Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23950 del 22/10/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 23950 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: ARIENZO ROSA

SENTENZA
sul ricorso 7088-2011 proposto da:
SITA S.P.A.

04362280481,

in persona del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in

ROMA,

VIA

CAVOUR

325,

presso

lo

studio

dell’avvocato ABIGNENTE MATILDE, rappresentata e
difesa dall’avvocato ABIGNENTE ANGELO, giusta delega
2013

in atti;
– ricorrente –

2510

contro

MARINO VINCENZO MRN VCN3915F912M, domiciliato in ROMA,
PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE

Data pubblicazione: 22/10/2013

SUPREMA

DI

CASSAZIONE,

rappresentato

e

difeso

dall’avvocato RICCARDI VINCENZO, giusta delega in
atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n.

895/2010 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del

17/07/2013

dal Consigliere Dott. ROSA

ARIENZO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

di SALERNO, depositata il 20/09/2010 R.G.N. 1545/2008;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 20.9.2010, la Corte di Appello di Salerno respingeva il gravame della
SITA s.p.a. avverso la sentenza emessa dal giudice di primo grado che aveva accolto la
domanda di Marino Vincenzo, dichiarandone il diritto alla corresponsione mensile della
voce retributiva agente unico in misura pari a 20 minuti della retribuzione normale
dell’autista di VII livello con tre scatti di anzianità e successive evoluzioni di tale qualifica,

tempo, ed il diritto a percepire il maggior importo sull’indennità di agente unico già
maturato e non corrisposto, a far data dal 1990, con pagamento, da parte della SITA, delle
differenze retributive maturate, pari ad euro 3741,80, oltre interessi e rivalutazione
monetaria. Osservava la Corte del merito che non poteva condividersi la tesi della società
secondo cui, con l’accordo nazionale del 2.10.1989, erano state ben definite le voci
retributive soggette a rivalutazione, e che, non rientrando tra le stesse l’indennità di agente
unico, a far tempo dal 1990 quest’ultima doveva essere erogata in cifra fissa. Ed invero, a
giudizio della Corte di Salerno, secondo la previsione di cui all’art. 6 c.c.n.l. 1976 e
secondo analoghe disposizioni pattizie succedutesi nel tempo, le competenze accessorie
corrisposte a carattere fisso e continuativo facevano parte della retribuzione normale ed
erano contrapposte a premi, indennità ed a tutte le altre componenti erogate in modo
saltuario o variabile per specifiche prestazioni di servizio che non facevano parte della
retribuzione normale. Nella fattispecie era pacifico che la indennità de qua era stata
corrisposta al Marino in maniera fissa e continuativa, sì da costituire la retribuzione
normale di una mansione (autista agente unico) distinta e più gravosa di quella di semplice
autista.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la SITA s.p.a, affidando l’impugnazione a
quattro motivi, illustrati nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Resiste il Marino, con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE

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da determinarsi in relazione alle variazioni della retribuzione normale susseguitasi nel

Preliminarmente, si ribadisce l’inaccoglibilità dell’istanza di rinvio – presentata dal
controricorrente – al fine di una trattazione unitaria del presente ricorso con altri pure
pendenti innanzi a questa Suprema Corte ed aventi lo stesso oggetto.
Invero, come si è già ripetutamente affermato (cfr. Cass. 1°.3.2012 n. 3189; Cass. S.U.
3.11.2008 n. 26373), il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del
processo impone al giudice, ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c., di evitare attività

