Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23933 del 22/10/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 23933 Anno 2013
Presidente: MASSERA MAURIZIO
Relatore: DE STEFANO FRANCO

PU

SENTENZA

sul ricorso 28670-2011 proposto da:
DAVANZALI

LUISA

DVNLSU49L711758N,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 262-264,
presso lo studio dell’avvocato D’ANDRIA CATALDO, che
la rappresenta e difende unitamente agli avvocati
SCALONI MARIO, DI PORTO ANDREA giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
1799

contro

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE TRASPORTI , PRESIDENZA
4

DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

MINISTERO DIFESA

80425650589, in persona dei rispettivi Ministri pro

1

Data pubblicazione: 22/10/2013

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che li rappresenta e difende per legge;
– controricorrenti nonchè contro

– intimata –

avverso la sentenza n. 3911/2010 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/10/2010 R.G.N.
1993/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 02/10/2013 dal Consigliere Dott. FRANCO
DE STEFANO;
udito l’Avvocato CATALDO D’ANDRIA;
udito l’Avvocato MASSIMO GIANNUZZI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso.

2

AMMINISTRAZIONE STATO ITALIANO ;

-

Svolgimento del processo

1. Aldo Davanzali adì il tribunale di Roma chiedendo la
condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei
Ministeri della Difesa e delle Infrastrutture e Trasporti
al risarcimento dei danni da lui patiti quale socio,

dei cui aeromobili era andato distrutto il 27.6.80 nel noto
disastro nei cieli ed al largo delle acque dell’isola di
Ustica; in particolare, l’attore individuò, quale fonte di
responsabilità, il fatto che Ufficiali dell’Aeronautica
Militare, distruggendo e manipolando prove, occultando e
alterando la verità, avevano con dolo o almeno con colpa
depistato le indagini sulla tragedia di Ustica, ovvero le
avevano indirizzate comunque verso inesistenti
responsabilità dell’Itavia, gravemente pregiudicandone la
prosecuzione dell’attività, tanto che questa cessava di lì
a poco: e rinvenne la fonte di responsabilità del Ministero
della Difesa nell’omessa sorveglianza dei militari soggetti
al suo controllo e quella del Ministero dei Trasporti
nell’omessa custodia di documenti di sua competenza. Le
convenute Amministrazioni negarono qualunque
responsabilità.
Avverso il rigetto della domanda – con condanna
dell’attore alle spese – da parte del tribunale di Roma,
con sentenza n. 1887/04, il Davanzali (a mezzo del suo
tutore, Giampiero Maldini, nelle more nominatogli)
interpose gravame, insistendo nella prospettazione del
depistaggio – mediante omertà e menzogne – sulla tesi del
.

cedimento strutturale del velivolo, fortemente penalizzante

3

amministratore e presidente di Aerolinee Itavia spa, uno

per l’Itavia, come causa del decreto di decadenza delle
concessioni e di revoca della convenzione da parte del
Ministero dei Trasporti: e contestando la tesi del
tribunale sull’esclusiva efficacia causale di tali ultimi
provvedimenti in ordine alla fine dell’Itavia ed ai danni

rispettare i termini per la proposizione di gravami
incidentali, invocando il rigetto del gravame.
Costituitesi, in luogo dell’appellante ed a seguito del
suo decesso, le eredi Luisa e Tiziana Davanzali, la corte
di appello capitolina rigettò peraltro il gravame – tranne
che sulle spese di lite, che finì per compensare – per
esclusione del nesso di causalità dei danni prospettati con
l’intenzionale attività, ascrivibile alle appellate, di
inquinamento probatorio ripetuta e duratura, pure
riconosciuta dal giudice di primo grado e riguardo
all’affermazione della quale rilevò non essere stata
ritualmente svolta alcuna – invece necessaria – incidentale
impugnazione.
Per la cassazione di tale sentenza, resa il 4.10.10 col
n. 3911, ricorrono ora le Davanzali, nella già dedotta
qualità di eredi di Aldo Davanzali; resistono, con unitario
controricorso, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed
i Ministeri della Difesa e delle Infrastrutture e
Trasporti; le ricorrenti, poi, producono memorie difensive
sia per l’udienza del 7.11.12, sia per quella del 2.10.13.
Motivi della decisione

