Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23950 del 24/11/2016


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Cassazione civile sez. trib., 24/11/2016, (ud. 01/10/2015, dep. 24/11/2016), n.23950

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

L.D.S.A., rappresentato e difeso dall’avv.

Alessandro Mariani ed elettivamente domiciliato in Roma presso

l’avv. Flavio De Battista al corso d’Italia n. 97;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Rana alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 243/39/09, depositata il 7 aprile 2009;

uditi l’avv. Alessandro Mariani per il ricorrente e l’avvocato dello

Stato Fabrizio Urbani Neri per la controricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Del Core Sergio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L.D.S.A., nella qualità di amministratore della snc A.AG. L.D.S. & CO. propone ricorso per cassazione, con un motivo, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio che, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle entrate, ha negato al contribuente il diritto al rimborso del credito d’imposta maturato in relazione agli acconti versati sulle imposte dovute a titolo di ritenuta sui trattamenti di fine rapporto dei dipendenti maturati al 31 dicembre del 1996 ed al 31 dicembre del 1997, ai sensi della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, commi 211 – 213.

Secondo il giudice d’appello – che “condivide le argomentazioni addotte a sostegno dell’appello” dall’ufficio, a tenore delle quali “dalle interrogazioni al SIAT non è risultato alcun credito maturato dalla contribuente sicchè il rifiuto opposto all’istanza di rimborso è legittimo” -, in verità non è stato documentato il credito nè esposto sul mod. 770 come previsto dalla normativa in materia, sicchè la contribuente non ha in sostanza fornito prova certa del diritto al rimborso”.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va anzitutto rigettata l’eccezione di inammissibilità, per tardività, del ricorso: questo, infatti, proposto avverso una sentenza depositata il 7 aprile del 2009, è stato affidato il 19 maggio 2010 all’ufficiale giudiziario per la notificazione, eseguita con la consegna all’Agenzia delle entrate il successivo 21 maggio, e quindi entro il termine lungo.

Con l’unico motivo del ricorso il contribuente, denunciando “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.; artt. 115 e 116 c.p.c. e del del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 1, comma 2, e illogicità della motivazione in relazione all’art. 350 c.p.c., n. 3 e n. 5.

Violazione e omessa applicazione delle disposizioni della L. n. 241 del 1990, art. 18 e L. n. 212 del 2000, art. 6”, assume che “in caso di versamento di somme volute e previste dalla norma tributaria e non compensabili prima del 2000, quando sopravviene una norma di compensazione utile ma non utilizzabile perchè la società è divenuta inattiva nel 1999, il versamento, come avvenuto”, sarebbe prova sufficiente al rimborso; e si chiede, con riguardo alle società di persone che non hanno obblighi di deposito del bilancio e quindi non devono pubblicarlo, se gli importi versati ex L. n. 662 del 1996 quali anticipazioni di imposta sulla indennità di fine rapporto, anche ai fini della prova documentale utile alla domanda di rimborso, debbano essere annotati anno per anno sul modello 770 ed in quale spazio”, e ciò “varrebbe anche quando i citati importi non sono e non possono essere compensati con altre voci per divieto di legge, pena la mancanza di prove ai fini del rimborso”.

Il ricorso è fondato.

Ed invero è incontroverso che per gli anni 1996 e 1997 la società, della quale il ricorrente è il legale rappresentante, versò, come prescritto dalla L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 211, gli acconti sulle ritenute dovute sui trattamenti di fine rapporto dei dipendenti, e che versò i detti acconti nei termini prescritti dalla norma; che nel novembre 1999 la società operava il passaggio diretto dei propri dipendenti ad altra, nuova e diversa, società; che, come previsto al comma 212, gli importi dei detti acconti erano riportati nelle dichiarazioni dei redditi relative, rispettivamente al 1997 ed al 1998 – come si legge nel controricorso, a pag. 3, “tutti i crediti venivano indicati nel mod. 770” -, “e versati in parti uguali entro il 31 luglio ed il 31 novembre dei predetti anni con le modalità prescritte per il versamento delle ritenute sui redditi da lavoro dipendente”; che gli importi di tali acconti, costituenti, secondo il successivo comma 213, “credito d’imposta, da utilizzare per il versamento delle ritenute applicate sui trattamenti di fine rapporto corrisposti a decorrere dal 1 gennaio 2000”, non poterono essere utilizzati in compensazione, come previsto in via generale, in quanto la società contribuente non aveva più dipendenti.

Questa Corte ha da tempo chiarito che, per le imposte sui redditi, “qualora il contribuente abbia evidenziato nella dichiarazione un credito d’imposta, non occorre, da parte sua, al fine di ottenerne il rimborso, alcun altro adempimento (quale, in particolare, l’istanza ex D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38), ma egli deve solo attendere che l’Amministrazione finanziaria eserciti, sui dati esposti in dichiarazione, il potere-dovere di controllo secondo la procedura di liquidazione delle imposte, prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, ovvero, ricorrendone i presupposti, secondo lo strumento della rettifica della dichiarazione” (Cass. n. 1154 del 2008, n. 11830 del 2002); e, più di recente, che “qualora il contribuente evidenzi nella dichiarazione, secondo le modalità stabilite dalla legge, un credito d’imposta, non occorre da parte sua alcun altro adempimento ai fini di ottenerne il rimborso, in quanto tale condotta costituisce già istanza di rimborso, che tiene luogo, a tutti gli effetti, di quella di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, essendo l’Amministrazione – edotta, con la dichiarazione, dei conteggi effettuati dal contribuente – posta in condizione di conoscere la pretesa creditoria: da quel momento, quindi, impedita ovviamente la decadenza, decorre, secondo i principi generali, l’ordinario termine di prescrizione decennale per l’esercizio della relativa azione dinanzi al giudice tributario: D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2” (Cass. n. 21734 del 2014, anche in motivazione).

Incorre quindi nell’errore ad esso addebitato il giudice d’appello, nel ritenere che fosse necessario riportare nelle successive dichiarazioni, relative al periodo nel quale la società era stata “inattiva”, il credito d’imposta.

Il ricorso deve essere pertanto accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con l’accoglimento del ricorso introduttivo del contribuente.

La peculiarità della fattispecie consente di dichiarare compensate fra le parti le spese dell’intero processo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del contribuente.

Dichiara compensate fra le parti le spese relative ai gradi di merito ed al presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 1 ottobre 2015.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2016

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