Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23952 del 29/10/2020

Cassazione civile sez. II, 29/10/2020, (ud. 16/07/2020, dep. 29/10/2020), n.23952

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3404-2016 proposto da:

P.P., e B.E., rappresentati e difesi dall’Avvocato

RAFFAELLO NICCOLAI ed elettivamente domiciliati a Roma, via delle

Milizie 76, presso lo studio dell’Avvocato ELENA PROVENZANI, per

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Z.A., rappresentata e difesa dall’Avvocato ANTONIO DI

GIOVANNI ed elettivamente domiciliata a Roma, via delle Fornaci 38,

presso lo studio dell’Avvocato FABIO ALBERICI, per procura speciale

in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2037/2015 della CORTE D’APPELLO DI FIRENZE,

depositata il 1/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/7/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.P. ed B.E., nella qualità di comproprietari di un appartamento ubicato a (OMISSIS), dotato di resede di pertinenza esclusiva nella corte interna, hanno convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Firenze, Z.A., proprietaria di un appartamento confinante affacciato sulla predetta corte, chiedendone la condanna al ripristino della finestra ivi esistente nello stato pregresso di mera luce, disponendo ogni intervento ritenuto necessario al fine di impedire l’affaccio e la visuale sul fondo degli attori.

Gli attori, a sostegno della domanda, hanno dedotto che la convenuta, nel corso di lavori di ristrutturazione edilizia eseguiti nel (OMISSIS), aveva mutato la fisionomia della preesistente luce trasformandola abusivamente in veduta.

La Z. si è costituita in giudizio contestando la fondatezza della domanda, della quale chiedeva il rigetto.

Il tribunale, con sentenza del 22/4/2014, ha condannato la convenuta a regolarizzare l’apertura come una mera luce secondo le indicazioni contenute nella relazione del consulente tecnico d’ufficio, vale a dire munendo la luce di “idonea grata fissa metallica, di opportuna maglia, e di idoneo vetro smerigliato fino alla quota di 250 cm”.

Z.A. ha proposto appello avverso la sentenza del tribunale, della quale ha chiesto la totale riforma, deducendo che, per caratteristiche dimensionali e costruttive, per la storica assenza di reti e/o inferriate a maglie strette, per le caratteristiche e il posizionamento dell’inferriata protettiva, per la possibilità di veduta e l’insussistenza delle caratteristiche tipiche delle luci, la finestra in questione doveva essere considerata, ai sensi di legge, come una veduta.

P.P. ed B.E. hanno resistito al gravame, chiedendone il rigetto.

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha accolto l’appello ed, in riforma della sentenza impugnata, ha respinto le domande proposte dagli attori ed ha, per l’effetto, annullato la condanna della convenuta a regolarizzare la finestra per cui è causa.

