Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23947 del 12/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 12/10/2017, (ud. 22/03/2017, dep.12/10/2017),  n. 23947

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7122-2015 proposto da:

B.F., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

STEFANO TRINCO giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VARRONE 9,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO VANNICELLI, rappresentato e

difeso dagli avvocati ANDREA TABARELLI DE FATIS, CINZIA ZAMPICCOLI

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL IN LIQUIDAZIONE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 318/2014 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 04/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/03/2017 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 28 maggio 2010, S.P. conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Rovereto, la S.r.l. (OMISSIS) e l’architetto B.F. per sentirli condannare, in solido, al risarcimento dei danni subiti a seguito delle opere di ristrutturazione eseguite dalla società, nel mese di (OMISSIS), nell’appartamento sottostante a quello di proprietà dell’attore, con la direzione dei lavori del B., responsabile, altresì, della sicurezza. Aggiungeva che i danni erano consistiti nel cedimento del pavimento del proprio appartamento che si era abbassato di alcuni centimetri. Si costituiva in giudizio B.F. chiedendo il rigetto della domanda e assumendo che la responsabilità era da attribuire alla società (OMISSIS) la quale, a sua volta, chiedeva il rigetto della domanda e, in subordine, di essere manlevata dal B..

2. Il Tribunale, con la sentenza decisa il 21 aprile 2012 e depositata il 25 marzo 2013, accertava che i danni subiti dall’immobile di proprietà dell’attore erano ascrivibili alla pari responsabilità dei due convenuti, condannandoli – in solido – al risarcimento dei danni.

3. Con atto di citazione del 23 ottobre 2013 proponeva appello B.F. affidandosi a tre motivi. Si costituiva il fallimento (OMISSIS) S.r.l., dichiarato dal Tribunale di Rovereto con sentenza del 28 dicembre 2012, eccependo l’improcedibilità dell’appello. Con sentenza datata 14 ottobre 2014 la Corte d’Appello di Trento dichiarava l’improcedibilità dell’appello proposto riguardo alla posizione del fallimento Costruzioni, già in liquidazione e lo rigettava, quanto alla posizione di S.P..

4. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione B.F. sulla base di sei motivi. Resiste in giudizio S.P. con controricorso e deposita memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La motivazione viene redatta in forma semplificata in adempimento di quanto previsto dal decreto n. 136-2016 del Primo Presidente della Corte Suprema di cassazione, non avendo il presente provvedimento alcun valore nomofilattico.

2. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione ed errata applicazione dell’art. 348 codice di rito e carenza o contraddittorietà della motivazione, rilevando che la Corte d’Appello avrebbe dichiarato l’improcedibilità dell’appello, mentre tale istituto è disciplinato dall’art. 348 codice di rito, che individua solo due fattispecie: la mancata costruzione e la mancata comparizione dell’appellante alla prima udienza.

3. Il motivo è inammissibile, non avendo il ricorrente interesse a censurare tale statuizione, in quanto il capo della sentenza oggetto di gravame riguarda la posizione della società (OMISSIS) In ogni caso, la questione relativa all’eventuale nullità della sentenza di primo grado non è stata dedotta in appello e viene sollevata tardivamente per la prima volta nel giudizio di legittimità, mentre la Corte territoriale ha correttamente rilevato che la domanda formulata dal ricorrente era inidonea a condurre ad una pronuncia di merito, opponibile alla massa, non avendo il B. dichiarato espressamente di volere utilizzare il titolo, dopo la chiusura del fallimento, per agire nei confronti del debitore ritornato in bonis (Cass. 21 gennaio 2014, n. 1115).

4. Con il secondo motivo deduce violazione della L. Fall., art. 43 in relazione alla mancata rilevabilità d’ufficio, all’immediata declaratoria di interruzione, ex art. 300 codice di rito, nonchè alla mancata riassunzione nei termini di cui all’art. 305 codice di rito e conseguente inesistenza della sentenza di primo grado, stante la intervenuta estinzione della causa, nonchè carenza di motivazione. In particolare, a causa della dichiarazione di fallimento intervenuta nel tempo trascorso tra la precisazione delle conclusioni e la pubblicazione della sentenza, il giudice avrebbe dovuto rilevare l’immediata interruzione della causa, anche di ufficio, la mancata riassunzione nei termini di legge, con la conseguenza che la sentenza emessa dal Tribunale avrebbe dovuto essere dichiarata inesistente.