4

da lui patiti. Le Amministrazioni si costituirono, ma senza

2. Le eredi Davanzali, ampiamente in ricorso richiamando
Cass. 10285/09 e diffusamente argomentando soprattutto sui
primi tre, sviluppano sei motivi e:
2.1. con un primo, si dolgono di “violazione e falsa
applicazione degli artt. 2043 c.c. e 28 Cost. e art. 22
D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, dell’art. 2056 c.c.,
dell’art. 1223 c.c., degli artt. 40 e 41 c.p., in relazione
all’art. 360 n. 3 c.p.c.. Insufficiente e contraddittoria
motivazione della pronuncia, in relazione all’art. 360
c.p.c., comma l, n. 5 con riferimento all’errata rilevanza
causale attribuita ai provvedimenti amministrativi di
decadenza e revoca delle concessioni di volo alla compagnia
Itavia”;
2.2. con un secondo, lamentano “violazione e falsa
applicazione degli artt. 2043 c.c. e 28 Cost. e art. 22
D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, dell’art. 2056 c.c., del 1223
c.c., degli artt. 40 e 41 c.p.; dell’art. 2697 c.c.; nonché
dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c..
Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della
pronuncia in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. nella parte
in cui afferma che i provvedimenti amministrativi abbiano
certificato una situazione di dissesto dell’Itavia
preesistente alla sciagura aerea”;
2.3. con un terzo, adducono “violazione e falsa
applicazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 2043 c.c. e
28 Cost. nonché art. 22 D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art.
2056 c.c., artt. 40 e 41 c.p., art. 1223 c.c., in relazione
all’art. 360 n. 3 c.p.c., nel non avere la Corte d’Appello
riconosciuto provata l’autonoma efficienza causale delle

5

azioni illecite poste in essere dalle Amministrazioni
convenute indipendentemente dai provvedimenti di revoca e
decadenza delle concessioni”;
2.4. con un quarto, deducono “omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione della pronuncia in relazione
all’art. 360 n. 5 c.p.c. con riferimento alla
responsabilità del Ministero dei Trasporti”;
2.5. con un quinto, lamentano “violazione e falsa
applicazione degli artt. 2059 c.c. e 2, 32, 41 Cost. in
relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.; nonché omessa
insufficiente o contraddittoria motivazione della pronuncia
con riferimento al mancato riconoscimento danni non
patrimoniali”;
2.6. un sesto, si dolgono di “violazione e falsa
applicazione degli artt. 210 e 213 c.p.c. con riferimento
all’affermazione secondo cui il giudice di primo grado
correttamente non avrebbe acquisito d’ufficio i decreti
ministeriali”;
2.7. nella memoria difensiva, depositata in vista
dell’udienza 7.11.12, insistono sulle carenze degli
accertamenti della corte di appello, conclusisi con
l’esclusione del nesso causale tra le condotte del
personale dei Ministeri ed il progressivo dissesto
dell’Itavia e con l’asserzione dell’esclusiva efficienza
causale di una pregressa situazione di gravissime
difficoltà economiche; e ricordano le dichiarazioni di
importanti uomini politici del tempo e la campagna, anche
di stampa, volta a presentare esclusiva responsabile del
disastro l’Itavia, così determinandone il transito da una

6

-

ordinaria situazione debitoria ad una irreversibile e
definitiva insolvenza;
2.8. nella memoria difensiva, depositata in vista
dell’udienza 2.10.13, richiamano, tra l’altro, a sostegno
delle proprie tesi la sentenza n. 1871 del 28 gennaio 2013

anch’essa sulla vicenda, ma relativamente alle pretese
risarcitorie delle vittime del disastro nei confronti delle
amministrazioni pubbliche ritenute coinvolte; ribadiscono,
quanto al giudicato penale invocato dalle controparti, la
reciproca insensibilità tra giudizio civile e penale,
soprattutto nella specie, per difetto di condizioni
oggettive e soggettive; sottolineano l’accertamento,
operato dai giudici di merito, di condotte diffuse da parte
delle convenute amministrazioni, con conseguente
irrilevanza dell’impossibilità di identificare le condotte
criminose di singoli appartenenti a quelle; diffusamente
contrastano l’esclusione del nesso di causalità operata
dalla corte territoriale, ricostruendo i fatti del tempo e
l’andamento della situazione finanziaria della Compagnia
compresi tra la sciagura aerea e l’adozione dei severi e
drastici provvedimenti amministrativi.
3. I controricorrenti, ricordati diffusamente – con
richiami agli atti processuali di primo e secondo grado – i
fatti e le vicende processuali penali seguite al disastro
di Ustica, culminate nella piena assoluzione degli
Ufficiali

