Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23944 del 12/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 12/10/2017, (ud. 15/03/2017, dep.12/10/2017),  n. 23944

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28676-2014 proposto da:

M.M., ASSOCIAZIONE CULTURALE NEW FRONTIER in persona

del legale rappresentante legale p.t. sig. M.M.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 35, presso lo

studio dell’avvocato SAVERIA MOBRICI, che li rappresenta e difende

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

C.V., C.F., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA XX SETTEMBRE 98G, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPA

ZAVAGLIA, rappresentati e difesi dall’avvocato STEFANO RIZZO giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3562/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/03/2017 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 24/6/2014 la Corte d’Appello di Roma, quale giudice del rinvio disposto da Cass. n. 20181 del 2013, ha respinto il gravame interposto dal sig. M.M. e dall’Associazione culturale New Frontier in relazione alla pronunzia Trib. Rieti n. 37/08, di rigetto della domanda spiegata nei confronti dei sigg.ri V. e C.F. di risoluzione, per inadempimento, del contratto di locazione con questi ultimi stipulato avente ad oggetto l’impianto sportivo (OMISSIS), e di accoglimento viceversa della domanda nei loro confronti in via riconvenzionale dai medesimi locatori spiegata di risoluzione – per morosità – del contratto de quo.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il M. e l’Associazione culturale New Frontier propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi.

Resistono con controricorso i C..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo i ricorrenti denunziano “omesso esame” di fatto decisivo per la decisione, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Con il 2^ motivo denunziano “violazione e falsa applicazione” degli artt. 1453,1455 e 1183 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono inammissibili.

Va anzitutto osservato che essi risultano formulati in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che i ricorrenti fanno riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, al “ricorso notificato il 16 marzo 2005”, al “contratto sottoscritto in data 16/05-20/05/04”, a “n. 4 assegni bancari dell’importo ciascuno di Euro 12.500,00”, alla “domanda riconvenzionale”, alla sentenza del giudice di prime cure, all’atto di appello) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente (per la parte strettamente d’interesse in questa sede) riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deducono le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle sole deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

E’ al riguardo appena il caso di osservare che (anche) ai fini della censura della sentenza emessa dal giudice del rinvio i requisiti di formazione del ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c. vanno indefettibilmente osservati, a pena di inammissibilità del medesimo.

I requisiti di formazione del ricorso rilevano infatti ai fini della relativa giuridica esistenza e conseguente ammissibilità, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza del merito che in caso di mancanza dei medesimi rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso.

Vale al riguardo richiamare pronunzie di legittimità ove risulta in particolare sottolineato che tale principio (valido oltre che per il vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anche per il vizio di violazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) di autosufficienza del ricorso per cassazione, normativamente recepito all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, va invero conseguentemente osservato anche in ipotesi di non contestazione ad opera della controparte, quando cioè si reputi che una data circostanza debba ritenersi sottratta al thema decidendum in quanto non contestata (cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass., 19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190; Cass., 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n. 17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221).

Nè può assumere in contrario rilievo la circostanza che la S.C. sia in tale ipotesi (anche) “giudice del fatto”.

Giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità il requisito prescritto all’art. 366 c.p.c., n. 6 deve essere invero dal ricorrente comunque rispettato nella redazione del ricorso per cassazione (come ripetutamente affermato in particolare con riferimento all’ipotesi dell’error in procedendo ex art. 112 c.p.c.: cfr. Cass., Sez. Un., 14/5/2010, n. 11730; Cass., 17/1/2007, n. 978), giacchè pur divenendo la Corte di legittimità giudice anche del fatto (processuale), con potere-dovere di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali, preliminare ad ogni altra questione si prospetta invero quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diviene possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo, sicchè esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione la Corte Suprema di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (v. Cass., 23/1/2006, n. 1221, e, conformemente, Cass., 13/3/2007, n. 5836; Cass., 17/1/2012, n. 539, Cass., 20/7/2012, n. 12664, nonchè, da ultimo, Cass., 24/3/2016, n. 5934).

