Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2392 del 29/01/2019

Cassazione civile sez. trib., 29/01/2019, (ud. 06/11/2018, dep. 29/01/2019), n.2392

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare G. – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. D’OVIDIO Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12011-2013 proposto da:

LARIO SAS B.A. & C. in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA ADRIANA 15,

presso lo studio dell’avvocato PANINI ALBERIGO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MANIGLIA GIUSEPPE, giusta delega a

margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ROVAGNATE in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA CLITUNNO 51, presso lo studio dell’avvocato

MARTIRE ANDREA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

SOTTOCORNOLA BARBARA, giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 24/2012 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 16/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/11/2018 dal Consigliere Dott. D’OVIDIO PAOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’STEFANO che ha concluso per l’inammissibilità o rigetto del

ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato PANINI che si riporta agli atti;

udito per il controricorrente l’Avvocato TAMBURINI per delega

dell’Avvocato SOTTOCORNOLA che si riporta agli atti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Lario s.a.s. di B.A. & C. impugnava dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Lecco quattro distinti avvisi di accertamento emessi dal Comune di Rovagnate riguardanti l’imposta comunale sugli immobili (ICI) per gli anni 2003-20042005 e 2006, deducendone l’illegittimità sotto vari profili e chiedendone il conseguente annullamento.

Nel costituirsi in giudizio il Comune resistente eccepiva, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso in quanto volto ad impugnare cumulativamente quattro distinti avvisi di accertamento, chiedendo comunque, nel merito, il rigetto del ricorso.

2. Con sentenza n. 109/03/09, in data 8/10/2009 la CTP di Lecco dichiarava l’inammissibilità del ricorso rilevando che con un unico atto erano stati impugnati distinti avvisi e che ciò doveva ritenersi in contrasto con le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18 e 19.

3. Avverso tale sentenza proponeva appello la società contribuente censurando la statuizione di inammissibilità contenuta nella sentenza impugnata e ribadendo nel merito i già denunciati vizi formali e sostanziali degli avvisi contestati; denunciava altresì la tardività della notifica, in particolare con riferimento all’avviso di accertamento relativo all’ICI dell’anno 2003.

Il Comune appellato si costituiva insistendo per il rigetto dei motivi di appello formulati dalla Lario s.a.s.

4. Con sentenza n. 24/07/12, depositata il 16.3.2012, la Commissione tributaria Regionale di Milano, in riforma della sentenza di primo grado, riteneva ammissibile il ricorso cumulativo proposto dalla società contribuente che, tuttavia, rigettava nel merito.

5. Avverso tale sentenza la Lario s.a.s. propone ricorso per cassazione articolato in cinque motivi. Il Comune di Rovagnate resiste con controricorso, e con memoria depositata ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la “omessa e/o insufficiente motivazione in merito all’inopponibilità della sentenza n. 169/02/07, passata ingiudicato, emessa dalla Commissione provinciale di Lecco in data 1819 / 07, nonchè della sentenza, anch’essa passata in giudicato, statuita in data 21/11/91 dalla Commissione provinciale di 2 grado di Como”.

2. Con il secondo motivo dì ricorso si denuncia la “omessa e/o insufficiente motivazione in merito al fatto che la base imponibile, da utilizzare ai sensi e per gh effetti di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, ai fini della determinazione dell’imposta ICI, sia quella indicata dal Comune di Rovagnate, e non invece quella richiamata dalla Lario s.a.s.”.

3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce la “violazione e falsa applicazione del disposto di cui all’art. 2909 c.c., atteso che, contrariamente a quanto al riguardo ritenuto dalla Commissione Tributaria Regionale di Milano, vi è contrasto tra la sentenza impugnata ed il giudicato formatosi con la sentenza n. 169/2107, passata ingiudicato, emessa dalla Commissione provinciale di Lecco in data 18/9/07, nonchè con la sentenza, anch’essa passata in giudicato, statuita in data 21/11/91 dalla Commissione Provinciale di 2 grado di Como, e ciò in quanto in entrambe dette pronunce per gli immobili di cui al mappale (OMISSIS), subalterni (OMISSIS),(OMISSIS) e (OMISSIS), i valori di reddito erano stati già accertati”.