5. Il motivo è inammissibile per le medesime ragioni oggetto della doglianza precedente, non avendo il ricorrente interesse a rilevare la questione. In ogni caso si tratta di censura manifestamente infondata, poichè il fallimento della società Costruzioni è stato pronunziato dal Tribunale di Rovereto con sentenza del 28 dicembre 2012, quando le parti avevano precisato le conclusioni, all’udienza del 18 gennaio 2012, erano trascorsi i termini per il deposito delle comparse conclusionali e relative memorie di replica e la causa era stata trattenuta per la decisione. E’ evidente che gli effetti prospettati dal ricorrente non possono verificarsi quando l’evento è intervenuto dopo che la causa è stata trattenuta per la decisione, e cioè sensi dell’art. 300 codice di rito.

6. Con il terzo motivo lamenta violazione di legge ed errata applicazione degli artt. 115 e 189 codice di rito, nonchè carenza e contraddittorietà della motivazione in quanto la Corte d’Appello erroneamente aveva rilevato che il ricorrente, non avendo richiamato in sede di precisazione le conclusioni le richieste istruttorie, avrebbe implicitamente rinunziato. Al contrario tali richieste sarebbero contenute nel verbale di precisazione delle conclusioni e nella memoria conclusionale.

7. Il motivo è inammissibile per totale difetto di autosufficienza essendosi il ricorrente limitato a contestare genericamente di avere “tanto a verbale, quanto soprattutto in sede di memoria conclusionale, richiamato tutte le conclusioni formulate”, senza trascrivere, documentale e individuare l’allocazione di tali documenti nell’ambito del fascicolo. Il motivo è inammissibile, altresì, poichè il ricorrente fa implicito riferimento all’ipotesi prevista dall’art. 360 codice di rito, n. 5 che, nella nuova formulazione non consente in alcun modo di valutare la contraddittorietà e l’insufficienza della motivazione trattandosi di decisione adottata in appello dopo l’anno 2012.

8. Con il quarto motivo deduce violazione dell’art. 115 codice di rito in merito all’esame ed alla valutazione delle prove fornite dalle parti; in particolare, la richiesta istruttoria che avrebbe consentito al ricorrente di dimostrare che i lavori di demolizione erano stati eseguiti quando il B. non era presente sul cantiere e senza essere consultato.

9. Il motivo è inammissibile per le medesime ragioni espresse con riferimento alla doglianza precedente, difettando del tutto il profilo della autosufficienza poichè il ricorrente non provvede a trascrivere il contenuto del capitolo di prova e, in particolare, a puntualizzare il profilo relativo alle “specifiche disposizioni” che avrebbe impartito all’impresa, come reiteratamente evidenziato dalla Corte d’Appello nella sentenza impugnata. In ogni caso, la censura è manifestamente infondata, come evidenziato dalla Corte territoriale (pagina 18 e 19) che ha sottolineato che il riferimento all’art 115 codice di rito è del tutto ininfluente, poichè la non contestazione sarebbe comunque riferibile alla posizione della Srl Costruzioni riguardo alla circostanza di non avere posto la puntellatura prima di procedere alla demolizione. Si tratta, però, di circostanze rispetto alle quali la posizione dell’attore S. è del tutto estranea, rendendo inopponibili allo stesso tali profili, anche perchè la responsabilità di B. è stata motivata dalla Corte territoriale sulla base di due argomentazioni autonome: la seconda delle quali, fondata sulla responsabilità dello stesso quale progettista, non sarebbe in alcun modo scalfita dalle considerazioni relative all’errata applicazione dell’art. 115 codice di rito. Come evidenziato nella sentenza impugnata “nessuna conclusione istruttoria fu rassegnata dall’odierna appellante in sede di precisazione delle conclusioni davanti al Tribunale”.