dell’Aeronautica

Militare,

negano

la

responsabilità del Ministero dei Trasporti nella stessa

prospettazione di controparte, si dolgono della mancata

7

di questa stessa Corte di legittimità, intervenuta

specificazione delle condotte – e dei relativi autori – da
intendersi potenzialmente lesive e comunque contestano, in
piena adesione alla ricostruzione della corte territoriale,
qualunque nesso causale dotato di efficacia autonoma ed
esclusiva quanto alla progressiva dissoluzione dell’Itavia,

adverso

causata dalla risonanza mediatica della tesi, ex

prospettata come menzognera in quanto artatamente costruita
dai militari, del cedimento strutturale dell’aeromobile; né
mancano di contestare qualunque responsabilità concorrente
del Ministero dei Trasporti fondata sulla negligenza
nell’emanazione dei decreti di competenza, non essendo essi
stati nemmeno prodotti, o su condotte di depistaggio, poste
in essere – in tesi – dal personale dell’Aeronautica.
4. Va premesso che la corte territoriale:
4.1. riconosce che il giudice di primo grado ha ritenuto
“dimostrata una intenzionale attività di inquinamento
probatorio, ripetuta, duratura nel tempo, svolta a livelli
decisionali ed operativi, posta in essere da militari
dell’Aeronautica militare sia presso le strutture di base,
sia presso il vertice dell’Amministrazione”;
4.2. puntualizza che le doglianze delle appellate
amministrazioni relativamente a taluni capi della
motivazione della gravata sentenza non risultano tradotte
in una impugnazione incidentale, ancorché condizionata
all’accoglimento di quella principale: e che, comunque,
essa sarebbe stata inammissibile, per la tardività della
costituzione degli appellati;
4.3. nonostante la mancata produzione dei decreti del
Ministero dei Trasporti, ricostruisce il contenuto dei

8

I

medesimi, come riprodotto dalle Davanzali, nel senso della
loro univocità nel fondare la decadenza dalle concessioni e
la revoca della convenzione su di uno “stato di grave
disorganizzazione e di grave dissesto tali da poter
compromettere la continuità e la sicurezza dei servizi”,

4.4. riconosce, sulla base della (semplice) posteriorità
temporale dei decreti (21.1.81) rispetto alla sciagura
(27.6.80) e del successivo avvio di azioni giudiziarie
(7.2.81) ed esecutive (1.4.81) per il recupero di
ingentissimi crediti, culminato nella dichiarazione di
insolvenza della società (14.4.81) e nella successiva
sottoposizione ad amministrazione controllata (31.7.81), la
preesistenza al disastro di un grave squilibrio
finanziario, aggravatosi soltanto in dipendenza dei
provvedimenti di revoca: sicché l’avvaloramento di una tesi
di comodo sulla sciagura sarebbe privo di efficacia causale
sul dissesto;
4.5. esclude in concreto ogni responsabilità del
Ministero dei Trasporti, non essendo l’adozione dei decreti
di revoca ascrivibile a colpa, né stata contestata nelle
competenti sedi di impugnazione; e comunque qualifica
corretto il diniego di ufficiosa acquisizione dei decreti
stessi, in difetto di prova – e, prima ancora, di
allegazione – sull’impossibilità, per le onerate
danneggiate, di acquisirli direttamente o di produrli
altrimenti;
4.6. esclude la spettanza di danni non patrimoniali per
la sola attività di depistaggio dei militari, per essere

