Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23928 del 03/09/2021

Cassazione civile sez. I, 03/09/2021, (ud. 18/05/2021, dep. 03/09/2021), n.23928

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 23592/2020 proposto da:

C.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Simona Maggiolini,

per procura in calce al ricorso per cassazione.

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato.

– resistente –

avverso la sentenza della Corte di appello di BARI n. 2657/2019,

pubblicata in data 27 dicembre 2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/05/2021 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con sentenza del 27 dicembre 2019, la Corte di appello di Bari ha rigettato l’appello proposto da C.S., nato in (OMISSIS), avverso l’ordinanza del Tribunale di Bari del 21 dicembre 2017, che aveva confermato il provvedimento di diniego della Commissione territoriale competente.

2. Il richiedente aveva riferito di avere lasciato il Gambia per timore di essere arrestato, perché ricercato dalla polizia in quanto, grazie all’aiuto di un amico poliziotto era riuscito ad evadere dalla cella in cui era stato rinchiuso, subito dopo essere sceso dall’aereo, dal quale erano stati lanciati alcuni sassi, che dall’Italia, dove si era rifugiato una prima volta nel 2009, lo aveva riportato nel suo paese di origine; che aveva timore di rientrare in Gambia per la situazione politica ivi esistente e perché temeva di subire un’ingiusta detenzione.

3. La Corte di appello ha confermato il giudizio di non credibilità del racconto, rimanendo lo stesso, nonostante le molte domande della Commissione, confuso e lacunoso; che non poteva procedersi per la terza volta all’audizione del richiedente, non avendo fornito indicazioni in fatto a chiarimenti delle incertezze rilevate dalla Commissione e dal Tribunale, dove si era limitato a confermare quanto già riferito; che, in ogni caso, il timore di persecuzione o di danno grave non era più attuale, poiché la situazione politica in Gambia era cambiata; non sussistevano nemmeno i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, anche alla luce delle fonti richiamate, aggiornate al 2018; quanto alla protezione umanitaria, i giudici di secondo grado hanno affermato che il ricorrente non aveva allegato alcuna situazione di fatto credibile da legittimare una situazione di particolare vulnerabilità in caso di rientro in patria e che la documentazione prodotta (lavoro come bracciante agricolo a tempo determinato, attività di volontariato e corsi di lingua italiana) non provavano una avvenuta integrazione irreversibile che gli precludeva un’esistenza dignitosa in Gambia, anche tenuto conto delle mutate condizioni del paese e dei mantenuti contatti con i familiari.

4. C.S. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a tre motivi.

5. L’Amministrazione intimata si è costituita al fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione di legge in riferimento del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, non avendo la Corte, nel rispetto dell’onere di cooperazione istruttoria, proceduto ad un esame completo della situazione attuale del Gambia, perché vi erano dei settori in cui si registravano gravi e sistematiche violazione dei diritti umani, avuto specifico riferimento alle condizioni carcerarie esistenti in Gambia.

1.1 Il motivo è inammissibile perché volto a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione delle fonti informative per accreditare, in questo giudizio di legittimità, un diverso apprezzamento della situazione di pericolosità interna del Gambia, giudizio quest’ultimo inibito alla corte di legittimità ed invece rimesso alla cognizione esclusiva dei giudici del merito, la cui motivazione è stata articolata – sul punto qui in discussione – in modo adeguato e scevro da criticità argomentative, sia con riguardo alla protezione internazionale, che a quella umanitaria, avendo specificato, a pagina 5 e 6, che il nuovo governo del Presidente B.A. si era mosso nella direzione della promozione dei diritti umani, anche attraverso provvedimenti di rilascio di decine di prigionieri politici e di rafforzamento del sistema giudiziario e di sicurezza del Paese; erano stati nominati nuovi giudici per rispondere alla necessità di garantire una maggiore indipendenza della magistratura e che, nulla era stato riferito dal richiedente sulle ragioni di pericolo di arresto arbitrario, né sulle effettive probabilità di tale arresto, avendo il ricorrente dichiarato di avere sentito alla radio che stavano cercando le persone rimpatriate sbarcate dall’aereo.

1.2 Questo nel rispetto della disposizione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, che impone al giudice di verificare se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente e astrattamente sussumibile in una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, con accertamento aggiornato al momento della decisione (Cass., 11 dicembre 2020, n. 28349; Cass., 22 maggio 2019, n. 13897; Cass. 12 novembre 2018, n. 28990) e dell’onere del giudice di merito procedere, nel corso del procedimento finalizzato al riconoscimento della protezione internazionale, a tutti gli accertamenti officiosi finalizzati ad acclarare l’effettiva condizione del Paese di origine del richiedente, avendo poi cura di indicare esattamente, nel provvedimento conclusivo, le parti utilizzate ed il loro aggiornamento (Cass., 20 maggio 2020, n. 9230).

