Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23949 del 12/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 12/10/2017, (ud. 22/03/2017, dep.12/10/2017),  n. 23949

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10902-2015 proposto da:

Z.V., Z.G., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA FONTANELLA BORGHESE 72, presso lo studio dell’avvocato

PAOLO VOLTAGGIO, rappresentati e difesi dall’avvocato PIER PAOLO

GUGNONI giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

G.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F.

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato EMANUELE COGLITORE,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIER GIUSEPPE

DOLCINI giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

C.B.;

– intimato –

Nonchè da:

C.B., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G.P.DA

PALESTRINA 19, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO PAGLIARI, che

li rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO ROLI

giusta procura speciale a margine del controricorso e ricorso

incidentale;

– ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 629/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 27/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/03/2017 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e incidentale;

udito l’Avvocato PIER GIUSEPPE DOLCINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione del 7 agosto 2003, G., D., T. e Z.V. convenivano innanzi al Tribunale civile di Forlì, C.E. (tecnico comunale del Comune di Meldola), G.C. (sindaco del predetto comune) e C.B. (privato autorizzato all’attività di estrazione nella cava sita in proprietà degli attori) per chiedere il risarcimento dei danni non patrimoniali subiti a causa delle condotte penalmente rilevanti poste in essere dai convenuti e costituite dal reato di falso in atto pubblico e di abuso d’ufficio, fatti per i quali era stato celebrato un giudizio penale concluso con sentenza passata in giudicato di condanna di C. per il reato previsto dall’art. 479 c.p. e declaratoria di non doversi procedere per prescrizione relativamente al reato di abuso ascritto in concorso ai tre convenuti. Gli attori, nel procedimento penale, si erano costituiti parti civili, vedendosi riconoscere il risarcimento limitatamente al danno morale connesso al reato di falso accertato a carico di C., mentre in sede civile avevano agito per ottenere il risarcimento dei residui danni non patrimoniali (danno morale, esistenziale e bio-psicologico, connesso alla condotta illecita di abuso d’ufficio ascritta i tre convenuti). Si costituivano i convenuti contestando la domanda.

2. Con sentenza n. 403 del 2007 il Tribunale di Forlì ha ritenuto integrati gli elementi costitutivi della fattispecie prevista dall’art. 2043 c.c. e, ritenuto provato il solo danno morale, condannava C. e G. al pagamento in favore di ciascuna delle parti danneggiate della somma di Euro 2500, rigettando la domanda proposta nei confronti di C., considerando esaustivo il risarcimento già liquidato dalla Corte d’Appello penale di Bologna, nella medesima somma.

3. Avverso la sentenza del Tribunale hanno proposto appello G.C., contestando la capacità di intendere di volere degli attori e, conseguentemente, di percepire il pregiudizio riconosciuto dal Tribunale; C.B. ha proposto appello incidentale per la riforma integrale della sentenza; gli attori, Z., hanno proposto appello incidentale per ottenere il risarcimento del danno esistenziale e per una più equa liquidazione di quello morale connesso al reato di abuso, nei confronti dei soli G.C. e C.B..

4. La Corte d’Appello, con sentenza pubblicata il 27 febbraio 2014, dopo avere dato atto che le statuizione relative alla posizione di C.E. erano passate in giudicato, rigettava gli appelli proposti in via principale da G.C. e, in via incidentale, da C.B. e da G., D., T. e Z.V., con condanna di G. e C. a rifondere, in favore dei Z. due terzi delle spese del giudizio di gravame.

5. Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione G. e Z.V. sulla base di due motivi. Resiste con controricorso G.C.. Propone controricorso, con ricorso incidentale, C.B., sulla base di tre motivi.

6. C.C. depositata memoria con la quale richiama tutte le domande, istanze ed eccezioni svolte. G. e Z.V. depositano memoria ai sensi dell’art. 378 codice di rito.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La motivazione viene redatta in forma semplificata in adempimento di quanto previsto dal decreto n. 136-2016 del Primo Presidente della Corte Suprema di cassazione, non avendo il presente provvedimento alcun valore nomofilattico.