9

senza cioè alcun riferimento alla sciagura aerea;

correlata la dissoluzione della società a fatti aventi
autonoma ed esclusiva efficienza causale, diversi dalle
condotte di depistaggio;
4.7. finisce col compensare le spese processuali, in
dipendenza dell’indubbia complessità della fattispecie,

questioni di diritto.
5. Vanno esaminati, a questo punto, i primi tre motivi:
e tra loro congiuntamente, siccome connessi.
5.1. Ritiene questa Corte che elemento risolutore della
controversia sia l’accertamento in fatto, operato nei
pregressi gradi di merito ed oramai non più suscettibile di
essere rimesso in discussione, della sussistenza di
un’attività di depistaggio: tale accertamento, effettuato
dal giudice di primo grado, è qualificato dalla corte di
appello come non reso oggetto di un’impugnazione
incidentale, che sarebbe stata oltretutto inammissibile per
tardività; e sia l’accertamento che il rilievo della sua
definitività non risultano, a loro volta, oggetto di una
specifica impugnazione incidentale in questa sede.
Sul punto si è quindi formato, in via irretrattabile e
per scelta processuale delle oggi intimate amministrazioni,
il giudicato interno: e su tale conclusione si infrangono
irrimediabilmente tutte le argomentazioni da queste ancora
oggi svolte in ordine agli sviluppi ed agli esiti dei
processi penali seguiti alla dolorosa vicenda della
sciagura aerea di Ustica.
Se depistaggio deve qui aversi per definitivamente
accertato

esservi

stato,

risulta

oltretutto perfino

caratterizzata da molteplici ed obiettivamente disputabili

irrilevante ricercare la causa effettiva del disastro,
nonostante la tesi del missile sparato da aereo ignoto, la
cui presenza sulla rotta del velivolo Itavia non era stata
impedita dai Ministeri della difesa e dei trasporti,
risulti oramai consacrata pure nella giurisprudenza di

soprattutto e in termini ancora più netti, Cass. 28 gennaio
2013, n. 1871, che afferma, quanto al disastro di Ustica,
essere abbondantemente e congruamente motivata la tesi del
missile, rigettando definitivamente il ricorso
dell’avvocatura erariale avverso l’affermazione in tal
senso della corte di appello di Palermo).
5.2. Orbene, è noto – in applicazione dei principi
ampiamente e diffusamente sviluppati da Cass. 10285 del
2009, citata, soprattutto al suo paragrafo 5.3 – che, ai
fini della causalità materiale nell’ambito della
responsabilità aquiliana la giurisprudenza e la dottrina
prevalenti, in applicazione dei principi penalistici, di
cui agli artt. 40 e 41 c.p., ritengono che un evento è da
considerare causato da un altro se, ferme restando le altre
condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza
del secondo (c.d. teoria della condicio sine qua non).
Il rigore del principio dell’equivalenza delle cause,
posto dall’art. 41 c.p., in base al quale, se la produzione
di un evento dannoso è riferibile a più azioni od
omissioni, deve riconoscersi ad ognuna di esse efficienza
causale, trova il suo temperamento nel principio di
causalità efficiente, desumibile dall’art. 41 c.p., comma
2, in base al quale l’evento dannoso deve essere attribuito

11

questa Corte (Cass. 5 maggio 2009, n. 10285; ma,

esclusivamente all’autore della condotta sopravvenuta, solo
se questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le
altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle
normali linee di sviluppo della serie causale già in atto
(Cass. 19 dicembre 2006, n. 27168; Cass. 8 settembre 2006,

1996, n. 268).
Al contempo non è sufficiente tale relazione causale per
determinare

una

causalità

giuridicamente

rilevante,

dovendosi, all’interno delle serie causali così
determinate, dare rilievo a quelle soltanto che, nel
momento in cui si produce l’evento causante non appaiano
del tutto inverosimili, ma che si presentino come effetto
non del tutto imprevedibile, secondo il principio della
c.d. causalità adeguata o quello similare della c.d.
regolarità causale (Cass. Sez. Un., 11 gennaio 2008, nn.
576 e 582).
5.3. La giurisprudenza di questa Corte si è andata
consolidando al riguardo, affermando che, in tema di
responsabilità civile, il nesso causale
principio di cui agli artt.

regolato dal

40 e 41 cod. pen., per il quale

un evento è da considerare causato da un altro se il primo
non si sarebbe verificato

in assenza del secondo, nonché

dal criterio della cosiddetta causalità
base del quale, all’interno della

adeguata, sulla

serie causale, occorre

dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano valutazione ex

ante –

del tutto

ad una

inverosimili, ferma

restando, peraltro, la diversità del regime probatorio
applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai

12

n. 19297; Cass. 10 marzo 2006, n. 5254; Cass. 15 gennaio

due processi: nel senso che, nell’accertamento del nesso
causale in materia civile, vige la regola della
preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”,
mentre nel processo penale vige la regola della prova
“oltre il ragionevole dubbio” (Cass. 8 luglio 2010, n.