10. Con il quinto motivo lamenta violazione di legge, errata applicazione dell’art. 2043 c.c., non avendo la Corte territoriale indagato sulle eventuali specifiche responsabilità delle parti. Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. Carenza di motivazione.

11. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità non traducendosi in una censura alla decisione della Corte territoriale. Infatti, poichè il giudizio per cassazione è un giudizio sull’atto e non sul rapporto, la parte è onerata di censurare in maniera specifica la motivazione della decisione impugnata.

12. Con il sesto motivo deduce l’errata applicazione dell’art. 2055 c.c., ritenendo il principio di solidarietà estraneo alla fattispecie in oggetto, in quanto il comportamento del professionista era stato ineccepibile ed estraneo alla produzione del danno all’appartamento dell’attore.

13. Il motivo è inammissibile poichè si richiede alla Corte di legittimità di valutare nel merito i fatti e le prove del giudizio. In particolare, il ricorrente ritiene che il disposto dell’art. 2055 c.c. sarebbe applicabile soltanto nell’ipotesi in cui le condotte riferibili al progettista e direttore dei lavori, da un lato e alla impresa, dall’altro, “siano state tra loro indipendenti, a condizione che esse abbiano concorso in modo efficiente alla produzione dell’evento”, deducendo che, al contrario, il comportamento tenuto dall’architetto era stato ineccepibile ed estraneo alla produzione del danno all’immobile. Sotto tale profilo, pertanto, al di là dell’evidente e assoluta genericità delle deduzioni relative alla condotta del ricorrente, si richiede alla Corte di legittimità di verificare la correttezza del comportamento e l’estraneità del professionista alla produzione del danno, con una valutazione squisitamente in fatto e sul rapporto, del tutto inibita a questa Corte.

14. Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza.

15. Il ricorso è stato proposto avverso una sentenza depositata dopo l’entrata in vigore della riforma processuale introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40. Al presente giudizio è di conseguenza applicabile l’art. 385 c.p.c., comma 4, il quale – introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, ed applicabile ai giudizi di cassazione avverso sentenze pronunciate dopo la sua entrata in vigore, ai sensi dell’art. 27 D.Lgs. citato – consente la condanna del ricorrente che abbia agito con colpa grave al pagamento di una somma, equitativamente determinata, in favore della controparte. L’art. 385 c.p.c., comma 4, infatti, è stato abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46: tuttavia, per espressa previsione dell’art. 58, comma 1 quest’ultima legge, le disposizioni ivi contenute che modificano il codice di procedura civile “si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore”, con la precisazione che per “giudizi instaurati dopo l’entrata in vigore” della L. n. 69 del 2009, debbono intendersi quelli iniziati in primo grado dopo il suddetto momento. Ai fini della condanna ex art. 385 c.p.c., comma 4 ovvero ex art. 96 c.p.c., comma 3, l’infondatezza “in iure” delle tesi prospettate in sede di legittimità, in quanto contrastanti con la giurisprudenza consolidata, costituisce indizio di colpa grave così valutabile in coerenza con il progressivo rafforzamento del ruolo di nomofilachia della Suprema Corte. L’ipotesi ricorrente nel caso di specie di proposizione di un ricorso esclusivamente in fatto e privo di autosufficienza, così prospettando motivi inammissibili per consolidato orientamento pluridecennale, e comunque anche per la modalità di redazione dell’atto, per la errata individuazione del vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5 costituisce per giurisprudenza di questa Corte indice di colpa grave (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3376 del 22/02/2016 (Rv. 638887).

16. Il ricorrente va, pertanto, condannato al pagamento di una somma, equitativamente determinata, in favore della controricorrente. Nel caso di specie, tale somma può identificarsi col dispendio di tempo ed energie necessariamente impiegati per i colloqui col difensore e l’approntamento della difesa. Tale pregiudizio, considerati la durata del processo e l’oggetto di esso, può equitativamente liquidarsi ex art. 1226 c.c., in Euro 10.000 attuali.

17. Infine, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1,comma 17: “quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

PQM

 

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge e condanna, in favore del controricorrente, alla somma di Euro 10.000 ai sensi dell’art. 385 c.p.c., oltre interessi nella misura legale decorrenti dal deposito della sentenza.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 22 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2017

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