2. Preliminarmente destituita di fondamento è l’eccezione di tardività del ricorso sollevata con il controricorso di G.C.. Osserva il controricorrente che il termine lungo per impugnare la sentenza di appello decorre dal 27 febbraio 2014, con conseguente scadenza alla data del 13 aprile 2015, mentre l’atto di appello risulterebbe notificato in data 28 aprile 2015, oltre l’inutile decorso del termine utile.

3. La censura è infondata poichè secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza occorre fare riferimento, riguardo alla posizione del notificante, non alla data di ricezione della notifica dell’atto di appello, ma alla data della spedizione che, nel caso di specie, è quella del 10 aprile 2015, mentre le notifiche sono pervenute rispettivamente in data 27 e 28 aprile 2015.

4. Con i motivi di ricorso si denuncia: con il primo motivo i ricorrenti deducono l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione ai sensi dell’art. 360, n. 5 codice di rito non avendo la Corte territoriale considerato che i fratelli Z. avevano ricevuto, dalla complessa vicenda, un nocumento consistente, non solo, nel peggioramento la qualità della vita, sia sociale sia familiare, ma anche nelle sofferenze per aver dovuto effettuare scelte di vita diverse da quelle che altrimenti avrebbero affrontato.

5. Il motivo è inammissibile perchè la nuova formulazione della norma cui parte ricorrente fa riferimento non consente di valutare le censure oggetto del ricorso. Nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134, non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del medesimo art. 360 c.p.c., n. 4 (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 13928 del 06/07/2015, Rv. 636030). In particolare, parte ricorrente avrebbe dovuto indicare il fatto storico di cui esame sarebbe stato omesso, il dato, testuale o extratestuali, da cui ne risulti la esistenza, il come ed il quando, nel quadro processuale, tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti e la decisività del fatto medesimo. Nessuno di tali presupposti è stato rispettato perchè i ricorrenti non hanno individuato, con specificità, i fatti storici o le questioni giuridiche che la Corte avrebbe omesso di considerare. Al contrario, i giudici di merito hanno evidenziato che i ricorrenti hanno messo di fornire qualsiasi prova concreta degli ulteriori pregiudizi di natura non patrimoniale subìti, essendosi limitati a generiche deduzioni in ordine alla sussistenza di danni ulteriori, precisando (e questo anche in sede di ricorso per cassazione) di essere stati “costretti a una vita relegata e, ingiustamente, condotta come da persone e reietta, vedendosi respinte ed insoddisfatte aspettative ed esigenze relazionali in seno alla comunità”. Tali affermazioni sono state correttamente ritenute del tutto generiche e prive di ogni riscontro probatorio. A fronte degli specifici rilievi della Corte territoriale i ricorrenti si sono limitati, sostanzialmente, a dedurre che “non può certo disconoscersi che i fratelli Z. abbiano ricevuto, da questa interminabile vicenda, un nocumento consistente, non solo nel peggioramento della qualità di della vita, sia sociale sia familiare, ma anche nelle sofferenze per avere dovuto effettuare scelte di vita, sia occupazionali, sia relazionali, diverse da quelle che, altrimenti, avrebbero affrontato”.

6. Il motivo è, pertanto, inammissibile anche per la assoluta genericità risolvendosi in una mera affermazione dell’esistenza di un pregiudizio esistenziale senza confrontarsi con la motivazione adottata dalla Corte territoriale al fine di alleviare specifici elementi sulla base dei quali ritenere sussistente un concreto pregiudizio esistenziale.

7. Con il secondo motivo deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 codice di rito, con riferimento al decreto ministeriale n. 140 del 2012 rilevando che la Corte d’Appello avrebbe dovuto tenere conto della natura e della complessità della controversia, del numero e dell’importanza delle questioni trattate nel determinare la somma complessiva delle spese di lite.