Nello stesso ordine di idee, si è affermato che
l’esistenza del nesso di causalità tra una condotta
illecita ed un evento di danno può essere affermata dal
giudice civile anche soltanto sulla base di una prova che
lo renda probabile, a nulla rilevando che tale prova non
sia idonea a garantire una assoluta certezza al di là di
ogni ragionevole dubbio (Cass. 26 luglio 2012, n. 13214;
Cass. 9 giugno 2011, n. 12686): infatti, la disomogenea
morfologia e la disarmonica funzione del torto civile
rispetto al reato impone, nell’analisi della causalità
materiale, l’adozione del criterio della probabilità
relativa (anche detto criterio del “più probabile che
non”), che si delinea in una analisi specifica e puntuale
di tutte le risultanze probatorie del singolo processo,
nella loro irripetibile unicità, con la conseguenza che la
concorrenza di cause di diversa incidenza probabilistica
deve essere attentamente valutata e valorizzata in ragione
della specificità del caso concreto, senza potersi fare
meccanico e semplicistico ricorso alla regola del “50% plus
unum” (Cass. 21 luglio 2011, n. 15991).
5.4. Ancora, diffusamente e compiutamente indagati i
temi della causalità materiale e giuridica, come pure delle
regole dettate per l’individuazione del danno risarcibile

13

16123).

(Cass.

17 settembre 2013,

n.

21255,

alla cui ampia

motivazione, soprattutto alle pagine 128 a 140, è opportuno
qui operare un integrale richiamo), si è puntualizzato:
– da un lato, che la categoria della possibilità non
costituisce una (terza) regola causale insieme a quella
grado

di

probabilità

logica/conoscenza razionale e a quella civilistica del più
probabile che non, ma individua, puramente e semplicemente,
l’oggetto della tutela nella fattispecie della

chance:

la

possibilità, appunto, quale oggetto di tutela (e non quale
regola causale o direttamente danno conseguenza); pertanto,
la

chance

va intesa come possibilità di un risultato

diverso (e non come mancato raggiungimento di un risultato
possibile), vulnerata dalla condotta causalmente rilevante
rispetto all’evento (costituito dal mancato verificarsi di
tale migliore possibilità), ma pur sempre e comunque
indagata alla stregua del canone probatorio del “più
probabile che non”;

dall’altro lato, che l’esatta configurazione del

problema causale in seno alla responsabilità civile postula
che il momento attributivo dell’obbligazione risarcitoria
sia

consequenziale

tanto a quello dell’accertamento

dell’illecito che a quello dell’individuazione del danno
che, con esso

inteso come violazione dell’interesse

protetto

come evento di danno) – non sempre

(id est

coincide; risolvendosi sempre in criteri di opportunità non corrispondendo necessariamente le regole di causalità
giuridica in modo pieno a quelle di causalità naturale
.

tanto i criteri etiologici di struttura della regolarità

14

dell’alto

penalistica

causale (integrati dal rischio tipico e dallo scopo della
norma violata), e di funzione (il più probabile che non).
È ulteriore conseguenza di tali principi che, nella
comparazione delle diverse concause, ove sufficienti a
concorrere a determinare l’evento e senza che una sola

assuma con evidenza un’efficacia esclusiva al riguardo, il
giudice del merito dovrà, anche in questo caso con una
valutazione di merito, valutare quale di esse appaia “più
probabile che non” rispetto a ciascuna delle altre a
determinare l’evento ed attribuire a quella l’efficacia
determinante ai fini della responsabilità.
5.5. In questo contesto, è del tutto incongruo e
contrario a criteri di logicità attribuire – come fa la
corte territoriale – alla sola revoca di concessione e
convenzione, intervenuta circa sei mesi dopo il disastro di
Ustica e la significativa attività di depistaggio, di per
sé sola in astratto atta ad avvalorare la tesi del
cedimento strutturale del velivolo e così
dell’inaffidabilità tecnica e commerciale della compagnia
aerea, il riconoscimento di una situazione di dissesto
preesistente al medesimo disastro e da esso del tutto
indipendente, che si vorrebbe conclamata dagli stessi
provvedimenti di revoca.
Nonostante non paia esservi parola, in questi ultimi, di
riferimenti al disastro aereo (o quand’anche ne fosse in
qualche modo preso in considerazione come mera occasione
della rovina imprenditoriale), dinanzi all’asserzione della
preesistenza della situazione di difficoltà al disastro,

