Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23950 del 29/10/2020

Cassazione civile sez. II, 29/10/2020, (ud. 14/07/2020, dep. 29/10/2020), n.23950

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9462/2016 R.G. proposto da:

MATAF S.R.L., in persona del legale rappresentante, rappresentata e

difesa dall’avv. Domenico Caputo, con domicilio eletto in Roma, alla

Via Fabio Massimo n. 88, presso l’avv. Genoveffa Stanco;

– ricorrente –

contro

ICO – INDUSTRIA CARTONE ONDULATO S.R.L., in persona del legale

rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe De

Lucia, con domicilio eletto in Roma, Piazza delle Belle Arti n. 1,

presso l’avv. Gianpaolo Dickmann;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari n. 194/2016,

depositata in data 24.2.2016;

Udita a relazione svolta nella camera di consiglio del giorno

14.7.2020 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Mataf s.r.l. ha proposto ricorso monitorio dinanzi al tribunale di Bari per il pagamento di Euro 79.530,00, oltre accessori, a titolo di corrispettivo di attività di consulenza documentata dalle fatture nn. (OMISSIS), nonchè con riferimento alla scrittura privata del 17.7.2002.

Avverso il decreto monitorio n. 410/2003, la Ico s.r.l. ha proposto opposizione, riconoscendo il debito di cui alla prima fattura, ma quello documentato dalle alle altre fatture, deducendo che, a seguito di un incendio, era stata sospesa ogni attività presso lo stabilimento di (OMISSIS), condotto in affitto dall’opponente.

Con sentenza n. 126/2011, il tribunale ha respinto l’opposizione e ha confermato il decreto ingiuntivo, regolando le spese.

La sentenza è stata riformata in appello.

Il giudice distrettuale ha rilevato che la lettera di incarico non prevedeva affatto il pagamento del compenso anche qualora la consulenza e l’assistenza tecnica non fossero state prestate, osservando che detto incarico era funzionalmente e inscindibilmente collegato alla gestione dello stabilimento ubicato in (OMISSIS), essendo previsto che il rapporto professionale sarebbe cessato al momento della cessazione o della risoluzione anticipata dell’affitto di azienda.

Ha perciò ritenuto che il compenso non fosse dovuto, poichè dalle prove assunte in giudizio (deposizioni di M.M.C. e C.A.) era emerso che l’opificio di (OMISSIS) si era fermato completamente a causa di un incendio, che la linea principale di produzione era andata distrutta, il capannone era stato sequestrato e che gli operai si erano rifiutati di rientrare al lavoro una volta sbloccato l’ingresso al capannone secondario, per il timore della presenza di residui di amianto, ed erano stati – di conseguenza – licenziati.

Secondo il giudice distrettuale, lo svolgimento dell’incarico non era provato neppure dalla documentazione depositata in giudizio, essendo riferibile alle attività di gestione ordinaria e non allo svolgimento delle diverse prestazioni contemplate nella lettera di incarico.

Per tali motivi ha accolto l’opposizione, ha revocato il decreto ingiuntivo ed ha disposto la restituzione di Euro 21960,00, indebitamente versati dall’appellante, regolando le spese.

La cassazione della sentenza è chiesta dalla Mataf s.r.l. con ricorso in tre motivi, illustrati con memoria.

La Ico s.r.l. ha depositato controricorso e memoria ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia – genericamente – violazione di legge, l’errata interpretazione della volontà delle parti e l’errata qualificazione del contratto di consulenza del 16.7.2002, per aver la sentenza omesso di considerare che le parti avevano concluso un contratto di consulenza ed assistenza diretto a trasferire alla resistente il know how aziendale e che le prestazioni, analiticamente menzionate nel documento, non si riferivano alla sola gestione dell’opificio di (OMISSIS), avendo la Ico propri stabilimenti anche in (OMISSIS).

Secondo la ricorrente, solo la cessazione del fitto d’azienda dell’impianto di (OMISSIS) avrebbe fatto venir meno il rapporto di consulenza, affitto che però era proseguito anche dopo il 2003. Il contratto prevedeva inoltre il pagamento di un compenso unico annuale da versare in rate mensili, proprio perchè la prestazione poteva essere richiesta in ogni momento e non con cadenza mensile, non configurandosi un appalto di servizi a carattere continuativo o periodico, ma un contratto atipico di consulenza tra le società.

Il secondo motivo denuncia – genericamente – la violazione di legge e l’errata valutazione dell’onere della prova, per aver la Corte di merito escluso che la ricorrente avesse dato prova di aver eseguito le prestazioni oggetto dell’incarico, non considerando che l’attività doveva essere specificamente richiesta dalla cliente, per cui, in mancanza di richieste in tal senso, tale prova era del tutto superflua.

