Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23936 del 29/10/2020

Cassazione civile sez. II, 29/10/2020, (ud. 03/07/2020, dep. 29/10/2020), n.23936

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20645/2019 R.G. proposto da;

A.S., rappresentato e difeso dall’avv. Giorgio Giuttari, con

domicilio eletto in Roma, Viale Eritrea n. 20;

– ricorrente-

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t..

– resistente –

avverso il decreto del Tribunale di Firenze, depositato in data

30.5.2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3/7/2020 dal

Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto del 30.5.2019, il Tribunale di Firenze ha confermato il provvedimento con cui la Commissione territoriale aveva respinto la domanda di protezione internazionale proposta da A.S..

Il ricorrente aveva dedotto di provenire da (OMISSIS), (OMISSIS), di essere di etnia (OMISSIS) e di fede (OMISSIS), di aver vissuto con i genitori, due sorelle, la seconda moglie del padre e i suoi fratellastri e che, con la morte dei genitori, i conflitti familiari si erano aggravati tanto che, per ragioni ereditarie, era stato vittima di un tentativo di omicidio; di aver lasciato il paese di origine per timore di essere ucciso.

Il Tribunale, dopo un articolato esame della disciplina processuale applicabile ratione temporis, ha ritenuto il racconto del richiedente asilo stereotipato, generico e a tratti confuso, evidenziando che, sebbene questi avesse dichiarato di esser stato aggredito unitamente alle sorelle, aveva poi tralasciato di confermare un episodio di aggressione con l’acqua bollente, rendendo la descrizione dei fatti sostanzialmente inattendibile.

Ha inoltre affermato che, anche a ritenere sussistenti i descritti contrasti familiari, non vi erano ragioni oggettive per credere che i fratellastri gli avessero usato violenza.

Ha infine negato la protezione sussidiaria per l’inattendibilità di quanto narrato e per esser stata prospettata solo una problematica interna al contesto familiare, osservando che dalle fonti accreditate era emerso che il (OMISSIS) era una delle democrazie più stabili del continente.

Quanto alla protezione umanitaria, la pronuncia ha evidenziato che, mentre il ricorrente è persona giovane, non affetta da malattie e con radicamento in Italia pressochè nullo, nel paese di origine egli aveva un lavoro che gli garantiva un qualche sostentamento.

La cassazione del decreto è chiesta da A.S. con ricorso in un tre motivi.

Il Ministero dell’interno ha depositato atto di costituzione ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza pubblica.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n.. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver il tribunale omesso di applicare il principio dell’onere della prova e per aver ritenuto inattendibili le vicende dedotte a fondamento della domanda di protezione, a causa del fatto che il ricorrente non aveva riferito dinanzi al tribunale un episodio di aggressione ai danni della sorellastra, narrato dinanzi alla Commissione territoriale, fatto quest’ultimo che non inficiava la complessiva credibilità dell’interessato, non potendo essergli imputato di non aver provato in via documentale i fatti allegati.

Il secondo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, del D.Lgs. n. 256 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 8 CEDU, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver il tribunale negato la protezione umanitaria, affermando che il ricorrente non aveva alcun radicamento in Italia e che godeva di una stabile occupazione nel paese di origine, circostanze che non avevano trovato alcun riscontro, dato che nulla era stato riferito in proposito dinanzi alla Commissione e che nessun elemento di prova era stato acquisito in giudizio.

Secondo il ricorrente, il giudice avrebbe erroneamente tralasciato la condizione di abbandono dovuto alla perdita del padre, i dissidi che laceravano la famiglia di origine e il grado di integrazione conseguito in Italia.

Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 24 Cost., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver il tribunale valorizzato le risultanze Coi senza sottoporne il contenuto al contraddittorio delle parti.

2. Il primo ed il terzo motivo, che possono esaminarsi congiuntamente, sono infondati.

Il tribunale ha escluso la sussistenza dei presupposti per la protezione internazionale, osservando che, come confermato dai rapporti Coi, il (OMISSIS) aveva avviato da tempo un percorso di normalizzazione e figurava come il paese africano con la democrazia più stabile, essendo del tutto assente un clima di violenza indiscriminata.

Lo stesso ricorrente aveva peraltro paventato rischi circoscritti al proprio contesto familiare e perciò una situazione estranea alle ipotesi in cui è ammessa la protezione, occorrendo la sussistenza di una minaccia grave e individuale alla vita, determinata dalla situazione generale del paese di origine, tale da aver raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione avrebbe corso, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia. La sola esposizione al rischio di violenze private non giustificava l’accoglimento della domanda (Cass. 21890/2019), la quale – in realtà – era fondata su circostanze non riconducibili neppure alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Quanto alle informazioni prese in considerazione dal tribunale, l’omessa sottoposizione al contraddittorio delle COI (“country of origin informations”) assunte d’ufficio ad integrazione del racconto del richiedente, non può ritenersi di per sè lesiva del diritto di difesa, poichè l’attività di cooperazione istruttoria è integrativa delle facoltà istruttorie concesse alla parte e non ne diminuisce le garanzie processuali, a condizione che il tribunale renda palese nella motivazione a quali informazioni abbia fatto riferimento, al fine di consentirne l’eventuale critica in sede di impugnazione.

La dedotta violazione può sussistere solo se – diversamente da quanto accaduto nel caso in esame – il ricorrente abbia esplicitamente indicato le COI, ma il giudice ne utilizzi altre, di fonte diversa o più aggiornate, che depongano in senso opposto, senza prima sottoporle al contraddittorio (Cass. 29056/2019).

3. Anche il secondo motivo è infondato.

Il fatto che il tribunale abbia ritenuto che il ricorrente non avesse conseguito alcuna integrazione sociale ed economica in Italia è del tutto ininfluente, avendo la pronuncia preliminarmente accertato le condizioni – tutt’altro che sfavorevoli – godute nel paese di origine, risultando irrilevante la comparazione con il grado di inserimento sociale conseguito in Italia.

Un tale raffronto deve esser svolto solo ove si riscontri il pericolo di una grave compromissione dei diritti fondamentali della persona con riferimento alla situazione generale del paese di provenienza e alla stessa condizione soggettiva del richiedente asilo (Cass. 4455/2018).

Questa Corte ha già stabilito che non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di non specifica compromissione dei diritti umani con riferimento al paese di origine (Cass. s.u. 29459/2019; Cass. 17072/2017).

Come ha affermato il giudice di merito, l’allegata sussistenza di un pericolo radicato nel solo contesto familiare non giustificava la concessione del permesso per ragioni umanitarie, restando incensurabile, in quanto pertinente al merito e logicamente motivato, lo stesso apprezzamento dell’adeguatezza della condizioni di vita del richiedente asilo nel paese di provenienza.

Il ricorso è quindi respinto.

Nulla sulle spese, stante la mera resistenza del Ministero.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile, il 3 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2020

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