Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23933 del 12/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 12/10/2017, (ud. 19/07/2017, dep.12/10/2017),  n. 23933

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22434/2016 proposto da:

GRUPPO TESSILE MARCOU S.N.C., (P.I. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI RIPETTA n.

22, presso lo studio dell’avvocato TOMMASO GUIDUCCI, rappresentata e

difesa unitamente e disgiuntamente dagli avvocati STEFANIA

FILIPPONI, ANNA MICHELANGELI;

– ricorrente –

contro

BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI MASIANO Società Cooperativa, in

persona del Presidente del consiglio di Amministrazione, Attivamente

domiciliata in ROMA, VIA BARTOLOMEO MARLIANO n. 14, presso lo studio

dell’avvocato MICAELA CORSO, che la rappresenta e difende

disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato CLAUDIO PINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 697/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE

emessa in data 04/05/2016 sul procedimento iscritto al n. 1392/2016

R.G.;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 19/07/2017 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con ordinanza ex art. 702 bis c.p.c., il Tribunale di Pistoia rigettava le domande di accertamento della nullità di alcune disposizioni contrattuali e di condanna della banca convenuta, la Banca di Credito Cooperativo di Masiano, alla restituzione dell’indebito: domande proposte da Gruppo Tessile Marcou s.r.l..

2. – Investita dell’impugnazione, la Corte di appello di Firenze, con sentenza del 4 maggio 2016, la respingeva.

3. – Contro tale pronuncia Gruppo Tessile Marcou s.r.l. ha proposto un ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. La Banca di Credito Cooperativo di Masiano resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo di impugnazione lamenta la nullità della sentenza in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4, per l’errata o mancata esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.

Oggetto della censura è l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, per cui la società appellante – che aveva limitato la domanda al periodo ricompreso tra il 1 gennaio 2007 e 31 luglio 2014, mentre il conto corrente ordinario risultava chiuso e girato a sofferenza nel marzo del 2015 – aveva mancato di produrre in giudizio la documentazione comprovante la movimentazione del conto relativa all’arco temporale che si dipartiva dal 31 luglio 2014. A tale riguardo, la Corte di appello ha osservato che il rapporto di conto corrente doveva considerarsi unitariamente e non era possibile estrapolarsi, all’interno di esso, un singolo segmento temporale, omettendo di valutare la situazione contabile maturata al momento della cessazione del rapporto.

La censura non appare fondata.

Come è noto, nella nuova formulazione dell’art. 360, n. 5, risultante dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, è mancante ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata, con la conseguenza che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054). Ebbene, il provvedimento impugnato non presenta alcuna di tali radicali carenze motivazionali.

2. – Il secondo motivo prospetta la violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 112 c.p.c., per avere la Corte di merito mancato di pronunciare sulla domanda di mero accertamento formulata con l’atto introduttivo.

La doglianza è inammissibile.

Si legge nella sentenza impugnata che il Tribunale ebbe a rigettare la “domanda di accertamento di nullità”. Con il motivo di ricorso in esame, l’istante lamenta la mancata pronuncia, da parte della Corte di appello, sulla predetta domanda, ma omette di considerare che il giudice del gravame era tenuto a statuire, non già sulla domanda, quanto sui motivi di gravame che la società avesse formulato con riferimento alla nominata pronuncia reiettiva. Sotto tale profilo, il motivo non si confronta con la pronuncia di prime cure (cui si dirigeva l’impugnazione) e risulta, comunque, del tutto carente di specificità, giacchè non chiarisce se l’accertamento della nullità fosse stato investito da censura e quale fosse l’oggetto di una tale impugnazione. Per la giurisprudenza di questa Corte viola il principio dell’autosufficienza il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, così da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano nuove e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (Cass. 20 agosto 2015, n. 17049; in senso sostanzialmente conforme Cass. 17 agosto 2012, n. 14561). Nel caso in esame, come si è detto, l’istante nemmeno deduce di aver formulato specifiche censure contro la pronuncia appellata, ma lamenta, piuttosto, che non sia stata decisa una sua domanda di merito: domanda che il giudice di primo grado aveva, tuttavia, respinto e su cui, quindi, in mancanza di impugnazione, è caduto il giudicato.

3. – Il terzo motivo lamenta violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 115 c.p.c., comma 1, per non avere il giudice di appello ritenuto ammissibile la consulenza tecnica contabile richiesta, nè, prima ancora, l’ordine di esibizione.

Nemmeno tale motivo si misura con la sentenza impugnata ed è perciò inammissibile.

Le richieste di consulenza tecnica e di esibizione risultavano finalizzate all’accertamento del rapporto di conto corrente nel periodo intercorrente tra il 1 gennaio 2007 il 31 luglio 2014: lo si desume dalle conclusioni rassegnate in appello dall’odierna ricorrente e trascritte a pagg. 3 s. del ricorso. La Corte di merito si è invece occupata della mancata documentazione delle movimentazioni del conto nel periodo successivo (quello tra il 31 luglio 2014 e il marzo 2015, allorquando il conto corrente fu girato a sofferenza). Con riferimento a tale periodo era certamente onere dell’odierna ricorrente, in quanto attrice in ripetizione, produrre gli estratti conto atti a documentare indebiti pagamenti e, comunque, non risulta che la medesima abbia formulato specifiche richieste istruttorie.

4. – Il quarto ed ultimo motivo censura la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 96 c.p.c., comma 3: si duole l’istante che il giudice del gravame abbia ritenuto sussistente la propria responsabilità aggravata in assenza dei necessari presupposti. In particolare deduce – la Corte territoriale non aveva indicato i profili di dolo o colpa grave che avrebbero determinato la parte all’impugnazione e aveva motivato la condanna sulla base della semplice infondatezza dell’appello.

Il motivo, ad avviso del Collegio, è fondato.

La Corte di merito ha sottolineato che la società oggi ricorrente aveva formulato censure “che ben avrebbero potuto essere apprezzate da parte appellante così da evitare il gravame”.

In tal modo, il giudice distrettuale ha reso una motivazione meramente apparante sull’esistenza delle condizioni atte a giustificare la pronuncia di condanna ex art. 96 c.p.c. , comma 3: se è vero infatti, che l’inadeguata ponderazione delle ragioni che dovrebbero indurre a desistere dall’appello può costituire fonte di responsabilità ex art. 96 c.p.c., comma 3, è altrettanto vero che il giudice, nel pronunciare la condanna per lite temeraria, ha l’obbligo di spiegare in cosa consista tale improprio apprezzamento. E’ evidente, del resto, che la colpa grave di cui al cit. art. 96, comma 3, non possa desumersi dalla accertata infondatezza dell’impugnazione: proporre un gravame meritevole di rigetto non implica necessariamente, sul piano logico, che sia stata omessa, da parte dell’interessato, la spendita di quella minima diligenza necessaria per avvedersi dell’infondatezza delle censure svolte. Se così non fosse, la condanna per lite temeraria dovrebbe conseguire ad ogni statuizione reiettiva dell’appello: il che, evidentemente, deve escludersi.

5. – In conclusione, con riguardo alla riscontrata carenza di motivazione, la sentenza va cassata; la causa deve essere pertanto rinviata alla Corte di appello di Firenze. La stessa Corte provvederà a regolare le spese del giudizio di legittimità.

PQM

 

La Corte:

accoglie il quarto motivo, respinge gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Firenze, in altra composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile, il 19 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2017

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