Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23932 del 29/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 29/10/2020, (ud. 17/07/2020, dep. 29/10/2020), n.23932

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20457/2015 proposto da:

G.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. G. BELLI

36, presso lo studio dell’avvocato LUCA PARDINI, rappresentata e

difesa dall’avvocato ENRICO PIZZI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MASSAROSA, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II n. 18,

presso GIANMARCO GREZ, rappresentato e difeso dall’avvocato

GIANCARLO ALTAVILLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 110/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 21/01/2015 R.G.N. 412/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio dal

Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’.

 

Fatto

RITENUTO

Che:

1. la Corte d’Appello di Firenze, riformando la pronuncia del Tribunale di Lucca, ha respinto le opposizioni proposte da G.F. nei confronti delle determinazioni del Comune di Massarosa, emesse ai sensi della L. n. 1580 del 1931, art. 1, per il recupero dalla medesima, quale madre del disabile grave B.L., delle differenze tra le rette di ricovero presso la Residenza Sanitaria per Disabili “(OMISSIS)” per gli anni 2003 e 2004, anticipate dall’ente e gli importi della pensione di invalidità e indennità di accompagnamento di cui B.L. era titolare, già confluite presso il Comune stesso;

2. la Corte territoriale riteneva che la L. n. 1580 del 1931, art. 1, il cui comma 3 riconosceva il diritto degli enti al recupero delle spese “spedaliere e manicomiali” nei confronti di chi fosse tenuto per legge a prestare gli alimenti alla persona in stato di bisogno, non potesse dirsi abrogato, se non per effetto del D.L. n. 112 del 2008, successivo art. 24, sicchè esso doveva trovare applicazione ratione temporis alla fattispecie da definire in causa;

neppure poteva giovare all’appellata del D.Lgs. n. 109 del 1998, art. 2, comma 6, il quale, nel regolare il sistema di rilevazione del reddito mediante il c.d. ISEE, si era limitato ad escludere che tale disciplina potesse attribuire agli enti erogatori facoltà dapprima non sussistenti, senza però innovare rispetto alle facoltà preesistenti, tra cui quella della rivalsa ai sensi della norma del 1931;

3. la G. ha proposto ricorso per cassazione con un unico articolato motivo il Comune di Massarosa ha resistito con controricorso;

la G. ha depositato memoria con cui si è limitata ad insistere nelle precedenti difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. con l’unico motivo di ricorso la G. sostiene che la L. n. 1580 del 1931, art. 1, sarebbe da aversi per abrogato per effetto della disciplina sui trattamenti sanitari di cui alla L. n. 833 del 1978, nonchè della L. n. 328 del 2000, sull’assistenza alle persone non autosufficienti e del D.Lgs. n. 109 del 1998, quale modificato dal successivo D.Lgs. n. 130 del 2000;

2. il motivo va accolto, sulla base delle considerazioni che seguono;

3. la controversia riguarda inequivocabilmente i costi di un ricovero di persona portatrice di “handicap gravissimo”, “la cui necessità afferma la Corte territoriale – in relazione alle condizioni di salute dell’assistito, non è controversa tra le parti” e che ha comportato spese non solo sanitarie, ma anche residenziali;

4. in proposito l’ordinamento positivo conosce sia prestazioni sanitarie, sia prestazioni assistenziali, pure o variamente connesse alle prime, secondo classificazioni riportabili al D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3-septies, quale introdotto D.Lgs. n. 229 del 1999 (sul tema, v. Cass. 28 novembre 2017, n. 28321);

l’ospitalità in apposite residenze rientra poi in ambito esclusivamente sanitario, con le più forti garanzie di gratuità di cui al SSN, non tanto in ragione della “situazione di limitata autonomia del soggetto, non altrimenti assistibile che nella struttura residenziale” ove gli si fanno anche cure, ma per la “individuazione di un trattamento terapeutico personalizzato” che, per le sue intrinseche caratteristiche, “non può essere somministrato se non congiuntamente alla prestazione socioassistenziale” (Cass. 28 settembre 2017, n. 28321), la cui inscindibilità comporta l’intero e definitivo carico pubblico dei costi (Cass. 9 novembre 2016, n. 22776);

è invece pacifico che in questa causa si discuta di costi non riportabili a tale definizione ampia di intervento sanitario, ma di spese assistenziali, in un contesto di prestazioni plurime unitariamente rese in favore del disabile in sede residenziale;