rispetto del principio del contraddittorio, da garanzie di difesa e dal diritto alla
partecipazione al processo, in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica
l’atto finale è destinato a esplicare i propri effetti.
In applicazione di tale principio e considerato peraltro che per la quasi totalità delle
decisioni di appello elencate in memoria dal resistente e rese in analoghe controversie,
non risulta che sia stata proposta impugnazione, il Collegio ritiene di dovere procedere alla
trattazione del presente ricorso – pendente già dall’anno 2011 – che potrebbe essere
ritardata in caso di accoglimento della istanza di rinvio.
Passando alla disamina dei motivi di ricorso, con il primo di essi la SITA s.p.a. denunzia
violazione e falsa applicazione dell’accordo nazionale 2.10.1989 (spc. punto 18), ex art.
360, n. 3, nonché omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c.. Riporta il punto 18 nel quale
testualmente in maniera non equivoca è stabilito che nell’ambito della “retribuzione
normale”, al di fuori di alcuni elementi specificamente e testualmente menzionati, la misura
di tutti gli altri elementi, a qualsiasi titolo rientranti nella retribuzione normale, resti
confermata in misura fissa.
Rileva che questa censura, espressamente formulata con il ricorso in appello, non è stata
minimamente presa in esame dalla sentenza impugnata, la quale ha ritenuto che il solo
fatto che l’indennità sia entrata a far parte della normale retribuzione bastasse a renderne
possibile la rivalutazione, trascurando la disciplina collettiva.
Con il secondo motivo, la società lamenta, ai sensi dell’ art. 360, n. 3, c.p.c., violazione e
falsa applicazione degli artt. 1322 e 2077 c. c., quanto alla successione dei contratti
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processuali non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal

collettivi, nonché omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e
decisivo, osservando che, in caso di successione di contratti collettivi di diverso livello,
occorre tenere conto dell’effettiva volontà delle parti, che possono derogare al precedente
assetto contrattuale, non essendo configurabile una subordinazione del contratto collettivo
locale a quello nazionale. Evidenzia la natura di fonte di regolamento eteronoma dei
contratti collettivi, che non determina l’ incorporazione delle norme collettive nel contenuto

collettiva successiva all’accordo aziendale del 25.2.1982, con la quale la SITA ebbe a
riconoscere l’indennità a quegli autisti i quali, a seguito della soppressione della figura del
bigliettaio, svolgevano il compito di vendita dei titoli di viaggio. Rileva che, al contrario, la
più recente disciplina aveva la sua ragion d’essere alla luce della circostanza che gli autisti
non svolgevano più la mansione di vendita di biglietti, per cui il mantenimento in misura
fissa di un’indennità, originariamente dovuta per ogni effettiva giornata di presenza e per lo
svolgimento di un compito specifico, trova una sua logica giustificazione.
Con il terzo motivo, la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’ accordo
aziendale 25.2.1982 e dell’art. 3 della legge della Regione Campania 15.3.1984 n. 13, ai
sensi dell’ art. 360, n. 3, c.p.c., nonché dell’omessa ed insufficiente motivazione circa un
fatto controverso e decisivo per il giudizio, rilevando che la Corte del merito non ha in
alcun modo preso in considerazione che le indennità vantate dal lavoratore traevano la
loro causa petendi dall’accordo aziendale del 25.2.1982, con cui la SITA aveva convenuto
con la controparte sindacale l’istituzione di un’indennità di agente unico a decorrere
dall’1.3.1982 con uno specifico meccanismo di variazione (ricalcolo in funzione delle
variazioni che interverranno nella retribuzione normale oraria de livello VII conducente di
linea con tre scatti di anzianità). Per il ricalcolo le parti si davano atto che doveva farsi
riferimento a 20 minuti di retribuzione oraria mensile. Aggiunge la ricorrente che il giudice
del gravame non aveva considerato che la normativa regionale, successiva all’accordo del
1982, non era fonte diretta ed immediata del diritto vantato, con la conseguenza della
derogabilità sicura dell’originario accordo dell’ 82 da parte del successivo accordo del
2.10.1989. L’art. 3 della legge regionale, nel regolare per l’anno 1984 la maggiorazione
dell’indennità per agente unico, aveva fissato solo un limite massimo di spesa, dato che
all’epoca le spese di gestione facevano carico all’ente locale. Di fatto la Regione non
aveva provveduto negli anni successivi ad emanare disposizioni in proposito e la misura
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dei contratti individuali e sostiene che la sentenza impugnata ha trascurato la disciplina