Va per altro verso sottolineato che, pur formalmente denunziando nell’intestazione del 1 motivo vizio di “omesso esame” di fatto decisivo, risulta nel corpo del motivo dai ricorrenti in realtà inammissibilmente dedotto un vizio di motivazione al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), giacchè alla stregua della vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel caso ratione temporis applicabile, il vizio di motivazione denunciabile con ricorso per cassazione si sostanzia solamente nell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche l'”erroneità” o l’insufficienza della motivazione, come viceversa nella specie, laddove i ricorrenti si dolgono della asseritamente “del tutto apodittica” affermazione “secondo cui la gravità dell’inadempimento dei locatori nel realizzare i lavori posti a loro carico andasse esclusa in ragione della natura non essenziale del termine fissato in contratto” (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, da ultimo, Cass., 29/9/2016, n. 19312).

Deve ulteriormente porsi in rilievo che la censura dei ricorrenti in realtà tende ad un’inammissibile rivalutazione dei fatti d’inadempimento ai fini di una riformulazione del giudizio di relativa gravità, il cui apprezzamento è invero rimesso al giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità in presenza di motivazione come nella specie congrua ed immune da vizi logici e giuridici (v. Cass., 3/10/2013, n. 22597; Cass., 23/3/2012, n. 4970; Cass., 26/7/2002, n. 11118; Cass., 22/5/1998, n.5114. Cfr. altresì Cass., 25/1/2012, n. 1028; Cass., 23/2/2006, n. 4009. E già Cass., 20/12/1967, n. 2982).

Relativamente al 2 motivo va infine osservato, da un canto, che inammissibilmente non risultano invero censurate le ulteriori rationes decidendi dell’impugnata sentenza (secondo cui: a) “del tutto legittimamente è stato assegnato prevalente rilievo al mancato integrale pagamento del canone a partire dal trimestre scaduto il 30.5.2005 e fino al rilascio, periodo nel quale i conduttori hanno pur continuato a godere del compendio immobiliare, le cui potenzialità operative sono risultate solo parzialmente incise da talune delle inadempienze ascrivibili ai locatori”; b) “ai conduttori era stata espressamente riservata la facoltà di disdetta entro il 28.2.2005 ai fini della cessazione del contratto alla scadenza del primo anno; di tale facoltà, nonostante i presunti gravi vizi dai quali sarebbe stato affetto il compendio immobiliare, i conduttori non si sono avvalsi”). Per altro verso, che non risultano invero nemmeno sviluppati argomenti in diritto con i contenuti richiesti dal combinato disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, essendosi i ricorrenti limitati a muovere apodittica e non ben comprensibile doglianza, sicchè quanto dedotto si risolve nella proposizione in realtà di un “non motivo” (cfr. Cass., 8/7/2016, n. 1274; Cass., 8/7/2014, n. 15475; Cass., 1/10/2012, n. 17318; Cass., 17/1/2012, n. 537).

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dei ricorrenti, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in realtà si risolvono nella mera rispettiva doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle loro aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via in realtà sollecitano, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi all’attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Trattandosi nel caso di ricorso per cassazione proposto avverso sentenza pubblicata dopo il 2 marzo 2006 (D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2) relativamente a giudizio instaurato in primo grado anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, e trovando nel caso applicazione non già l’art. 96 c.p.c., comma 3, bensì l’art. 385 c.p.c., comma 4 (giacchè la relativa abrogazione disposta dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 20, è ex art. 58, comma 1 medesima legge efficace soltanto per i ricorsi per cassazione proposti dopo l’entrata in vigore di detta legge, contro provvedimenti pronunciati nell’ambito di giudizi introdotti in primo grado dopo di essa: cfr. Cass., 17/2/2017, n. 4288; Cass. n. 5599 del 2014; successivamente, Cass. n. 4930 del 2015; Cass. n. 15030 del 2015; Cass. n. 2684 del 2016), ricorrendone i presupposti (stante l’esistenza di plurime ragioni di inammissibilità) va ai sensi del suindicato art. 385 c.p.c., comma 4, disposta la condanna del ricorrente al pagamento di ulteriore somma – che si stima equo fissare nella misura di Euro 3.000,00 – in favore dei controricorrenti.

PQM

 

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, in favore di quest’ultimo dell’ulteriore somma di Euro 10.000,00 ex art. 385 c.p.c., comma 4.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2017

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