La corte, in particolare, dopo aver affermato che l’elemento che caratterizza la veduta rispetto alla luce è la possibilità di avere, attraverso di essa, una visuale agevole, cioè senza l’utilizzo di mezzi artificiali, sul fondo del vicino, mentre la possibilità di affacciarsi è prevista dall’art. 900 c.c. in aggiunta a quella di guardare, sicchè, in date condizioni, la mancanza di quest’ultimo requisito non esclude la configurabilità della veduta quando, attraverso l’apertura, sia comunque possibile la completa visuale sul fondo del vicino mediante la semplice inspectio, ha ritenuto, in dichiarata applicazione di tale principio, che la finestra per cui è causa dev’essere considerata come una veduta e non come una mera luce poichè consente dal fondo dominante, cui inerisce, un’ampia visione del fondo servente, sul quale si affaccia. La corte, al riguardo, ha evidenziato come, alla luce delle fotografie e dei prospetti allegati alla relazione peritale, emerge che: – l’apertura muraria in discussione, già prima del 1953, era una porta finestra attraverso la quale era addirittura possibile transitare dall’attuale proprietà Z. alla corte interna di attuale proprietà P.- B., così da rendere evidente la sua natura (anche) di veduta; – la documentazione fotografica prodotta in giudizio dagli attori dimostra che, all’epoca dei lavori di rifacimento delle facciate condominiali eseguiti tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), sulla finestra oggetto della controversia non era presente la rete metallica a maglia stretta; – la trasformazione in finestra ha consentito all’apertura di assumere le proporzioni di altre vedute presenti nel fabbricato sia verso la corte, che verso la pubblica via; – le inferriate che tuttora guarniscono l’apertura non si trovano a filo della facciata ma sporgono di qualche centimetro sulla corte interna e consentono a chi si accosti dall’interno uno sguardo sulla corte fino ad abbracciarne buona parte, dimostrando come la funzione dell’inferriata non fosse certo quella di limitare la vista ma piuttosto di proteggere l’apertura muraria dal pericolo d’invasione altrui, come del resto abituale nelle finestre poste al piano terreno; – le dimensioni della finestra, pari a circa 120 cm in larghezza e circa 160 cm in altezza, nonchè la sua posizione nella facciata prospiciente alla corte, a circa 130 cm dal piano di calpestio esterno e circa 120 cm da quello interno, risultano perfettamente consone alla veduta mentre la mera luce aperta sul fondo del vicino avrebbe dovuto avere una collocazione più elevata, non minore di due metri a norma dell’art. 901 c.c.; – l’apposizione alla finestra di una grata metallica a maglia fitta e di un vetro opaco smerigliato fino alla quota di 250 cm, come prescritto nella sentenza impugnata, finirebbe per rivoluzionare la condizione storicamente consolidata del manufatto “senza alterare significativamente le facoltà di veduta preesistenti”.

P.P. ed B.E., con ricorso notificato il 28/1/2016, hanno chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza resa dalla corte d’appello, dichiaratamente notificata il 2/12/2015.

Z.A. ha resistito con controricorso notificato in data 2/3/2016 e depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione dell’art. 900 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che l’elemento che caratterizza la veduta rispetto alla luce è la possibilità di avere, attraverso di essa, una visuale agevole, cioè senza l’utilizzo di mezzi artificiali, sul fondo del vicino, mentre la possibilità di affacciarsi è prevista dall’art. 900 c.c. in aggiunta a quella di guardare, sicchè, in date condizioni, la mancanza di quest’ultimo requisito non esclude la configurabilità della veduta quando, attraverso l’apertura, sia comunque possibile la completa visuale sul fondo del vicino mediante la semplice inspectio, e che, in forza di tale principio, l’apertura in questione, poichè consente dal fondo dominate cui inerisce un’ampia visione del fondo servente sul quale si affaccia, dev’essere configurata come una veduta e non come una mera luce.

1.2. Così facendo, però, hanno osservato i ricorrenti, la corte d’appello ha violato il principio per cui la sussistenza della veduta richiede non soltanto la inspectio ma anche la prospectio, e cioè l’affaccio, che consiste nella agevole possibilità, in condizioni di sicurezza, di sporgere il capo oltre l’apertura e di guardare non solo di fronte ma anche obliquamente e lateralmente nel fondo del vicino.

1.3. Nel caso di specie, in effetti, la corte d’appello ha motivato la propria decisione dando per scontato che l’apertura in questione non consente di affacciarsi sul fondo degli attori, come, del resto, accertato dal consulente tecnico d’ufficio, il quale ha rilevato, in fatto, l’impossibilità di un comodo affaccio per la presenza di un’inferriata che non consente di sporgere il capo sul fondo attiguo. La corte, infatti, ha ritenuto che le inferriate che guarniscono l’apertura sporgono di qualche centimetro sulla corte interna e consentono a chi si accosti dall’interno uno sguardo sulla corte fino ad abbracciarne una buona parte.

1.4. La corte d’appello, del resto, hanno aggiunto i ricorrenti, ha, in tal modo, non solo riconosciuto l’impossibilità di affaccio ma pure che, in realtà, la visione che si può ottenere sul fondo è comunque relativa soltanto ad una buona parte dello stesso.