Si assume inoltre che, poichè il compenso era calcolato su base annuale, senza alcun riferimento a parametri quantitativi (quale ad es. il numero di richieste da parte della committente), il pagamento sarebbe dovuto avvenire in ogni caso, restando comunque escluso qualsiasi collegamento esclusivo con l’attività presso lo stabilimento di (OMISSIS), salvo che con riferimento alla scadenza del rapporto. Il terzo motivo denuncia l’errata valutazione delle prove acquisite al processo, per aver la sentenza trascurato che lo stabilimento di (OMISSIS) era stato solo parzialmente distrutto dall’incendio del 2003 ed era stato riattivato, essendo stato accertato lo svolgimento dell’attività ordinaria dal luglio 2003 al marzo 2004.

2. Il primo motivo non merita accoglimento.

La censura è anzitutto inammissibile laddove propone una qualificazione del rapporto (come appalto di servizi a carattere continuativo e non come contratto atipico di assistenza e consulenza professionale) senza in alcun modo chiarire quali conseguenze giuridiche dovrebbero discenderne ai fini della decisione, dovendo peraltro evidenziarsi che la questione non risulta in alcun modo presa in esame dalla Corte distrettuale e non appare dibattuta dalle parti, avendo la sentenza dato rilievo dal fatto che dal contenuto della lettera di incarico non si evinceva alcun obbligo di versare il compenso ove l’attività di consulenza non fosse stata prestata.

La pronuncia ha difatti considerato decisivo il “collegamento funzionale inscindibile tra le prestazioni di assistenza e consulenza e l’attività svolta presso lo stabilimento di (OMISSIS)” nonchè il fatto che “l’attività presso l’opificio di (OMISSIS) si era fermata completamente”, ciò alla luce del dato, previsto in contratto, che il rapporto con la ricorrente sarebbe cessato alla scadenza del contratto di fitto aziendale o nell’ipotesi di una sua eventuale risoluzione anticipata.

In questo contesto e proprio in virtù di tale legame funzionale, la pronuncia ha concluso che “non essendo possibile svolgere alcuna attività aziendale presso la sede di (OMISSIS) (divenuta inattiva a seguito del licenziamento dei dipendenti), neppure l’attività di consulenza poteva esser svolta” (cfr., sentenza, pag. 4), restando irrilevante che la Ico s.r.l. non avesse avanzato alcuna richiesta di assistenza o consulenza (data l’avvenuta chiusura dello stabilimento), nè che il compenso fosse calcolato su base annuale, attesa la ravvisata impossibilità oggettiva di dare esecuzione al contratto.

Il suddetto accertamento, anche quanto alla sussistenza, in concreto, di un tale collegamento tra i due contratti, involge profili di merito incensurabili in cassazione, in quanto logicamente motivati. Quanto al fatto che la ricorrente fosse tenuta alle sole prestazioni menzionate nella lettera di incarico e, comunque, non solo con riferimento alle attività svolte presso l’impianto di (OMISSIS), le contrarie deduzioni della ricorrente si risolvono nella inammissibile prospettazione di un diverso risultato interpretativo, senza indicare quali criteri ermeneutici siano stati in concreto disattesi.

Giova ribadire che la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, indicando il punto ed il modo in cui il giudice del merito se ne sia discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poichè quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni (Cass. 28319/2017; Cass. 24539/2009; Cass. 25728/2013).

3. Anche il secondo motivo è infondato.

La Corte ha respinto la domanda di pagamento non per il mancato assolvimento dell’onere della prova dell’effettuazione delle prestazioni di assistenza e consulenza, ma sulla scorta della ritenuta impossibilità di dar corso all’esecuzione del rapporto, dato il collegamento tra le prestazioni di consulenza e la continuità aziendale presso la sede di (OMISSIS).

La censura appare, in definitiva, non pertinente, anche nel punto in cui è volta a negare che la ricorrente fosse inadempiente, avendo la Corte d’appello chiaramente evidenziato che l’inattuazione del contratto era dipesa dalla distruzione dei capannoni e non già da un fatto imputabile alla Mataf s.r.l..

Riguardo al collegamento funzionalmente tra l’incarico professionale e l’affitto dello stabilimento di (OMISSIS), trattasi di questione di merito insindacabile in cassazione poichè sorretta da una motivazione che supera lo scrutinio di legittimità, posto che, come evidenziato dalla Corte di merito, il contratto di incarico prevedeva espressamente che il rapporto professionale sarebbe cessato alla scadenza del fitto dello stabilimento o in caso di una sua anticipata risoluzione, avendo la sentenza desunto, in base ad una lettura ampliativa del documento, che anche la cessazione dell’attività aziendale fosse idonea a minare l’attuazione del rapporto professionale, rendendo indebito il pagamento del compenso.

4. Il terzo motivo è inammissibile perchè mira a sovvertire l’apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ed inoltre il ricorso, nel sostenere che lo stabilimento non era andato integralmente distrutto e che non era affatto cessata l’attività aziendale, omette di confrontarsi con il decisivo rilievo assegnato dalla sentenza alla situazione di inattività determinata dal licenziamento delle maestranze, a sua volta occasionato dal rifiuto di rientrare in azienda a causa dei rischi connessi dalla presenza in loco di residui di amianto.

Il ricorso è quindi respinto, con aggravio di spese secondo soccombenza.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 7300,00 per compenso ed Euro 200,00 per esborsi, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali, in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile, il 14 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2020

 

 

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