Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23934 del 25/09/2019

Cassazione civile sez. lav., 25/09/2019, (ud. 03/07/2019, dep. 25/09/2019), n.23934

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26694/2015 proposto da:

LINEA VERDE DI R. B. & C. S.N.C., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PIETRO DELLA VALLE 4, presso lo studio dell’avvocato STEFANO GORI,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO PUDDU;

– ricorrente –

contro

C.D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dagli avvocati GIOVANNI BATTISTA LUCIANO e

ALESSANDRO UNALI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 69/2015 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 12/05/2015, R.G.N. 25/2014.

Fatto

RILEVATO

che:

La Corte d’Appello di Cagliari con sentenza resa pubblica il 12/5/2015, in riforma della pronuncia di primo grado accoglieva la domanda proposta da C.D. nei confronti della s.n.c. Linea Verde intesa a conseguire il pagamento di differenze retributive spettanti in relazione al rapporto di lavoro intercorso fra le parti nel periodo 6/2/1998-15/8/2003, avente ad oggetto lo svolgimento di mansioni attinenti alla manutenzione del verde cimiteriale della città di (OMISSIS) e corrispondenti alla qualifica di operaio comune.

Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione la società che si affida a tre motivi, successivamente illustrati da memoria ex art. 380.bis c.p.c., ai quali resiste con controricorso l’intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia l’omessa applicazione delle disposizioni del c.c.n.l. dei dipendenti e lavoratori agricoli.

Si lamenta che la Corte di merito sia pervenuta all’accoglimento della domanda attorea in relazione al quinquennio dedotto in lite, riconoscendo le relative differenze retributive, nonostante nei periodi 16/1/200215/3/2002 e 6/11/2002-7/12/2002 il rapporto fosse intercorso con diversa società, la Linea Verde s.r.l..

Nel ritenere che “il cambio datoriale dalla Linea Verde snc, unica aggiudicataria dell’appalto” fosse “avvenuto per unilaterale iniziativa della datrice di lavoro”, non avendo il C. “ricevuto alcun provvedimento formale di comando presso l’altra società, per essere poi nuovamente ripreso dall’effettiva datrice di lavoro”, si deduce che il giudice del gravame abbia violato il principio dell’onere probatorio, quanto alla dimostrazione e allegazione dei fatti posti a fondamento della domanda del ricorrente. Non si sarebbe infatti tenuto conto delle produzioni documentali allegate al fascicolo di parte e delle buste paga sottoscritte dal dipendente, oltre che delle comunicazioni indirizzate all’Ufficio del Lavoro competente, con riferimento ai periodi di assunzione e svolgimento dell’attività lavorativa.

2. Il motivo è inammissibile per plurime concorrenti ragioni.

Non può tralasciarsi di considerare il difetto di specificità della censura, che non reca la puntuale riproduzione del contenuto dei contratti intercorsi fra le parti ai quali fa riferimento, nè alle buste paga, del pari richiamate.

Ed invero, i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di specificità del ricorso per cassazione (vedi, ex multis, Cass. 13/11/2018 n. 29093).

In particolare, l’art. 366 c.p.c., comma 6, oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità. In altri termini, il ricorrente per cassazione, ove intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 – di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento. La violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile.

Nella specie, i documenti richiamati non risultano trascritti nel loro contenuto, nè parte ricorrente indica in quale parte del fascicolo gli stessi sarebbero rinvenibili.

3. Sotto altro versante, non va sottaciuto che la ricorrente nel ripercorrere l’attività istruttoria espletata in prime cure, tende a prospettare un esito dive su da quello delineato dal giudice del gravame, non consentito nella presente sede.

La valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono infatti apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (vedi ex aliis, Cass. 4/7/2017 n. 16467).