1.5. Così facendo, però, la corte ha violato il principio per cui, nella veduta, la possibilità di affacciarsi prevista dall’art. 900 c.c., quand’anche fosse ritenuta come l’unico requisito a tale fine necessario, richiede pur sempre che attraverso l’apertura sia possibile la completa visuale sul fondo del vicino.

1.6. La corte d’appello, quindi, hanno concluso i ricorrenti, avrebbe dovuto ritenere che l’apertura per cui è causa, non consentendo la prospectio ma neppure una completa inspectio, costituisce non una veduta ma una luce irregolare.

2.1. Con il secondo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione dell’art. 902 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che, alla luce dei dati raccolti, la finestra in questione non avesse la natura di luce.

2.2. Così facendo, però, hanno osservato i ricorrenti, la corte ha, in sostanza, ritenuto che, non essendosi raccolti dati che dimostrino che l’apertura per cui è causa è una luce, allora la stessa dev’essere considerata come una veduta, in tal modo violando la norma prevista dall’art. 902 c.c., secondo la quale, al contrario, l’apertura che non ha i caratteri della veduta è considerata come una luce, anche se non sono state osservate le prescrizioni contenute nell’art. 901 c.c..

2.3. In definitiva, hanno concluso i ricorrenti, deve essere dimostrato che un’apertura abbia le caratteristiche della veduta dovendo, altrimenti, essere considerata come una luce, eventualmente irregolare e, dunque, sempre soggetta alla richiesta di rimessione in pristino.

3.1. Il primo motivo è fondato, con assorbimento del secondo.

3.2. Questa Corte, invero, ha ripetutamente affermato il principio per cui, affinchè sussista una veduta, a norma dell’art. 900 c.c., è necessario, oltre al requisito della inspectio, anche quello della prospectio sul fondo del vicino, dovendo detta apertura non soltanto consentire di vedere e guardare frontalmente ma anche di affacciarsi, vale a dire di guardare non solo di fronte ma anche obliquamente e lateralmente, così assoggettando il fondo alieno ad una visione mobile e globale (Cass. n. 8009 del 2012; conf., Cass. SU 10615 del 1996; Cass. n. 15371 del 2000; Cass. n. 480 del 2002; Cass. n. 22844 del 2006). L’elemento caratterizzante la veduta, infatti, è la possibilità di avere, attraverso di essa, una visuale agevole, cioè senza l’utilizzo di mezzi artificiali e affinchè ciò avvenga, a norma dell’art. 900 c.c., è necessario, oltre al requisito della inspectio, anche quello della prospectio nel fondo del vicino, dovendo detta apertura non solo consentire di vedere e guardare frontalmente, ma anche di affacciarsi, vale a dire di guardare non solo di fronte, ma anche obliquamente e lateralmente, in modo che il fondo alieno risulti soggetto, senza ricorrere all’impiego di mezzi artificiali, ad una visione mobile e globale (Cass. n. 11319 del 2018, in motiv.; Cass. n. 346 del 2017, la quale, proprio in forza di tale principio, ha escluso che possa avere carattere di veduta un’apertura munita di una struttura metallica, incorporata nel muro di confine). L’accertamento di tali circostanze di fatto, peraltro, è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito (incensurabile in sede di legittimità se non per il vizio di omesso esame di fatto decisivo), il quale è tenuto a verificare, in concreto, se l’opera, in considerazione delle caratteristiche strutturali e della posizione degli immobili rispettivamente interessati, permetta a una persona di media altezza (v. Cass. n. 5421 del 2011) di “affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente”, in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza (v. tra le altre, Cass. n. 5904 del 1981, Cass. 3265 del 1987, Cass. 7267 del 2003).