1.3 Ciò tuttavia, non può valere ad esonerare il ricorrente dall’onere di allegazione delle specifiche circostanze ritenute decisive ai fini del riconoscimento dell’invocata misura di protezione, con la conseguenza che il motivo di ricorso che mira a contrastare l’apprezzamento delle fonti condotto dal giudice di merito deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base la Corte territoriale ha deciso siano state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti (Cass., 18 febbraio 2020, n. 4037), onere, nel caso in esame, non assolto.

2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio per non avere preso in considerazione la presenza di seri motivi di carattere umanitario, avendo la Corte ritenuto superfluo l’avviato processo di integrazione del ricorrente; né la certificazione psichiatrica prodotta dalla quale emergeva un disturbo post-traumatico da stress e un disturbo depressivo maggiore e non avendo considerato le vessazioni subite dal ricorrente in Libia.

2.1 Il motivo è inammissibile, non essendo stata censurata specificamente la ratio decidendi posta a fondamento del mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

2.2 I ricorrente fonda, infatti, la propria domanda di permesso umanitario su circostanze che sono state ritenute non credibili dal giudice di merito con argomentazioni adeguate e non sindacabili in sede di legittimità (pag. 6 del provvedimento impugnato).

2.3 Questa Corte, di recente, ha affermato che;in tema di permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, se è pur vero che la valutazione in ordine alla sussistenza dei suoi presupposti deve essere il frutto di autonoma valutazione avente ad oggetto le condizioni di vulnerabilità che ne integrano i requisiti, tuttavia, la necessità dell’approfondimento da parte del giudice di merito non sussiste se, già esclusa la credibilità del richiedente, non siano state dedotte ragioni di vulnerabilità diverse da quelle dedotte per le protezioni maggiori (Cass., 24 dicembre 2020, n. 29624).

2.4 La Corte, poi, ha operato, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, con un apprezzamento di fatto che è incensurabile in sede di legittimità, la comparazione tra la situazione del paese di origine, evidenziando la mutata situazione politica e il mantenimento dei rapporti con la famiglia di origine, e la situazione in Italia, non ritenendo decisivi gli elementi portati in giudizio dal ricorrente e specificamente presi in esame.

2.5 Rileva anche un difetto di autosufficienza della censura relativa ai motivi di salute e alla certificazione medica prodotta, non risultando né dal ricorso, né dal provvedimento impugnato, in che modalità e con quali termini il ricorrente (appellante) abbia sottoposto ai giudici di secondo grado la censura in esame, circostanza questa necessaria tenuto conto che la sentenza è stata impugnata specificamente per non averne tenuto conto (Cass., 4 ottobre 2018, n. 24340).

2.6 Anche la censura sulla mancata valutazione del periodo trascorso in Libia è inammissibile, avendo questa Corte affermato il principio che il permesso di soggiorno per motivi umanitari non può essere accordato automaticamente per il solo fatto che il richiedente abbia subito violenze o maltrattamenti nel paese di transito, ma solo se tali violenze per la loro gravità o per la durevolezza dei loro effetti abbiano reso il richiedente “vulnerabile” ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, con la conseguenza che è onere del richiedente allegare e provare come e perché le vicende avvenute nel paese di transito lo abbiano reso vulnerabile, non essendo sufficiente che in quell’area siano state commesse violazioni dei diritti umani (Cass., 16 dicembre 2020, n. 28781).

2.7 Il richiamo, poi, a precedenti giudiziari favorevoli a persone provenienti dal Gambia non può assumere decisivo rilievo in quanto frutto della valutazione delle circostanze specificamente accertate in detti giudizi

3. Con il terzo motivo si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione di legge in relazione agli artt. 6 e 13 della convenzione EDU, all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, all’art. 46 della Direttiva 32/2013 e all’art. 111 Cost., per il mancato rispetto del diritto del ricorrente ad un ricorso effettivo.

3.1 Il motivo è inammissibile perché lamenta la violazione di norme convenzionali e costituzionali, richiamando le doglianze già avanzate con i primi due motivi d’impugnazione, sicché la ritenuta inammissibilità di dette doglianze comporta l’inammissibilità della presente, che si compendia nell’apodittica affermazione che l’esame della sua posizione non ha rispettato le norme costituzionali e convenzionali, indicate siccome violate (Cass., 17 marzo 2021, n. 7475).

4. In conclusione, il rigetto va dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese, poiché l’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2021

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