Cass. 8 maggio 2019, n. 12042, nell’affrontare tema analogo al presente in relazione alla legislazione regionale siciliana, ha distinto tra interventi assistenziali di interesse pubblico ed interventi di accoglienza ab origine ed integralmente onerosi per l’interessato, in quanto estranei a tale ambito;

la citata pronuncia, nel primo caso, ne ha desunto l’obbligatorietà, per gli enti istituzionalmente preposti alla tutela di quegli interessi, di provvedere alla cura di essi e quindi alla prestazione necessaria;

nel caso di specie la complessiva necessità dell’accoglienza in una struttura residenziale è, come detto, indubbia;

d’altra parte, la primazia della persona nell’ambito dell’ordinamento ed il diritto del “singolo” (art. 2 Cost.) alla tutela dei diritti inviolabili, quale certamente sono quello alla salute (art. 32 Cost.) ed all’inderogabile assistenza di base in condizioni coerenti con il proprio stato psico-fisico (ancora, art. 2 Cost., ultima parte) impongono palesemente che, a fronte di situazioni necessitate per l’interessato, gli enti preposti a salvaguardare quegli interessi vi provvedano senz’altro; la L. n. 328 del 1990, art. 1, comma 1, stabilisce in effetti che “la Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali” e ciò “in coerenza con gli artt. 2,3 e 38 Cost.” (art. 1, comma 1);

in particolare, per i fini di cui sopra, si prevede l’istituzione di un “sistema integrato di interventi e servizi sociali” ispirato a principi di “sussidiarietà” (art. 1, comma 3), ma con “carattere di universalità” (art. 2, comma 2), che “garantisce i livelli essenziali di prestazioni, ai sensi dell’art. 22”, ovverosia delle prestazioni che vanno garantite e rese incondizionatamente ed universalmente;

dei livelli essenziali di assistenza (c.d. Liveass) si occupa la L. n. 328 del 1990, art. 22 e tale norma, pur delineando le tipologie di interventi, demanda per la definizione a “requisiti fissati dalla pianificazione nazionale, regionale e zonale” e “nei limiti delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali”;

è noto che non vi è mai stata completa realizzazione dell’iter normativo di definizione dei predetti Liveass;

tuttavia, a fronte di una persona in stato di handicap gravissimo, le cui condizioni di non autosufficienza rendessero necessaria, come è pacifico che fosse, l’assistenza in sede residenziale, non vi è alcuna esigenza di altre specificazioni, ricorrendo de plano l’ipotesi di cui alla L. n. 328 del 2000, art. 22, lett. g) e ciò a prescindere dalle ragioni (ad es. assenza, incapacità o impossibilità del nucleo familiare ad assisterlo) o da eventuali responsabilità di chi sia tenuto ma non presti l’assistenza; l’intervento pubblico, sul piano sanitario ed assistenziale, è in tali casi dovuto da parte degli enti a ciò preposti e pertanto, nella specie, ai sensi della L. n. 328 del 2000, art. 4, comma 2 e della legislazione regionale all’epoca vigente (L.R. n. 72 del 1997, art. 7), da parte del Comune stesso; l’indispensabilità assoluta per la persona, considerata nella sua individualità, esclude infatti qualsiasi margine di discrezionalità, organizzativa o finanziaria, rispetto all’an della protezione;

ricorrono dunque anche rispetto alla legislazione nazionale i medesimi presupposti che già portarono Cass. 12042/2019 a ravvisare nell’ambito regionale siciliano la doverosità dell’intervento pubblico; l’obbligatorietà dell’assistenza esclude altresì che essa sia condizionabile dalla previa assunzione di impegni economici da parte dei beneficiari o di chi abbia obblighi di mantenimento nei loro confronti;