3.3. Nel caso di specie, la sentenza impugnata si è sottratta all’onere di svolgere, in modo completo, tale accertamento ed ha finito, quindi, per applicare la norma in tema di veduta senza che la corrispondente fattispecie sia stata concretamente e completamente riscontrata nei fatti di causa. La corte d’appello, infatti, partendo dal principio (come visto errato) secondo il quale l’elemento che caratterizza la veduta rispetto alla luce è la possibilità di avere, attraverso di essa, una visuale agevole, cioè senza l’utilizzo di mezzi artificiali, sul fondo del vicino ma non anche la possibilità di affacciarsi e che, pertanto, la mancanza di quest’ultimo presupposto non esclude la configurabilità della veduta ove, attraverso l’apertura, sia comunque possibile la completa visuale sul fondo del vicino mediante la semplice inspectio, ha ritenuto, in dichiarata applicazione di tale principio, che la finestra per cui è causa dovesse essere considerata, già prima della trasformazione operata dalla convenuta, come una veduta e non come una mera luce poichè consente dal fondo dominante, cui inerisce, un’ampia visione del fondo servente sul quale si affaccia. La corte, in particolare, ha rilevato che le inferriate che guarniscono l’apertura non si trovano a filo della facciata ma sporgono di qualche centimetro sulla corte interna e consentono a chi si accosti dall’interno uno sguardo sulla corte fino ad abbracciarne buona parte: senza, tuttavia, accertare se tale apertura permetteva effettivamente ad una persona di media altezza di “affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente”, in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza. Un’apertura munita di inferriata, in effetti, può essere considerata come una veduta anzichè come una luce ma solo se permette di affacciarsi e di guardare, oltre che di fronte, anche obliquamente o lateralmente, come nel caso in cui abbia maglie così larghe da consentire di esporre il capo in ogni direzione ovvero non sia aderente alla superficie esterna del muro ma se ne distacchi tanto da consentire di sporgere il capo oltre tale muro (Cass. n. 7745 del 1999; conf., Cass. n. 6820 del 1983; Cass. n. 6034 del 2000; in seguito, Cass., n. 480 del 2002, la quale, appunto, ha ribadito che può essere qualificata come veduta solo la finestra che consente non soltanto una comoda inspectio sul fondo vicino senza l’impiego di mezzi artificiali, ma anche una comoda prospectio e cioè la possibilità di affacciarsi con lo sporgere il capo, evidenziando che tale possibilità, in astratto, può anche non essere impedita dall’esistenza di un’inferriata purchè, in relazione all’ampiezza delle maglie di questa, possa essere in concreto stabilita la possibilità di affaccio con la possibilità di protendere il capo; in tal senso, più di recente, Cass. n. 11319 del 2018, secondo la quale un’apertura munita di inferriata può essere considerata veduta, anzichè luce, se permetta di affacciarsi e di guardare, oltrechè di fronte, anche obliquamente o lateralmente, come nel caso in cui abbia maglie così larghe da consentire di esporre il capo in ogni direzione ovvero non sia aderente alla superficie esterna del muro, ma se ne distacchi tanto da consentire di sporgere il capo oltre tale muro). Viceversa, un’apertura munita di inferriata, tale da non consentire la prospectio nel fondo vicino, può configurarsi solo come luce, anche se consenta di guardare con una manovra di per sè poco agevole per una persona di normale conformazione (Cass. n. 233 del 2011; conf., Cass. n. 3924 del 2016, secondo la quale la veduta si distingue dalla luce giacchè implica, in aggiunta alla inspectio, la prospectio, ossia la possibilità di affacciarsi e guardare frontalmente, obliquamente o lateralmente nel fondo del vicino, sicchè un’apertura munita di inferriata, nella specie realizzata a filo con il muro perimetrale dell’edificio, che impedisca l’esercizio di tale visione mobile e globale sul fondo alieno va qualificata luce).

4. Il ricorso dev’essere, pertanto, accolto e la sentenza impugnata, per l’effetto, cassata, con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di Firenze che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte così provvede: accoglie il primo motivo, assorbito il secondo; cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata, con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di Firenze che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 16 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2020

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