Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23949 del 15/10/2019

Cassazione civile sez. III, 15/10/2019, (ud. 10/07/2019, dep. 15/10/2019), n.25949

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20315-2017 proposto da:

M.P.A., domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARIA VINCENZINA NARDO;

– ricorrente –

contro

UNPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del procuratore speciale

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA ROMEO ROMEI 27, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO

ROMAGNOLI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

R.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 110/2017 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 24/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/07/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato NARDO MARIA VINCENZINA;

udito l’Avvocato PERROTTI PILADE per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.P.A., in sella alla sua bicicletta, nel centro abitato di (OMISSIS), è stato investito dalla vettura guidata da R.G., ed assicurata con la Fondiaria Sai spa (ora UnipolSai).

A causa dell’incidente, oltre ad abrasioni su parti del corpo, ha riportato una grave lesione del bulbo oculare, che ha comportato, oltre a diversi ricoveri ospedalieri, altresì un intervento chirurgico, effettuato all’Ospedale di Ferrara, e finalizzato alla ricostruzione della sede del bulbo oculare.

Ritenendo che il danno fosse responsabilità dell’investitore, il M. ha agito in giudizio contro quest’ultimo e la sua compagnia di assicurazione, l’unica a costituirsi in giudizio, essendo rimasto invece contumace il conducente.

Il Tribunale in primo grado ha assunto le prove testimoniali richieste, ed ha espletato CTU, finendo con l’accogliere la domanda di risarcimento dell’attore. Avverso tale sentenza ha proposto però appello principale lo stesso danneggiato, insoddisfatto dell’ammontare della liquidazione, ed appello incidentale la Fondiaria, che invece contestava le modalità dell’incidente, e lo riteneva del tutto inverosimile.

La Corte di Appello di Reggio Calabria ha accolto la tesi della Unipol Sai Assicurazioni, stabilendo, che in base agli elementi emersi in giudizio, le versioni dei testi erano inverosimili e non collimanti con il tipo di lesioni riportate e descritte nelle certificazioni mediche.

Ora contro quella sentenza di appello ricorre il M., con nove motivi, che denunciano vizi formali della sentenza e della procedura, e vizi nella valutazione delle prove. V’è costituzione della Fondiaria con controricorso, e memoria del ricorrente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- La ratio della sentenza è tutta nella attendibilità dei testi, che, nel giudizio di primo grado, hanno riferito di avere assistito all’incidente e di aver soccorso il M..

Secondo la corte di merito vi sarebbe discordanza tra quanto riferito dai testi circa le lesioni riportate dal M. e quanto invece attestato, in ordine sempre a tali lesioni, nelle certificazioni mediche.

Inoltre, le stesse modalità con cui sono stati individuati i testi portano a dubitare della loro genuinità, posto che all’inizio non erano affatto identificati, e solo con il tempo, sono stati indicati i loro nomi.

2.- Il M. propone nove motivi di ricorso.

In realtà il primo, pur formalmente rubricato come tale (senza indicazione di norme violate, se non il generico riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4), più che un motivo è la premessa dei motivi successivi, e, del resto, di premessa nella stessa rubrica si parla.

Non contiene in realtà alcuna contestazione specifica, quanto piuttosto la sintesi delle contestazioni che vengono svolte nel seguito del ricorso.

2.1- Con il secondo motivo il ricorrente ritiene che la sentenza di appello sia nulla per violazione dell’art. 434 c.p.c., avendo accolto un appello incidentale, quello della Assicurazione, del tutto privo di specificità. Secondo la ricorrente, invero, l’appellante incidentale, oltre a generiche censure rivolte alla sentenza di primo grado, avrebbe dovuto indicare una ricostruzione del fatto alternativa a quella fatta propria nella decisione appellata.

Questa tesi non è fondata.

Il giudizio di appello ha funzione di revisione del primo grado e per questo motivo non occorre che l’appellante proponga un progetto alternativo di sentenza da opporre a quello fatto proprio dal giudice di primo grado (Cass. 13535/ 2018).

2.2.- Con il terzo motivo invece il ricorrente denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 437 c.p.c.

La causa di merito si è tenuta con il rito del lavoro, vigente ratione temporis, e secondo il ricorrente, la deliberazione della decisione avrebbe dovuto essere preceduta dalla relazione della causa, momento utile per evidenziare alle parti nuovi temi di discussione o di contraddittorio.

Dal verbale della udienza di decisione invece risulta che la relazione non è stata fatta, in quanto non se ne fa menzione.

Il motivo è infondato.

La relazione della causa che, nei giudizi innanzi ad organi collegiali, deve precedere la discussione delle parti sia nel rito ordinario (art. 275 c.p.c.) che in quello del lavoro (art. 437 c.p.c.) non è prescritta a pena di nullità e la sua omissione non inficia, quindi, la validità della successiva sentenza, non essendo tale sanzione contemplata da alcuna specifica norma nè derivando la stessa dai principi fondamentali che regolano il processo civile (Cass. 23495/ 2010; Cass. 614/ 2003).

2.3.- Con il quarto motivo si denuncia violazione dell’art. 101 c.p.c., e art. 256 disp. att. c.p.c., oltre che gli artt. 24 e 111 Cost..

