Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23944 del 29/10/2020

Cassazione civile sez. II, 29/10/2020, (ud. 07/07/2020, dep. 29/10/2020), n.23944

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5631-2016 proposto da:

S.G., L.F., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA G.MONTANELLI 11, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO

ANDRIOLA, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIUSEPPE CIMINO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

P.G., C.L., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA CRESCENZIO 58, presso lo studio dell’avvocato SAVINA BOMBOI, che

li rappresenta e difende unitamente all’avvocato BRUNO COSSU, giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

L.G., B.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 968/2015 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 23/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/07/2020 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 21 giugno 2011 il Tribunale di Genova accolse la domanda proposta da S.G. e L.F. nei confronti di P.G. e C.L., e per l’effetto condannò questi ultimi a rilasciare l’area costituita dalla copertura calpestabile del vano “ex cisterna” ed a ripristinare lo stato dei luoghi; condannò inoltre L.G. e B.S. – terzi chiamati in evizione – a rifondere ai convenuti le spese relative alla rimessione in pristino.

2. Impugnata in via principale dai P.- C. e in via incidentale dai chiamati L.- B., la decisione è stata riformata dalla Corte d’appello di Genova che, con sentenza pubblicata il 23 luglio 2015, ha rigettato la domanda degli attori S.- L., dopo averla qualificata come rivendica.

2.1 L’esame dei titoli, a partire dal rogito 6 settembre 1982, secondo la Corte territoriale dimostrava che il vano ex cisterna non apparteneva in esclusiva agli attori.

3. S.G. e L.F. hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi. Ai quali resistono, con controricorso P.G. e C.L.. Non hanno svolto difese in questa sede L.G. e B.S.. I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è denunciata violazione o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. e si contesta che la Corte d’appello abbia esaminato il rogito notaio Si. del 6 settembre 1982. Il documento era stato prodotto nel giudizio di primo grado per supportare l’eccezione di carenza di legittimazione attiva dalla quale i convenuti erano decaduti, come correttamente rilevato dal Tribunale il quale, infatti, non aveva tenuto conto del documento.

1.1 La doglianza è infondata.

La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dell’art. 345 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis, che consentiva la produzione di nuovi documenti in appello se ritenuti indispensabili, superando anche eventuali preclusioni.

Come definitivamente chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 04/05/2017 n. 10790, nel giudizio di appello costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo previgente rispetto alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, quella di per sè idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado.

La circostanza che il documento fosse stato prodotto a sostegno dell’eccezione di carenza di legittimazione attiva non poteva ostacolare l’utilizzo del documento, da parte del giudice, ad altri fini, nella specie al fine di ricostruire i passaggi di proprietà del vano in contestazione.

2. Con il secondo motivo, che denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 948 c.p.c., i ricorrenti contestano la qualificazione della domanda di rilascio da essi proposta come rivendica. In realtà, non esisteva conflitto sui titoli, posto che i convenuti avevano riconosciuto la proprietà del vano in capo agli attori, assumendo di essere titolari soltanto del diritto di calpestio.

2.1. La doglianza è inammissibile.

L’erronea interpretazione della domanda non è censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè non viene in discussione il significato della norma in assunto violata ma la sua concreta applicazione operata dal giudice di merito, il cui apprezzamento, al pari di ogni altro giudizio di fatto, può essere esaminato in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione, nei limiti in cui tale sindacato è consentito dal vigente art. 360 c.p.c., n. 5 (ex plurimis, Cass. 03/12/2019, n. 31546; Cass. 24/07/2012, n. 12944; Cass. 26/06/2007, n. 14751).

3. Con il terzo motivo è denunciata violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 948 c.c., e si lamenta l’errore processuale in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello nel qualificare la domanda come rivendica in assenza di sollecitazione sul punto da parte degli appellanti. Sarebbe stato superato il limite della devoluzione, dato dalle allegazioni e richieste delle parti. Si lamenta inoltre che il documento in oggetto non sarebbe stato ritualmente prodotto nel giudizio di primo grado, in cui era stato soltanto esibito dal CTP, e neppure nel giudizio d’appello, non essendo stato indicato specificamente nell’atto di appello, nè a verbale d’udienza.

3.1. La doglianza è in parte inammissibile ed in parte infondata.

3.1.1. La questione della asserita irrituale produzione del documento è nuova, in quanto di essa non v’è traccia nella sentenza impugnata, e i ricorrenti, sui quali grava l’onere di specificazione, non precisano come e dove l’avrebbero prospettata al giudice di secondo grado, con conseguente inammissibilità della relativa censura in sede di legittimità (ex plurimis, Cass. 13/06/2018, n. 15430; Cass. 09/08/2018, n. 20694).