1T

proprio l’accertato repentino precipitare degli eventi ‘

15

immediatamente successivi a quest’ultimo non può affatto
essere ignorato sia pure, beninteso, del tutto
impregiudicato l’esito del riscontro, costituente tipico
apprezzamento di fatto, riservato al giudice del merito al fine di valutarne l’eventuale incidenza causale, in

allegate e provate, sulla definitiva progressiva
degenerazione, fino all’irrecuperabilità, delle situazioni
economiche, organizzative e finanziarie della compagnia
preesistenti.
5.6. Occorreva, in altri termini, verificare (tanto
corrispondendo all’ordinario sviluppo di una plausibile
sequenza causale, basato su criteri probabilistici
applicati a nozioni di comune esperienza) se una tale
situazione di irrecuperabile dissesto effettivamente
preesistesse al disastro aereo o se e in qual misura fosse
determinata – mediante la modificazione, dovuta al
discredito commerciale ed ai primi provvedimenti cautelari
indotti dalla diffusione della falsa notizia del cedimento
strutturale, da una situazione debitoria non patologica per
una compagnia aerea, comportante investimenti e costi di
gestione notoriamente ingenti – od aggravata in modo
decisivo proprio dalla riconosciuta attività di depistaggio
e di conseguente discredito commerciale dell’impresa. Il
tutto in un mercato assai peculiare, come quello del
trasporto aereo nazionale, da poco – per fatto notorio avviato timidamente verso la liberalizzazione e la
progressiva apertura all’iniziativa economica dei privati. 7Y

16

rapporto a tutte le circostanze in concreto ritualmente

Per ribadire le conclusioni della già richiamata Cass.
21255 del 2013, occorreva valutare se, una volta
definitivamente consacrata l’esistenza di un’attività di
depistaggio e conseguente discredito, per il danneggiato quale socio, amministratore e presidente di Aerolinee

consolidamento definitivo del dissesto e quindi dalla
rovina finanziaria irrimediabile dell’impresa, ove
quell’attività non vi fosse stata, pur sempre e comunque
indagandosi alla stregua del canone probatorio del “più
probabile che non”.
In sostanza, la gravata sentenza, che si limita ad
escludere la rilevanza dell’attività di depistaggio e
conseguente discredito seguita al disastro aereo sulla base
del solo elemento – estrinseco e formale, se non
tautologico – di carenza di riferimenti ad esso nei
provvedimenti di revoca e ad inferire da questi una
situazione autonoma e causalmente in via esclusiva
autosufficiente anteriore ad esso, erra nel mancare di
porsi il problema delle concrete caratteristiche della
situazione economico-finanziaria della compagnia aerea in
tempo immediatamente al disastro del 27.6.80 (cioè,
indipendentemente da esso) e dell’eventuale efficacia di
quell’attività di depistaggio e conseguente discredito sul
passaggio dalla situazione di difficoltà a quella di
dissesto.
5.7. La sentenza oggi impugnata va quindi cassata, con
rinvio alla medesima corte territoriale, affinché rinnovi
la valutazione della incidenza di quell’attività di

17

Itavia spa – fosse possibile un risultato diverso dal

depistaggio e discredito nel senso appena detto; ed
applichi alla fattispecie il criterio della preponderanza
causale, ovvero del “più probabile che non”, in ordine alla
determinazione delle cause del definitivo dissesto della
compagnia, regolandosi poi di conseguenza in ordine alle

6.