5. altra questione è quella relativa al regime economico delle prestazioni assistenziali e, discutendosi qui di prestazione resa in quanto necessaria, del recupero dei costi sopportati dall’ente erogatore, che il Comune di Massarosa ha preteso dalla madre del disabile nonchè, in altro giudizio di cui non è noto l’esito, dal di lui padre e marito separato della G.;

il Comune, secondo quanto disposto dalla L. n. 328 del 1990, art. 6, comma 4, è senza dubbio tenuto ad “assumere gli obblighi connessi all’eventuale integrazione economica”, ove l’eventualità sta a significare che gli oneri sono destinati a restare a carico del Comune nei limiti in cui le capacità del beneficiario non consentano di farvi fronte;

d’altra parte, Cass. 12042/2019 cit. ha convincentemente ritenuto, sulla scia ed in sviluppo di altri precedenti (Cass. 18 settembre 2014, n. 19642; Cass. 22 marzo 2012, n. 4558; Cass. 26 marzo 2003, n. 4460), che la L. n. 1580 del 1931, art. 1, fino a quando esso non è stato poi formalmente abrogato dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, è rimasto applicabile ai soli casi, del tutto residuali, in cui l’intervento assistenziale pubblico, non essendo dovuto e necessitato, sia del tutto oneroso, non essendovi a priori da calibrare alcun dosaggio tra contribuzioni pubbliche e oneri privati;

la conclusione si pone in linea con il richiamato sistema complessivo di cui alla menzionata L. n. 328 del 2000, attraverso il quale, in forza del rinvio dell’art. 25 al sistema del c.d. ISEE, si realizza un articolato regime di compartecipazione dell’interessato ai costi, sulla base delle sue possibilità economiche (v. ancora Cass. 12042/2019, ove si fa riferimento appunto ad un regime di “gratuità modulata”) da valutare sulla base anche delle possibilità familiari;

d’altra parte, tali regole di individuazione delle capacità economiche familiari, secondo il D.Lgs. n. 109 del 1998, art. 2, comma 6, per quanto in sè non modificative della disciplina sugli obblighi alimentari, espressamente “non possono essere interpretate nel senso dell’attribuzione agli enti erogatori della facoltà di cui all’art. 438 c.c., comma 1, nei confronti dei componenti il nucleo familiare del richiedente la prestazione sociale agevolata” e quindi di azioni dirette della P.A. nei confronti dei congiunti del beneficiario, nè, si osserva per completezza, azioni di tal fatta sono previste dal D.P.C.M. n. 159 del 2013, che ha aggiornato il sistema del c.d. ISEE;

pertanto, gli obblighi di integrazione della retta, per quanto da calibrare sulla base delle capacità economiche della famiglia come definita in ambito ISEE, sono civilisticamente a carico del solo assistito;

6. l’allontanamento del sistema dal coinvolgimento civilistico di chi abbia obblighi alimentari è palese, anche perchè i congiunti da considerare nei calcoli ISEE, per come variamente evolutisi nel corso del tempo, non coincidono con l’ambito di parenti ed affini di cui agli artt. 433 c.c. e segg., pur essendo evidente che l’ambito della valutazione amministrativa dei redditi e patrimoni familiari da considerare dovrebbe tendenzialmente essere coerente con quello degli obblighi civilistici verso la persona bisognosa di assistenza;

nè possono richiamarsi le regole sugli obblighi di mantenimento endofamiliare;

a parte l’incompletezza di esse, destinate a non coprire l’ambito delle relazioni di cui è possibile il coinvolgimento in sede di ISEE, l’assoluta particolarità delle esigenze interessate da casi come quelli della disabilità grave non consente soluzioni approssimate, sulla base di norme civilistiche dettate per ipotesi diverse da quella eccezionale qui in esame;

vi è altrimenti il concreto rischio di penalizzare, specie in presenza di capacità economiche medie o medio-basse, proprio i familiari destinati a misurarsi con la disabilità, così vanificandosi le ispirazioni solidaristiche generali dell’ordinamento, se non addirittura ponendosi in contrasto con l’esigenza di ragionevolezza che non consente di rendere ancor più difficoltosa la situazione di chi già si trovi in condizioni di maggiore difficoltà;

è ben vero che la giurisprudenza della Corte Costituzionale, a più riprese e di recente (Corte Cost. 14 gennaio 2016, n. 2; Corte Cost. 19 dicembre 2012, n. 296), occupandosi del sistema ISEE, ha valorizzato il combinarsi, nella tutela assistenziale delle persone non autosufficienti, di intervento pubblico e partecipazione, anche economica, della famiglia;

la Consulta ha individuato in tale partecipazione “un incentivo indiretto” utile a “favorire la permanenza… presso il… nucleo familiare” (così Corte Cost. 296/2012 cit., in tema di anziani non autosufficienti) ed ha sottolineato la portata sussidiaria dell’intervento pubblico rispetto a quello familiare (Corte Cost. 2/2016);