3.1.2. Non sussiste la violazione del principio di corrispondente tra il chiesto ed il pronunciato. Vi era stata piena devoluzione della questione relativa all’appartenenza del vano e alla spettanza del diritto di calpestio, e la Corte d’appello ha proceduto all’esame dei titoli, come del resto aveva fatto il Tribunale nella sentenza di primo grado, di cui i ricorrenti neppure riportano il contenuto onde dimostrare che in quella sede la domanda sarebbe stata qualificata come di rilascio.

3.1.3. La Corte d’appello ha dato atto (pag. 3 della sentenza) che “la prima e fondamentale critica” alla decisione di primo grado concerneva nella mancata valutazione del rogito 6 settembre 1982, e quindi ha proceduto alla ricostruzione dei trasferimenti immobiliari pervenendo a conclusioni diverse da quelle alle quali era giunto il Tribunale.

In particolare, la Corte territoriale ha rilevato che nel rogito del 1982, intervenuto tra le sigg. Ca., remote comuni danti causa delle parti, e Lo.Al., dante causa prossimo degli attori, era previsto che l’acquirente Lo. avrebbe avuto diritto di attingere acqua “dalla cisterna posta in fregio al confine nord-ovest del giardino annesso all’immobile, quale cisterna resta comune, in parti uguali, tra il sig. Lo. e le sig. Ca. con obbligo di contribuire alle relative spese restando il diritto di calpestio sulla copertura riservato alla parte venditrice”. Ecco dunque che il contenuto del rogito del 1982, per un verso, smentiva l’assunto degli attori odierni ricorrenti, secondo cui essi avevano acquistato dal sig. Lo., nel 1993, la proprietà esclusiva del vano ex cisterna e, per altro verso, confermava che i convenuti odierni resistenti erano titolari del diritto di calpestio, come dagli stessi dedotto sin dalla prima difesa.

La Corte d’appello ha quindi chiarito che nel 1993 gli attori avevano acquistato dal sig. Lo. la quota pari alla metà del vano ex cisterna, essendo l’altra metà rimasta in proprietà delle sigg. Ca. e quindi pervenuta, dopo successivi trasferimento, ai convenuti, i quali l’avevano acquistata nel 2003 unitamente al diritto esclusivo di calpestio.

4. Con il quarto motivo, che denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, e nullità della sentenza e del procedimento, si assume che la Corte d’appello avrebbe posto a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio senza prima sottoporla al contraddittorio delle parti. I ricorrenti contestano di non avere avuto la possibilità di difendersi sulla questione della proprietà del vano ex cisterna, e in particolare di non aver potuto invocare, in quanto acquirenti di buona fede dal Lo., l’usucapione ai sensi dell’art. 1159 c.c.

4.1. La doglianza, peraltro genericamente strutturata, è infondata.

Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte” l’obbligo del giudice di stimolare il contraddittorio, ai sensi dell’art. 101 c.p.c., comma 2, vale solo per le questioni che il giudice rilevi effettivamente d’ufficio per non essere state dedotte dalle parti e non per le questioni che – pur rilevabili d’ufficio – siano state introdotte dalle parti sotto forma di eccezione c.d. in senso lato, in quanto tali questioni fanno già parte del thema decidendum (Cass. n. 29098 del 05/12/2017; Cass. Sez. U 22/03/2017, n. 7294).

Come emerge dal ricorso, nella parte in cui è riportato lo svolgimento del giudizio di primo grado, la questione della titolarità del vano apparteneva al thema decidendum sin dall’inizio, poichè i convenuti P.- C. avevano contestato la fondatezza della pretesa avversaria, e domandato l’accertamento della proprietà dell’area (in senso confrome anche a pag. 13 del controricorso).

5. Con il quinto motivo è denunciata violazione o falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1364,1366 c.c. e si contesta l’interpretazione dei titoli. I ricorrenti assumono, in particolare, che la Corte d’appello sarebbe incorsa in errore nel ritenere che con l’atto 16 novembre 1990 le sigg. Ca. avrebbero trasferito la quota di proprietà del vano ex cisterna, avendo omesso di valutare il contenuto della scrittura privata 5 novembre 1997, intervenuta tra Ca.An.Ma. e Lo.St.. Tale scrittura, successiva al rogito del 1990, sarebbe decisiva ai fini dell’interpretazione dell’intenzione dei contraenti manifestata nel predetto rogito. Risultava quindi violato il canone previsto dall’art. 1362 c.c., comma 2, secondo il quale il giudice deve considerare il comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto.

5.1. La doglianza è inammissibile per carenza di specificità.

I ricorrenti non riportano il contenuto degli atti che richiamano e ciò rende impossibile la verifica della corretta applicazione dei canoni di interpretazione, poichè questa Corte può procedere all’esame diretto degli atti solo a fronte di denuncia di error in procedendo, essendo in tal caso giudice del fatto processuale (ex plurimis, Cass. 25/09/2019, n. 23834; Cass. 13/03/2018, n. 6014).

6. Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti alle spese del giudizio di legittimità, nella misura indicata in dispositivo. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2020

 

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