Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2395 del 01/02/2011

Cassazione civile sez. I, 01/02/2011, (ud. 17/12/2010, dep. 01/02/2011), n.2395

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.G. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA FALERIA 37, presso l’avvocato MAZZEO

ASSUNTA, rappresentato e difeso dall’avvocato DE PIETRO GINO, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il

10/10/2007, n. 51673/06 R.G.A.D.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/12/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

La Corte:

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che C.G. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi avverso il provvedimento emesso dalla Corte d’appello di Roma in data 21.7.07 con cui il Ministero della Giustizia veniva condannato al pagamento di euro 2000,00 a titolo di equo indennizzo ex Lege n. 89 del 2001 per l’eccessiva durata di un processo penale svoltosi nell’arco di due gradi di giudizio;

che al ricorso per cassazione in questione devono essere applicate le disposizioni di cui al capo 1 del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (in vigore dal 2.3.2006) e, per quel che occupa, quella contenuta nell’art. 366 bis c.p.c., alla stregua della quale l’illustrazione del motivi di ricorso, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 1-2-3- 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto; mentre per l’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorso deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione per cui la relativa censura; in altri termini deve cioè contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. (Cass In sez. un. 20603/07), che inoltre, ai sensi dell’art. 366 c.p.c. n. 6, il ricorso deve contenere sempre a pena di inammissibilità, la specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali si fonda;

che l’Amministrazione intimata si è costituita con controricorso.

Diritto

OSSERVA

Che, il primo motivo ricorso, con cui si contesta la determinazione della durata ragionevole del processo, non contiene alcuna adeguata formulazione di quesito di diritto in ordine alle questioni sollevate, non potendosi considerare tale la generica richiesta rivolta a questa Corte di emettere una decisione che dichiari, in relazione alla fattispecie concreta, quale debba considerarsi la durata ragionevole del processo nella fattispecie in esame, senza che siano individuate dal ricorrente stesso le questioni in punto di diritto sulla quali si interroga questa Corte ed in base alle quali dovrebbe essere decisa la fattispecie e sollecitando anzi,contrariamente a quanto previsto dalla legge, che sia questa Corte stessa ad affermare quale debba essere la corretta soluzione del caso di specie senza neppure alcun riferimento principio di diritto applicabile alla controversia;

che il secondo motivo ,con cui si deduce un vizio di motivazione, non contiene quanto richiesto dall’art. 366 bis c.p.c. dianzi riportato in quanto non si rinviene alcuna sintetica formulazione del dedotto vizio motivazionale;

che il ricorso risulta dunque inammissibile;

che alla soccombenza segue la condanna al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 800,00 per onorari.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2011

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