devoluta per legge;

– rimetteva la causa in istruttoria con separata ordinanza.

2. Avverso la predetta decisione proponeva appello P.M.C., avente causa di Pa.Al., lamentando che il Tribunale aveva dichiarato la nullità del testamento del 12 marzo 1951 per mancanza di autografia, pur avendo il perito calligrafo concluso per la sicura riferibilità dell’atto al suo autore P.A., che lo aveva vergato di proprio pugno, datato e sottoscritto.

In particolare, l’appellante osservava che le cancellature apposte da mano di terzo successivamente alla redazione del testamento tra le righe 17 e 19 della scheda testamentaria non potevano comportare la nullità del testamento, anche perchè il groviglio di linee non aveva impedito al C.T.U. di leggere, sia pure con l’uso di una lente di ingrandimento, le parole sottostanti, e le stesse non impedivano a chiunque di interpretare la volontà del testatore.

P.A.M. si costituiva rilevando che la richiesta avanzata dall’appellante, avente causa di Pa.Al., di avvalersi delle disposizioni contenute nella scheda testamentaria del 12 marzo 1951 doveva considerarsi nuova e come tale inammissibile in appello, dal momento che Pa.Al. in primo grado aveva chiesto che l’eredità di P.A. fosse devoluta per legge; in via incidentale chiedeva che si dichiarasse la validità ed efficacia del testamento del 14 novembre 1951, anche perchè la precisazione, in esso contenuta, circa la ragione del trattamento privilegiato riservato in favore del figlio Al., costituiva un valido motivo per affermare la riferibilità di tale atto al de cuius.

Con sentenza n. 108/2006 (depositata il 27 febbraio 2006) la Corte di Appello di Messina rigettava entrambe le impugnazioni, con la precisazione che, mentre la scheda testamentaria del 14 novembre 1951 era nulla per mancanza di autografia, essendo stata scritta da una duplice mano, la scheda testamentaria del 12 marzo 1951, oggetto dell’appello principale, era stata revocata dal testatore e, pertanto, non era nulla, ma inefficace.

3. Contro tale sentenza entrambe le parti avanzavano separatamente ricorso per cassazione e, previa riunione dei due giudizi, questa Corte, con sentenza n. 8753 del 2012, accoglieva sia il quarto motivo del ricorso principale (di P.M.C.) che il terzo e quarto del ricorso incidentale (di P.A.M.), cassava l’impugnata sentenza e rinviava la causa dinanzi ad altra Sezione della Corte di appello di Messina.

Con la citata sentenza di questa Corte veniva statuito che, in effetti, con la decisione gravata la Corte territoriale aveva omesso di verificare se nella prima e nell’ultima pagina della scheda testamentaria del 14 novembre 1951 (attribuita la redazione della seconda, terza e quarta pagina alla mano di un terzo e, quindi, non autografa) fossero evincibili delle disposizioni testamentarie interamente scritte a mano dal testatore e dal medesimo sottoscritte, contenenti la manifestazione di una volontà di disporre in tutto o in parte dei propri beni per il tempo successivo alla morte e, come tali, dotate dei requisiti di legge per essere configurate come testamento olografo.

4. Riassunto il giudizio, la Corte di rinvio, con sentenza n. 85/2015 (depositata il 12 febbraio 2015), rigettava l’appello (originariamente) proposto dalla P.M.C. e, per l’effetto, confermava l’impugnata sentenza n. 1321/2001 del Tribunale di Messina.

A fondamento dell’adottata decisione la Corte messinese rilevava che il testamento del 12 marzo 1951 era da ritenersi nullo perchè le cancellature in esso presenti rendevano impossibile una lettura delle parole sottostanti e, perciò, la ricostruzione dell’effettiva volontà del testatore, non trascurandosi, oltretutto, la circostanza che lo stesso, avendo svolto l’attività di notaio, era ben consapevole della necessità dei requisiti minimi di intelligibilità di un testamento olografo.

Evidenziava, in particolare, il giudice di rinvio che dalla relazione della consulenza tecnica svolta in primo grado – alla quale si aderiva perchè coerente e puntuale – era emerso che il citato testamento era sicuramente attribuibile nella grafia al de cuius ma che, tuttavia, lo stesso presentava un “…groviglio di linee” che ne impedivano sia la lettura che una possibile interpretazione, da cui – ad avviso della Corte peloritana – l’impossibilità di desumere, sulla base dell’esame globale della scheda testamentaria, l’univoca volontà che il de cuius aveva inteso manifestare.

5. Avverso la menzionata sentenza emessa in sede di rinvio ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, P.M.C., al quale hanno resistito, con distinti controricorsi, P.A. e Pa.An., mentre le altre parti intimate non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – la nullità della sentenza per asserita motivazione apparente con conseguente violazione dell’art. 132 c.p.c., sul presupposto che l’impugnata sentenza si era basata sulle sole risultanze della c.t.u. di primo grado (ritenuta “coerente e puntuale”) e, pur rilevando la presenza di un “groviglio di linee”, non aveva considerato che, tuttavia, era chiaramente evincibile la manifestazione di volontà del testatore.

2. Con la seconda doglianza la ricorrente ha dedotto – con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 115 c.p.c., nonchè – con riguardo all’art. 360 c.p.c., n. 5 – l’omesso esame circa un fatto decisivo che era stato oggetto di discussione tra le parti (ossia in ordine alla mancata, ovvero errata, valutazione delle risultanze della consulenza grafica acquisita al processo).

