Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23938 del 29/10/2020

Cassazione civile sez. II, 29/10/2020, (ud. 03/07/2020, dep. 29/10/2020), n.23938

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20345/2019 R.G. proposto da:

O.O., rappresentato e difeso dall’avv. Luigi Migliaccio,

con domicilio in Napoli, Piazza Cavour n. 139;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma,

Via dei Portoghesi n. 12;

– resistente –

avverso il decreto del Tribunale di Salerno, depositato in data

21.5.2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3/7/2020 dal

Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

O.O. ha chiesto la concessione della protezione internazionale, esponendo di provenire dalla (OMISSIS), ove aveva lavorato come addetto alla sicurezza per la Rubber Estets Nigeria LTD”; che, svolgendo servizio su strada per il controllo dei beni aziendali, era costantemente esposto al rischio di aggressione; di essersi licenziato e di aver abbandonato il paese di origine per giungere in Italia.

La richiesta è stata respinta dalla Commissione territoriale, con provvedimento confermato dal tribunale.

Il giudice di merito, dopo aver esaminato diffusamente la disciplina sostanziale e processuale della protezione internazionale, ha – nel merito – osservato che dal racconto dell’interessato non emergeva alcuna ipotesi di persecuzione (nè collettiva, nè individuale) ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, e che – riguardo alla protezione sussidiaria – non sussisteva nessun pericolo di danno grave come definito dall’art. 14, lett. A-C) decreto qualifiche, “non essendo in alcun modo ipotizzabile una condanna a morte o l’esecuzione della pena di morte e nemmeno un pericolo di tortura o altro trattamento inumano o degradante”.

Ha inoltre osservato che la situazione della regione di provenienza non consentiva di ravvisare un conflitto armato interno ai sensi della giurisprudenza nazionale e comunitaria, e che non sussistevano problemi di sicurezza in relazione ad episodi di violenza indiscriminata e ripetuta, sottolineando che, in base a quanto attestato dalle fonti internazionali (Report EASO 2019 sulla (OMISSIS)) il sud della (OMISSIS) (e, più in particolare, l'(OMISSIS)) era una zona relativamente tranquilla per quel che concerne la sicurezza (ben lontana da altre aree estremamente a rischio terrorismo, come ad es. il nord-est), ove non si registravano conflitti o significativi episodi di violenza da parte delle forze dell’ordine.

Il tribunale ha poi evidenziato che dal luglio 2018 non si erano verificati fatti di violenza, che la situazione politica, economica e di sicurezza dei cittadini, pur se critica ed in fase di peggioramento negli ultimi anni in tutto il paese, era diversa nelle diverse aree del paese e che nella zona di provenienza del ricorrente “non era riscontrabile una situazione di violenza diffusa tale da costituire un rischio di grave danno”.

Riguardo alla protezione umanitaria, la pronuncia ha escluso ragioni di particolare vulnerabilità soggettiva del richiedente o gravi ed oggettivi motivi di carattere umanitario, ritenendo irrilevante che l’istante avesse avviato un percorso di integrazione in Italia.

La cassazione del decreto è chiesta da O.O. con ricorso in due motivi, illustrati con memoria.

Il Ministero dell’interno ha depositato atto di costituzione ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza pubblica.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, art. 3, comma 3, 5 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver il tribunale ritenuto generiche le dichiarazioni dell’interessato, benchè questi avesse compiuto ogni sforzo per circostanziare la domanda mediante i documenti prodotti in giudizio, e per aver trascurato che il motivo principale della richiesta di protezione consisteva nell’esposizione al rischio della vita a seguito delle minacce ricevute, fatti che il giudice di merito deve accertare, con il dovuto impegno di collaborazione istruttoria.

Il motivo è infondato.

Il tribunale non ha affatto respinto la domanda di protezione internazionale per la inattendibilità delle dichiarazioni del resistente, ed anzi, dopo aver rilevato che il ricorrente non aveva allegato alcun rischio di persecuzione per accedere allo status di rifugiato, ha acquisito le informazioni da fonti qualificate in merito alle condizioni di sicurezza interna del paese di origine ai fini della concessione della protezione sussidiaria, evidenziando che, in base ai report Easo, di Amnesty international, del Ministero degli esteri e del sito (OMISSIS) della Luiss, l’area di provenienza ((OMISSIS)) non era esposta a fattori di instabilità, ad attentati terroristici o alla violenza indiscriminata che caratterizzava altre zone del paese (cfr. decreto, pag. 10).

Il dovere di cooperazione istruttoria risulta – quindi- pienamente assolto, avendo peraltro la sentenza logicamente considerato che il rischio dedotto in domanda, afferente alla particolare condizione lavorativa del ricorrente (impiegato in una servizio di sorveglianza presso un esercizi commerciale), era ormai cessato a seguito delle dimissioni.

2. Il secondo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver il tribunale negato la protezione umanitaria sulla base della ritenuta insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, benchè le condizioni richieste per ciascuna forma di protezione siano diverse ed autonome, e per aver omesso di valutare la condizione di vulnerabilità soggettiva e di compararla con quella acquisita in Italia.

Il motivo è infondato.

Non si ravvisa nella pronuncia impugnata alcun automatismo quanto al rigetto della protezione umanitaria in conseguenza della ritenuta carenza dei presupposti delle altre forme di protezione internazionale.

Il tribunale ha, in realtà, specificamente valutato la condizione di vulnerabilità del richiedente, evidenziando che il pericolo di aggressione era direttamente ricollegabile all’attività lavorativa svolta nel paese di origine e che era ormai cessata ogni esigenza di protezione, avendo l’interessato abbandonato l’impiego.

Il fatto, positivamente accertato, che il ricorrente non versava in condizioni di vulnerabilità soggettiva nel paese di provenienza rendeva superflua ogni indagine circa la situazione acquisita in Italia, posto che tale parametro può essere valorizzato non come fattore esclusivo, ma solo come circostanza che può concorrere ad integrare i presupposti per il rilascio del permesso per ragioni umanitarie (Cass. 4455/2018; Cass. s.u. 29459/2019).

Il ricorso è quindi respinto.

Nulla sulle spese, non avendo il Ministero svolto difese.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile, il 3 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2020

 

 

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