8. Il motivo è inammissibile perchè i ricorrenti intendono sottoporre alla Corte di legittimità il profilo della misura della liquidazione delle spese senza allegare alcun elemento concreto sulla base del quale ritenere contraria alla legge la valutazione operata dal giudice di appello. Sotto tale profilo la censura è caratterizzata da assoluta ed insanabile genericità.

9. Il primo motivo di ricorso incidentale, C.B. lamenta violazione degli artt. 1362,2059 e 2043 c.c., nonchè artt. 116 e 132 codice di rito, in relazione all’art. 360, n. 3 codice di rito, per avere riconosciuto a D. e Z.V. il risarcimento del danno morale sebbene gli stessi fossero incapaci di percepirlo, a causa della totale deficienza mentale congenita attestata da idonea certificazione medica proveniente da struttura pubblica. I giudici di merito avrebbero ritenuto erroneamente ininfluente la certificazione medica acquisita, senza tenere in adeguata considerazione la patologia riscontrata (oligofrenia congenita).

10. Il motivo è inammissibile poichè fondato esclusivamente su valutazioni in fatto relative alla natura e alla rilevanza della patologia di cui sarebbero affetti i danneggiati e sull’idoneità della stessa ad escludere ogni forma di percezione del dolore. Si tratta di valutazioni che competono esclusivamente al giudice di merito e che non possono essere oggetto di sindacato in sede di legittimità cui, invece di chiede di riesaminare nel merito l’attività istruttoria espletata e il valore della documentazione menzionata dal ricorrente incidentale (Cass. S.U. n. 8053/14).

11. Sotto altro profilo, e sempre nell’ambito del medesimo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del’art. 112 codice di rito, in relazione all’art. 360, n. 4 codice di rito perchè la Corte d’Appello non avrebbe esaminato il quattordicesimo motivo di gravame con il quale era stata censurata la decisione del giudice di primo grado che aveva negato l’ammissione della consulenza medico-legale tesa ad accertare l’effettiva capacità degli attori.

12. La censura è inammissibile non potendo il ricorrente lamentarsi per la mancata ammissione di una consulenza tecnica, dato che tale mezzo istruttorio (che non costituisce una prova vera e propria) è sottratto alla disponibilità delle parti ed è affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario giudiziario (Sez. 1, Sentenza n. 15219 del 05/07/2007, Rv. 598312).

13. Con il secondo motivo il ricorrente incidentale lamenta violazione degli artt. 40,110 e 323 c.p., nonchè artt. 1362,2697 e 2729 c.c. e artt. 115,116 e 132 c.p.c., poichè la Corte territoriale avrebbe motivato solo apparentemente, con generico riferimento alle sentenze penali, sulla sussistenza della prova del concorso nella commissione nel delitto di abuso in atti di ufficio contestato al ricorrente, in base a presunti seri indizi e a condotte plurime che sarebbero state affermate dai giudici penali. Al contrario, sulla base di quanto già dedotto davanti ai giudici di merito, dell’esame degli atti, delle prove espletate e dei documenti esaminati, non ergerebbero elementi sufficienti per affermare la responsabilità del ricorrente nel reato di abuso d’ufficio.

14. Il motivo è inammissibile poichè si richieda la Corte di rivalutare esclusivamente circostanze di fatto, che sono già state oggetto di indagine da parte dei giudici civili e penali nell’ambito del procedimento che si è concluso con sentenza penale della Corte di Cassazione dell’8 luglio 2003 che dichiarava inammissibile il ricorso in ordine al concorso nella commissione del delitto di abuso in atti di ufficio (Cass. S.U. n. 8053/14, citata).

15. Ne consegue che il ricorso principale e quello incidentale devono essere deve essere dichiarati inammissibili ed in considerazione della reciproca soccombenza le spese vanno compensate, dandosi atto della sussistenza, per il ricorrente principale e quello incidentale, dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17: “Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

PQM

 

dichiara inammissibile il ricorso principale e quello incidentale e compensa integralmente le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2017

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