Anche

il

quarto motivo,

relativo

a

vizio

motivazionale sull’astratta esclusione della responsabilità
del Ministero dei Trasporti, è fondato.
A fondamento dell’azione nei confronti di quest’ultimo,
invero, erano state prospettate – stando al contenuto
dell’atto introduttivo di lite trasfuso in ricorso – le
omissioni di vigilanza e custodia della documentazione,
indispensabili l’una e l’altra alla ricostruzione del
traffico aereo al momento del disastro, le quali avevano
concorso ad avvalorare la tesi del cedimento strutturale
del velivolo quale unica plausibile causa del disastro di
Ustica.
Non è congruente con tale

causa petendi,

allora,

l’esclusione di responsabilità per carenza di prova od
allegazione di colpe nell’emanazione dei decreti di
decadenza e revoca, né l’esclusione di nesso causale tra
l’adozione di tali decreti e la fine della compagnia, mai
addotte dall’attore a fondamento della sua pretesa
risarcitoria.
Piuttosto, una volta accolti i primi tre motivi e
cassata la gravata sentenza, il giudice di rinvio dovrà

.

verificare se le condotte di depistaggio ritenute già
provate dal giudice di primo grado – con conferma, sul

18

domande del Davanzali (e, ora, delle sue eredi).

punto, da parte di quelli di appello – risultino, anche in
parte, ascrivibili al Ministero dei Trasporti e, in caso di
risposta positiva, con quale efficienza causale in ordine
all’evento dannoso, in applicazione dei principi di cui
all’art. 2055 cod. civ. e, comunque, di quelli già

7. Ma fondato è pure il quinto motivo, ove non si possa
ritenere assorbito dall’accoglimento dei primi tre motivi e
dalla necessità di riconsiderare il nesso causale.
Infatti,

la ritenuta sussistenza dell’attività di

depistaggio avrebbe dovuto rilevare anche nell’ipotesi di
esclusione del nesso causale con la progressiva
dissoluzione di Itavia – ipotesi che, come si è visto,
andrà riconsiderata alla stregua della cassazione per
l’accoglimento dei primi tre motivi e, cioè, di per sé
valutata, siccome autonomamente in grado di produrre danni
anche non patrimoniali per il carattere intrinsecamente
lesivo della reputazione commerciale e delle capacità
imprenditoriali della compagnia aerea, di cui il Davanzali
era “socio, amministratore e presidente”.
Resta impregiudicata poi la valutazione di eventuali
ulteriori conseguenze dannose, patrimoniali o meno,
derivate al Davanzali in proprio dal dissesto definitivo
della Compagnia, ove l’esito del riscontro, alla stregua
dei paragrafi 5 e 6, delle responsabilità delle oggi
intimate amministrazioni conducesse ad esito positivo.
8. Il sesto motivo è, invece, infondato.

Come ogni attività istruttoria ufficiosa del giudice
(per tutte, v. Cass. 12 giugno 2012, n. 9522, ove ulteriori

19

ricordati al precedente paragrafo 5.

r

riferimenti),

anche

l’esercizio del potere,

previsto

dall’art. 213 cod. proc. civ., di richiedere d’ufficio alla
P.A. le informazioni relative ad atti e documenti della
stessa che sia necessario acquisire al processo, rientra
nella discrezionalità del giudice e non può comunque

a suo carico, con la conseguenza che tale potere può essere
attivato soltanto quando, in relazione a fatti specifici
già allegati, sia necessario acquisire informazioni
relative ad atti o documenti della P.A. che la parte sia
impossibilitata a fornire e dei quali solo
l’Amministrazione sia in possesso proprio in relazione
all’attività da essa svolta (Cass. 12 marzo 2013, n. 6101;
Cass. 13 marzo 2009, n. 6218; Cass. 23 gennaio 2008, n.
1461; Cass. 7 novembre 2003, n. 16713). E ad analoga
conclusione può giungersi quanto all’ordine di esibizione,
anche qui per consolidata giurisprudenza (per tutte: Cass.
18 gennaio 2013, n. 1266; Cass. 29 luglio 2011, n. 16781;
Cass. 24 marzo 2004, n. 5908).
9. In conclusione, fondati tutti i motivi tranne il
sesto, il ricorso va accolto per quanto di ragione e la
gravata sentenza cassata in ordine alle censure accolte,
con rinvio alla medesima corte di appello di Roma, in
diversa composizione: la quale, in relazione all’esito
complessivo della lite, provvederà pure in ordine alle
spese del presente giudizio di legittimità.
P.

Q.

M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione;
cassa la gravata sentenza in relazione alle censure accolte

20

risolversi nell’esenzione della parte dall’onere probatorio


e rinvia alla corte di appello di Roma, in diversa
composizione,

anche per le

spese del giudizio di

legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
terza sezione civile della Corte suprema di cassazione,
addì 2 ottobre 2013.

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