oltre ai dubbi che suscita la possibilità di ritenere utilmente coercibile, attraverso la pressione economica, l’esigenza di accoglienza dell’assistito, che ha da essere primariamente affettiva e deve derivare da effettive capacità familiari in tal senso, la stessa Corte Costituzionale, nell’occuparsi di un diverso ambito assistenziale, ha efficacemente sottolineato come sia giustificato che la prestazione sia condizionata ai redditi non del solo interessato, ma anche di altri congiunti, purchè in una combinazione complessivamente ragionevole (Corte Costituzionale 9 maggio 1997, n. 127);

pertanto, come sostanzialmente ritenuto da Cass. 12042/2019, cit., solo una normativa espressamente dedicata alle rivalse civilistiche potrebbe consentire il dosato (e controllabile) esercizio legislativo di uno strumento di estrema delicatezza sociale;

certamente ciò non esclude che si possano avere accordi volontari di regolazione delle compartecipazioni dei congiunti (ritenuti validi da Cass. 28321/2017 cit. e da Cass. 13 luglio 2017, n. 17234) ma, in mancanza ed in assenza di norme civilistiche specifiche, concernenti l’ordinamento civile” e quindi, sia prima che dopo le modifiche apportate all’art. 117 Cost., di pertinenza esclusivamente statale, il diritto di rivalsa non può essere ritenuto altrimenti sussistente;

è infine da escludere che, a regolare la vicenda, possa essere richiamata la normativa regionale (poi modificata) dell’epoca dei fatti, secondo la quale la disciplina della compartecipazione degli utenti e “di coloro che sono tenuti agli alimenti” era rimessa a regolamenti comunali (L.R. n. 72 del 1997, art. 45, comma 4);

tale normativa regionale, nella parte in cui prevede la regolamentazione dei diritti di rivalsa o compartecipazione sulla base della disciplina degli obblighi alimentari di cui agli artt. 433 c.c. e segg., collide infatti con il sistema assistenziale di cui alla L. n. 328 del 2000, sopra delineato, le cui disposizioni sono espressamente definite “principi fondamentali ai sensi dell’art. 117 Cost.” (L. n. 328 cit., art. 1, u.c.), sicchè la previsione deve aversi per abrogata ai sensi della L. n. 62 del 1953, art. 10, ed anche il consequenziale regolamento comunale ne resterebbe in parte qua invalidato e non applicabile;

7. il diritto di credito quale azionato in causa non trova dunque copertura giuridica sostanziale nella norma posta dalla Corte territoriale a fondamento della decisione, nè in altre norme;

ne deriva l’accoglimento del ricorso e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, alla cassazione della sentenza può accompagnarsi la decisione nel merito con il rigetto della pretesa del Comune;

8. la notevole complessità giuridica della questione e gli esiti alterni dei giudizi di merito giustifica la compensazione delle spese tra le parti quanto al primo e secondo grado di giudizio, con regolazione secondo soccombenza soltanto delle spese del giudizio di legittimità;

9. vanno anche esplicitati i seguenti principi:

“l’accoglienza di disabile grave non autosufficiente all’interno di strutture residenziali, una volta accertata per qualsiasi ragione la necessità di essa in ragione delle condizioni personali dell’interessato, deve essere attuata da parte degli enti preposti all’assistenza, per effetto della L. n. 328 del 2000, art. 22, lett. g), senza che sia possibile condizionarla al previo impegno al pagamento parziale o totale dei relativi costi da parte dell’interessato o dei suoi familiari”;

“il recupero dei costi di prestazioni assistenziali di accoglienza di persone disabili in strutture residenziali da parte del Comune erogatore non può avere corso presso i familiari, dopo l’entrata in vigore della L. n. 328 del 2000, secondo la disciplina della L. n. 1580 del 1931, art. 1 e ciò anche prima dell’abrogazione di tale norma ad opera del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, nè esso può essere riconosciuto, in assenza di specifiche norme civilistiche, sulla base delle regole generali in tema di alimenti o di mantenimento, mentre può avvenire sulla base di accordi volontari con i congiunti degli interessati”.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara non dovute le somme pretese dal Comune di Massarosa. Compensa le spese dei gradi di merito e condanna il Comune di Massarosa a rifondere alla controparte le spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 17 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2020

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