Secondo il ricorrente la corte di appello avrebbe posto d’ufficio, e dunque al di fuori di ogni contraddittorio e senza che venisse in qualche modo sollevata, la questione della falsità dei testi, evitando però di disporre la trasmissione degli atti in Procura della Repubblica, per via dell’ormai intervenuta prescrizione dell’eventuale reato.

Secondo il ricorrente la corte avrebbe deciso la controversia, negando verosimiglianza al fatto esposto dal danneggiato, sulla base della ritenuta falsità delle testimonianze assunte, in difetto di allegazione, domanda, o eccezione sul punto.

Ma il motivo è palesemente infondato, in quanto la corte ha valutato come inattendibili le testimonianze, per via del confronto con gli altri elementi di prova. Ovviamente rientra nella valutazione discrezionale delle prove da parte del giudice di merito stabilire se siano attendibili o meno, ed è ovvio che il giudizio probatorio è sulla attendibilità della prova, e cosi è anche per ciò che attiene alla falsità del teste, che, nel giudizio della corte, costituisce la ragione della inattendibilità stessa.

2.4.- Con il quinto motivo il ricorrente lamenta, sotto il profilo della violazione di legge, e segnatamente degli artt. 132, 4239 e 437 c.p.c., quelle che sono in realtà alcune irregolarità formali, e precisamente l’omessa trascrizione nella intestazione della sentenza delle conclusioni delle parti, ed il fatto che la decisione reca la data della prima udienza di conclusioni, poi rinviata a data successiva.

Si tratta, per come è evidente, di mere irregolarità che non hanno l’attitudine ad inficiare la sentenza, la quale risulta, quali parti che incidono sulla sua funzione, da motivazione e dispositivo, salva la correzione della data.

Nè può dirsi che, essendo omesso il riferimento alle conclusioni nell’ambito della intestazione o delle premesse della sentenza, non si capisce rispetto a quali conclusioni i giudici hanno deciso, posto che le conclusioni a cui attenersi sono quelle verbalizzate alla udienza dedicata, e quelle invero risultano espresse e verbalizzate.

2.5.- Sesto, ottavo e nono motivo possono esaminarsi congiuntamente e sono del tutto infondati.

Il ricorrente lamenta violazione degli artt. 115 e 116 sull’ammissione e valutazione delle prove, ma in modo del tutto incongruo.

Infatti, con il sesto motivo censura la valutazione discrezionale fatta dai giudici di appello quanto alla attendibilità dei testi in relazione alle risultanze documentali, ed arriva ad ipotizzare che essendo la sua ricostruzione dei fatti accettata dal CTU, avrebbe dovuto esserlo anche dai giudici.

La valutazione del valore probatorio delle testimonianze rientra nella discrezionalità del giudice di merito e non può essere censurata in Cassazione se non per vizio di motivazione (nei termini del nuovo testo) o per errore di percezione sul contenuto di una prova.

Con l’ottavo motivo, la medesima censura è fatta sotto il profilo dell’art. 115 che, è vero, vieta di considerare come liberamente apprezzabile una prova legale, ma non è stato affatto violato dalla corte in tal senso, in quanto nè testimonianze, nè documenti possono considerarsi come prove legali (a pagina 49 del ricorso, si legge: “occorre precisare che sia la prova testimoniale che quella documentale sono prove legali, alle quali il giudice è vincolato”).

Con il nono motivo, sempre nell’ottica di censurare le valutazioni di merito, il ricorrente assume violazione dell’art. 437 c.p.c. sostenendo che la corte di appello non avrebbe dovuto limitarsi a valutare diversamente le prove già assunte in primo grado, ma avrebbe dovuto usare poteri officiosi per integrare l’istruttoria o sentire nuovamente i testi.

E’ evidente che il rifiuto di una rinnovazione istruttoria, peraltro in gran parte preclusa in appello, è atto di discrezionale valutazione del giudice di merito, come già evidenziato, e comunque sia, il ricorrente non dice per via di quale ragione la corte avrebbe dovuto disporre una simile rinnovazione o su quali specifici aspetti farla.

2.6.- Con il settimo motivo, invece, il ricorrente si duole della nullità della sentenza per violazione dell’art. 416 c.p.c. ed anche dell’art. 2697 c.c.

In sostanza i giudici di merito avrebbero dato credito alla compagnia di assicurazione, pur in presenza di una mancata precisa contestazione dei fatti da parte di quest’ultima.

Anche questo motivo si traduce in una inammissibile richiesta di rivalutazione dei fatti, qui preclusa, in quanto assume che la corte di appello avrebbe dato peso a mere allegazioni della compagnia di assicurazione che non ha contrastato le richieste istruttorie del ricorrente con richieste di pari specificità e rilevanza, bensì attraverso testi indiretti, e prove di altrettale natura.

Va da sè che la corte avrebbe potuto rigettare la domanda, ritenendola non provata, per inattendibilità dei testi di parte attrice, pur in difetto di qualunque prova da parte del convenuto, che, per regola generale non è incaricato di dimostrare alcunchè. Nè il fatto che non adduca prove specifiche è segno che non contraddice la domanda o addirittura non la contesta, prestandovi assenso. Il ricorso va pertanto rigettato e le spese seguono al soccombenza.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese nella misura di 7800,00 Euro, oltre 200,00 Euro di spese generali. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2019

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