3. Con la terza doglianza la ricorrente ha denunciato – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1367 c.c., poichè con la sentenza impugnata il giudice di rinvio, dopo aver definito illeggibile una disposizione testamentaria in realtà suscettibile di interpretazioni alternative, aveva immotivatamente optato per l’interpretazione invalidante dell’intera scheda testamentaria.

4. Con la quarta ed ultima censura la ricorrente ha dedotto – con riguardo all’art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione ed errata applicazione dell’art. 91 c.p.c., assumendo che la Corte di rinvio aveva illegittimamente compensato le spese giudiziali relative al grado di appello, al primo giudizio di cassazione e al giudizio di rinvio, che – in applicazione del principio della soccombenza avrebbero dovuto essere poste a carico, in solido o per quanto di rispettiva ragione, delle parti soccombenti.

5. Rileva il collegio che il primo motivo è del tutto infondato perchè non si versa affatto in una ipotesi di motivazione apparente, essendo stata univocamente indicata – nell’impugnata sentenza – la ragione della decisione, che poi costituisce oggetto delle successive due censure (nè venendo in rilievo una possibile “insufficienza” della motivazione stessa, trattandosi di vizio ormai non più denunciabile in cassazione ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., N. 5 “ratione temporis” applicabile nella fattispecie, siccome la pronuncia oggetto di ricorso risulta pubblicata dopo l’11 settembre 2012: cfr., per tutte, Cass. SU nn. 8053 e 8054 del 2014).

6. Il secondo e terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente siccome all’evidenza connessi.

Essi sono privi di fondamento e vanno respinti.

Osserva il collegio che, a ben vedere, essi attingono il merito della valutazione operata dalla Corte di rinvio circa l’esame della scheda testamentaria, in virtù del quale – ponendo riferimento alla c.t.u. di primo grado, ritenuta del tutto attendibile, puntuale e coerente (disattendendo implicitamente ogni altra diversa opzione valutativa) – ha escluso, in senso totale, la validità del testamento, siccome – per effetto del “groviglio di linee” che ne caratterizzavano l’intero contenuto – non era possibile desumere in modo incontestabile la volontà, anche con riferimento a singole disposizioni, che il testatore aveva effettivamente ed univocamente inteso manifestare, così non potendo venire in rilievo l’eventuale violazione del principio di conservazione previsto dall’art. 1367 c.c..

Il giudice di rinvio ha, quindi, nell’esercizio del suo potere di apprezzamento probatorio ed avuto riguardo all’oggetto della controversia riguardante l’impugnazione di un testamento olografo, rilevato che la presenza del citato “groviglio di linee” caratterizzante le complessive disposizioni di ultima volontà, aveva reso impossibile evincerne l’effettivo contenuto intelligibile, rimanendo così impedita la percezione inequivocabile della manifestazione di quanto “voluto” dal testatore (peraltro identificantesi con un notaio, il quale, perciò, per la sua specifica funzione, avrebbe dovuto avere – più di qualsiasi altro soggetto – la consapevolezza della necessità della chiarezza e leggibilità della scheda testamentaria), e ciò anche con riferimento alla possibilità di desumere l’estrapolazione di autonome disposizioni di ultima volontà tali da far trasparire, in modo comprensibile, le relative reali intenzioni del de cuius.

Ed allora, in presenza di siffatto accertamento basato su attendibili risultanze peritali ritenute condivisibili, non può venire in rilievo una questione di possibile interpretabilità di singole o plurime disposizioni testamentarie (cfr. Cass. n. 12861/1993, Cass. n. 15931/2015 e Cass. n. 10882/2018) nè tantomeno di applicabilità del preferenziale (per gli atti “mortis causa”) criterio ermeneutico riconducibile all’operatività del principio di conservazione dell’atto (che presuppone la non ambiguità assoluta del testamento), versandosi, invero, nel caso di un testamento accertato come connotato da evidenti cancellature (sotto forma di “groviglio di linee”), la cui ampiezza non ha consentito di comprendere, in modo inequivocabile, le parole sottostanti, ed il cui contenuto – per effetto dell’addensamento delle linee di copertura apposte in modo confuso (e, quindi, senza alcuna uniformità, tale da consentire, in ipotesi, l’isolamento di alcune singole disposizioni) – non era stato verosimilmente ritenuto dal testatore suscettibile di essere mantenuto fermo.

7. Il quarto ed ultimo motivo è anch’esso infondato e va respinto avendo la Corte messinese espresso adeguatamente la motivazione che l’ha indotta a compensare le spese dei precedenti giudizi e di quello di rinvio (avuto riguardo all’esito finale della causa), con riferimento alla peculiarità delle ragioni giuridiche poste a fondamento delle decisioni.

8. In definitiva, per tutte le ragioni esposte, il ricorso deve essere integralmente rigettato.

In applicazione del principio della soccombenza la ricorrente deve essere condannata al pagamento – in favore dei costituiti controricorrenti, in solido delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nei termini di cui in dispositivo, facendosi applicazione del criterio di cui alle vigenti tariffe professionali (di cui al D.M. Giustizia n. 55 del 2014, come modificato dal D.M. Giustizia n. 37 del 2018), avuto riguardo alla circostanza che le due parti controricorrenti sono state rappresentate dallo stesso difensore ed i relativi controricorsi risultano fondati sulle medesime argomentazioni.

Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei costituiti controricorrenti, in solido, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 7.700,00, di Euro 200,00 per esborsi, oltre iva, cap e contributo forfettario nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 24 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2020

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