era stata contrattualmente stabilita da accordi aziendali, onde ben poteva la contrattazione
nazionale intervenire in materia, disciplinando per il futuro e su basi diverse l’indennità
stessa.
Con il quarto motivo, la società ascrive alla sentenza impugnata la erronea
concretizzazione, violazione e falsa applicazione dell’ad. 36 Cost., nonché l’ omissione ed
insufficienza di motivazione su un fatto controverso e decisivo, evidenziando che la

voci, ma globalmente, nel suo ammontare complessivo, e che nella specie non si era
avuto riguardo a quanto stabilito dall’accordo aziendale del 2.10.1989.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Deve, in tema di giudizio per cassazione, osservarsi che l’onere del ricorrente, di cui all’ad.
369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., così come modificato dall’ad. 7 del d.lgs. 2
febbraio 2006, n. 40, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, “gli atti processuali, i
documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” è soddisfatto, sulla
base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti
contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi
siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante
il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del
giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto
ai sensi dell’ad. 369, terzo comma, cod. proc. civ., ferma, in ogni caso, l’esigenza di
specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366, n. 6, cod. proc. civ., degli atti,
dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi (cfr. Cass. s. u., 3.11.2011,
n. 22726). Nel caso in esame, dell’accordo nazionale del 2.10.1989 è stata prodotta nella
presente sede copia integrale e risulta trascritto, in ossequio al principio di autosufficienza,
il punto 18 dello stesso. Va osservato, tuttavia, che, per lo stesso principio, é necessario
non solo che il contenuto del documento cui si riferisce il motivo di ricorso vi sia riprodotto,
ma anche che risulti indicata la sede processuale del giudizio di merito in cui la produzione
dell’intero ccnI era avvenuta e la sede in cui nel fascicolo d’ufficio o in quelli di parte essa
era rinvenibile (cfr. Cass. 25.5.2007 n. 12239).

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valutazione di conformità al parametro costituzionale deve essere fatta non per singole

Peraltro, sempre con riguardo all’osservanza dell’indicato principio, posto che il punto 18
dell’accordo nazionale del 2.10.1989 pone espressamente la relativa pattuizione in
rapporto di consequenzialità rispetto agli aumenti retributivi di cui al medesimo accordo
rientranti nella “retribuzione normale” in tal modo rinviando ad ulteriori clausole
contrattuali, era necessario esplicitare il contenuto anche di tali norme pattizie.
L’interpretazione di una clausola negoziale deve svolgersi, invero, alla luce delle altre

della clausola da interpretare non basta a chiarire gli aspetti potenzialmente rilevanti nella
specie.
Tale necessità si palesa ancor più in relazione al sindacato che il giudice di legittimità è
chiamato a svolgere nell’interpretazione diretta della contrattazione collettiva di livello
nazionale, esercitando una attività interpretativa che tendenzialmente è modellata ad
immagine del sindacato sulle norme di legge, ma pur sempre nel rispetto del contenuto
oggettivo del ricorso che è fissato dalla parte ricorrente. In particolare, il sindacato che
abbia come parametro la contrattazione collettiva di livello nazionale facoltizza questa
Corte all’interpretazione complessiva delle clausole contrattuali ex art. 1363 c.c. che in
generale prescrive che le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle
altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto (cfr. Cass. s. u.
23.9.2010 n. 20075). La Corte deve essere, pertanto, posta in condizione di esercitare
tale “nuova” funzione nomofilattica, avendo riguardo al quadro della normativa collettiva
(tendenzialmente) complessivo, e, sotto il profilo del rispetto del principio
dell’autosufficienza, deve ritenersi che la parte non possa, senza violare lo stesso,
prescindere dalla riproduzione delle clausole contrattuali che abbiano una decisiva e
diretta incidenza in tale processo interpretativo, in virtù dello stesso richiamo da parte della
norma oggetto di interpretazione.
Infine, deve ritenersi, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte che, al di là
dell’estensione del sindacato di legittimità sulle norme contrattuali collettive, che il giudice
di legittimità, nel caso di denuncia di relativa violazione o falsa applicazione, ai sensi
dell’ad. 360, comma 1, numero 3, cod. proc. civ., come modificato dall’ad. 27 della legge
n. 40 del 2006, può compiere in via di diretta interpretazione, in ogni caso la natura
negoziale delle disposizioni contrattuali impone che l’indagine ermeneutica debba essere
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pattuizioni e secondo il senso complessivo dell’atto (ari. 1363 c. c.), onde la trascrizione

