Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23923 del 23/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 23/11/2016, (ud. 13/10/2016, dep. 23/11/2016), n.23923

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

E.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE POLA 9,

presso lo studio dell’Avvocato DOMENICO SANTONASTASO, rappresentato

e difeso dall’avvocato MASSIMO AMATO giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1440/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 13/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA IOFRIDA.

Fatto

IN FATTO

E.L. propone ricorso per cassazione, affidatario a tre motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 1440/01/2015, depositata in data 13/02/2015, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso per IRPEF ed addizionali, regionali e comunali, in relazione all’anno d’imposta 2006 – è stata riformata la decisione di primo grado, che aveva dichiarato cessata la materia del contendere, in relazione a parte dell’atto impositivo già annullato in autotutela dall’Amministrazione finanziaria, ed aveva dichiarato nullo l’avviso di accertamento, per la restante parte, in quanto carente di motivazione.

In particolare, i giudici d’appello, nell’accogliere il gravame dell’Agenzia delle Entrate, hanno sostenuto che, quanto alla motivazione dell’atto impositivi, non era ravvisabile alcun vizio, non essendo indispensabile l’allegazione all’atto degli altri atti richiamati ove, come nella specie il PVC, già conosciuti dal contribuente, mentre, nel merito, la prestazione del servizio di intermediazione mobiliare in favore di una terza società era stata svolta direttamente dal contribuente, in qualità di “delegato” della Agape srl, cosicchè allo stesso andava “attribuita la percezione del relativo compenso, anche se fatturato dalla società Agape” (l’ E. era legale rappresentate della società fiduciaria Intersmi Gestao e Investimentos Lda, con sede in (OMISSIS), intestataria del 90% delle quote azionarie della Agape srl, e dunque aveva “il controllo di fatto della Agape srl”, la cui attività peraltro non risultava documentata).

A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, come rituale comunicazione alle parti.

Si dà atto che il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

Diritto

IN DIRITTO

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 212 del 2000, art. 7, avendo i giudici della C.T.R. respinto il motivo di appello concernente il vizio di motivazione dell’atto impositivo, malgrado non fosse stato allegata “la segnalazione della Direzione centrale” cui l’atto faceva riferimento.

2. La censura, al di là dei profili di difetto di autosufficienza (non essendo riportata la motivazione dell’avviso di accertamento impugnato), è infondata.

La C.T.R., valutata la motivazione dell’atto impositivo, ha dato conto dei presupposti fondanti l’accertamento.

Quanto alla mancata allegazione della segnalazione della direzione Centrale Accertamento Ufficio Centrale, deve osservarsi che, come chiarito da questa Corte (Cass. 23615/2011), “il requisito motivazione dell’accertamento, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, comma 2, esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione di fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando poi affidate al giudizio d’impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostengo alla pretesa impositiva”.

In sostanza, nel regime introdotto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, l’obbligo di motivazione degli atti tributaria può essere adempiuto anche “per relationem”, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimo siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indizione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento. Questa Corte (Cass. 15327/2014) ha precisato che l’art. 7, comma 1, dello Statuto del contribuente, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisce esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza. Nella specie, nel PVC, conosciuto dal contribuente, veniva richiamata la segnalazione in oggetto.

3. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia un vizio, ex art. 360 c.p.c., n. 4, di “contraddittorietà” della motivazione.

4. La censura è inammissibile.

Le Sezioni Unite di questa Corte, premessa la piena operatività nel giudizio di cassazione in materia tributaria del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, hanno di recente, affermato (Cass. 8053 e 8054/2014) che “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, dee essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionale rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella notificazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione” (cfr. ord. 21257/2014).

Ne consegue che, mentre l’omessa pronunzia continua a sostanziarsi nella totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame de giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto, il vizio motivazionale previsto dall’art. 360 c.p.c., nuovo testo del n. 5, presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla “totale pretermissione” di uno specifico fatto storico, oppure che si sia tradotto nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza della motivazione” o “contraddittorietà” della motivazione.

Nella specie, non ricorre il vizio invocato di “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, avendo i giudici d’appello ritenuto che l’importo della prestazione fatturata dalla Agape srl, di cui l’ E. aveva “il controllo di fatto”, pur non essendone all’epoca amministratore, doveva essere attribuito al medesimo, il quale aveva materialmente beneficiato della somma.

5. Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, lamentando la nullità dell’avviso di accertamento in quanto sottoscritto da Direttore Provinciale, “dirigente nominato senza concorso”.

6. La censura è inammissibile.

Invero, non viene esplicitato dal ricorrente quando ed in quale sede detta eccezione sia stata sollevata nel giudizio di merito (non trasparendo l’eccezione della sentenza impugnata). Deve ribadirsi che le forme di invalidità dell’atto tributario, ove anche dal legislatore indicate sotto il nomen di nullità, non sono rilevabili d’ufficio, nè possono essere fatte valere per la prima volta nel giudizio di cassazione (Cass. n. 18448/2015).

7. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 3.000,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, parti a quello dovuto per i ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2016

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