Orbene, deve rilevarsi che la Corte distrettuale, dopo aver rimarcato la riconducibilità ad iniziativa della Linea Verde s.n.c., della mutata indicazione della parte datoriale per i periodi innanzi indicati, ha proceduto ad un articolato accertamento in concreto del materiale istruttorio acquisito, argomentando in ordine alla valenza delle deposizioni testimoniali raccolte, valutandone il peso probatorio, individuando gli elementi fattuali riferiti e trascurati dal primo giudice che deponevano nel senso della unitarietà del rapporto inter partes, così pervenendo alla conclusione che lo stesso si era sviluppato ininterrottamente dal 6/2/1998 al 15/8/2003.

Si tratta di uno sviluppo argomentativo che non risponde ai requisiti della assoluta mancanza, della mera apparenza o della irredimibile contraddittorietà che avrebbero giustificato il sindacato nella presente sede legittimità, entro gli stringenti limiti sanciti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella interpretazione resa dalle Sezioni Unite di questa Corte (vedi S.U. 7/4/2014 nn. 8053 e 8054).

4. La censura palesa profili di inammissibilità anche laddove si lamenta che la Corte non avrebbe tenuto conto dei principi vigenti nell’ambito del lavoro subordinato in agricoltura, sicchè qualora come nella specie, non ricorra l’ipotesi di superamento nell’anno di 180 giornate di lavoro presso la stessa azienda nel lavoro subordinato in agricoltura, dal solo dato fenomenico della continuità della prestazione, non potrebbe desumersi l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

La questione proposta non è stata oggetto di trattazione nell’iter motivazionale che sorregge la pronuncia impugnata, e deve, pertanto, qualificarsi in termini di novità non essendo suscettibile di delibazione in questa sede.

Secondo l’insegnamento di questa Corte, invero, qualora, come nella specie, siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto dei giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio. (vedi ex plurimis, Cass. 9/8/2018 n. 20694).

Qualora, come nella specie, una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata nè indicata nelle conclusioni ivi epigrafate, il ricorrente che riproponga tale questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (cfr. Cass. 22/4/2016 n. 8206).

Nello specifico, per quanto sinora detto, la pronuncia della Corte distrettuale non reca alcun riferimento alla tematica del lavoro subordinato in agricoltura ed all’ipotesi del mancato superamento nell’anno di 180 giornate di lavoro presso la stessa azienda, nè la società deduce specificamente tempi e modi di prospettazione della questione nel corso del giudizio di merito, così non sottraendosi la censura, ad un giudizio di inammissibilità.

5. Con il secondo motivo, senza invocare specificamente alcun error in judicancio o in procedendo, nè alcun vizio riconducibile all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si critica il governo del materiale istruttorio disposto dal giudice d’appello, anche avuto riguardo alla valenza da questo conferita alla mancata risposta del legale rappresentante della società al disposto interrogatorio formale.

6. Il motivo palesa profili di inammissibilità.

Non può innanzitutto prescindersi dalla considerazione che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi.

Dette, requisito di specificità non appare riscontrabile nella fattispecie, in cui la ricorrente si è genericamente doluta del peso probatorio conferito dada Corte distrettuale alla mancata comparizione dell’Amministratore della società convenuta a rendere l’interrogatorio formale, lamentando nel contempo la contraddittorietà della motivazione e la contrarietà della stessa ai principi del giusto processo e della allegazione probatoria.

In ogni caso, la censura si palesa inammissibile anche ove si faccia riferimento all’insegnamento di questa Corte secondo cui il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (vedi ex plurimis, Cass. 10/6/2016 n. 11892, Cass. 26/9/2018 n. 23153).

7. Da ultimo, (terzo motivo) si criticano i conteggi posti a fondamento della decisione, “per l’omesso integrale esame dei documenti prodotti e cioè delle buste paga e dei titoli di pagamento, emessi dalla Linea Verde s.r.l. a favore del dipendente”.

Ma anche siffatta doglianza palesa i medesimi limiti riscontrati in relazione al primo motivo per difetto di specificità della censura che non reca, fra l’altro, neanche la puntuale riproduzione degli atti di cui si lamenta l’omessa valutazione.

8. In definitiva, alla stregua delle sinora esposte considerazioni, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Consegue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità nella misura in dispositivo liquidata.

Infine atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dela ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna fa ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%, ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 3 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2019

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