effettuata secondo i criteri dettati dagli artt. 1362 cod. civ. e seguenti e non sulla base degli
artt. 12 e 14 delle Preleggi, con la conseguenza che, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, è
necessario che in esso siano motivatamente specificati i canoni ermeneutici negoziali in
concreto violati, nonché il punto ed il modo in cui giudice del merito si sia da essi
discostato (cfr, in particolare, Cass. 24.1.2008 n. 1582).
La censura, sotto tale profilo, si rivela carente, prospettandosi genericamente l’omessa

a decisioni di questa Corte che avevano affrontato il problema dell’inclusione dell’indennità
di agente unico nella normale retribuzione, le critiche svolte in appello in merito
all’interpretazione dell’accordo del 1989 erano state motivatamente disattese. Né può la
doglianza prospettarsi sub specie di vizio di motivazione, posto che il difetto di motivazione
denunciabile come motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. può
concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della
decisione della controversia, non anche l’interpretazione delle norme giuridiche — e nella
specie della contrattazione collettiva — atteso che, come evidenziato anche dalla
giurisprudenza di questa Corte, il vizio di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c. è configurabile o meno
a prescindere dalla motivazione posta dal giudice a fondamento della sua decisione (e
della sua correttezza), rilevando solo che, in relazione al fatto accertato, la norma non si
stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva
applicarla, ovvero che sia stata male applicata, dovendo il ricorrente, in ogni caso,
prospettare l’erronea interpretazione di una norma da parte del giudice che ha emesso la
sentenza impugnata ed indicare, a pena d’inammissibilità ex art. 366, n. 4, cod. proc. civ., i
motivi per i quali chiede la cassazione (cfr. Cass. 24.10.2007 n.22348).
Il secondo motivo di ricorso è inconferente, perché l’impugnata sentenza, lungi dal negare
il principio secondo cui, in caso di successione di contratti collettivi di diverso livello, deve
tenersi conto della effettiva volontà delle parti, che legittimamente possono derogare al
precedente assetto contrattuale, si è limitata a disattendere l’interpretazione del citato
accordo del 2.10.889 sollecitata dalla Sita s.p.a..
Il terzo motivo è inammissibile nella parte in cui deduce violazione falsa applicazione
dell’accordo aziendale 25.2.1982, atteso che ex art. 360 comma 1°, n. 3, c.p.c. può
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valutazione della disciplina collettiva intervenuta del 1989, laddove, seppure con richiamo

denunciarsi la violazione di contratti od accordi nazionali di lavoro e non anche di accordi
aziendali.
La doglianza con la quale si lamenta violazione dell’art. 3 della legge della Regione
Campania n. 13 del 15.2.1984 è inconferente, perché la Corte territoriale non ha negato in
linea di principio, come assunto dalla ricorrente, l’applicabilità dell’accordo del 2.10.1989 e
la sua potenziale attitudine derogatoria di quello del 1982, ma semplicemente non ne ha

Infine, con riguardo al quarto motivo, è sufficiente osservare che la sentenza impugnata
non ha neppure in via implicita deciso la controversia facendo applicazione dell’art. 36
Cost., né, quindi, ha conseguentemente applicato quest’ultimo in senso difforme da
quanto prospettato in ricorso.
Il ricorso va dichiarato, in conclusione, inammissibile.
Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza della società e si liquidano
nella misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso. Condanna la società al pagamento delle
spese di lite del presente giudizi9liquidate in euro 50,00 per esborsi ed in euro 2000,00 per
compensi professionali, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 17.7.2013

accolto l’esegesi propugnata dalla società ricorrente.

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