4. Il primo ed il terzo motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per ragioni di connessione logica, sono entrambi relativi all’eccezione di giudicato esterno che si sarebbe formato a seguito delle decisioni della CTP di Como del 18/0(OMISSIS)/07 e della CT di 2 grado di Como del 21/11/91 in ordine ai valori attribuiti agli immobili di cui ai mappali (OMISSIS), sub (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (oggetto del contestato accertamento ICI), censurando la sentenza impugnata sia sotto il profilo del vizio di motivazione sulla questione (primo motivo) che sotto il profilo della violazione di legge con riferimento all’art. 2909 c.c..

5. Le censure sono infondate, in quanto il giudicato esterno può essere efficacemente richiamato quando si tratti di giudizi tra le stesse parti e di tributi che, pur diversi, siano tuttavia fondati sui medesimi presupposti di fatto, situazione che, invece, non ricorre nel caso di specie: infatti, nell’eccepito giudicato del 1991 si è discusso di determinazione della base imponibile INVIM, mentre nel giudizio in esame si discute di determinazione della base imponibile ICI per immobili in categoria D non iscritti in catasto per l’annualità di riferimento (circostanza che risulta pacifica in causa), per i quali occorre far riferimento alla norma di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, come correttamente statuisce la sentenza impugnata, senza che sul punto sia stata articolata dalla parte ricorrente una specifica e adeguata censura.

Pertanto, come questa Corte ha già affermato in identica fattispecie, nel giudizio riguardante l’ICI, non può essere fatto valere il giudicato esterno formatosi con riguardo al valore dei predetti fabbricati ai fini dell’INVIM (Cass., sez. 5, 17/5/2017, n. 12272, Rv. 644137 – 01).

Quanto al giudicato formatosi sulla decisione della CTP di Como del 2007, relativo ad una controversia che aveva ad oggetto la impugnazione dell’avviso di determinazione della rendita catastale dei medesimi immobili, è vero che “in caso di impugnazione dell’atto di attribuzione della rendita catastale, la sentenza che ne determina la misura, ancorchè passata in giudicato nel corso del giudizio avente ad oggetto la determinazione dell’imposta ICI dovuta dal contribuente, rappresenta l’unico dato da prendere in considerazione ai fini dell’individuazione della base imponibile” (dovendosi ritenere, a seguito dell’accertamento giudiziale definitivo, che essa costituisca l’unica rendita valida ed efficace ai fini dell’applicazione del D.Lgs. 30 dicembre 1992, art. 5, comma 2), ma è anche vero che tale effetto si produce dal momento dell’attribuzione della rendita da parte dell’UTE, in applicazione del principio che gli effetti di ogni provvedimento giurisdizionale retroagiscono al momento della domanda, e quindi, se ed in quanto la detta rendita risulti legittimamente in catasto al primo gennaio dell’anno di riferimento dell’imposta (Cass., sez. 5, 1/6/2006, n. 13069, Rv. 590435 -01; Cass., sez. 5, 4/3/2015, n. 4334, Rv. 634679 – 01).

Nel caso in esame, essendo oggetto di impugnazione gli accertamenti ICI relativi ai periodi di imposta 2003, 2004, 2005 e 2006 e non avendo la ricorrente neppure allegato che il ricorso avverso l’attribuzione della rendita da parte dell’UTE sia avvenuta anteriormente all’i gennaio 2006, il giudicato del 2007 non può produrre effetti con riferimento ai periodi di imposta in contestazione.

6. Il secondo motivo di ricorso, con il quale la parte ricorrente lamenta vizio di motivazione in ordine all’applicazione dei valori determinati dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, in luogo di quelli indicati dalla società (risultanti dall’accertamento ai fini INVIM), è inammissibile, in quanto volto a denunciare l’omissione o insufficienza della motivazione in relazione a questioni di diritto, le quali non costituiscono “fatti”, dovendo intendersi per tali precisi accadimenti o precise circostanze in senso storico – naturalistico, non assimilabili in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti (Cass., sez. 5, 8/10/2014, n. 21152, Rv. 632989 – 01; Cass., sez. 5, 13/12/2017, n. 29883, Rv. 646294 – 01). Peraltro, tale censura è comunque assorbita dall’esito dell’esame sul primo e terzo motivo, atteso che, non spiegando effetti di giudicato esterno le pronunce dei giudici tributari indicati dalla ricorrente ed in assenza di rendita legittimamente attribuita per gli anni di imposta di cui è controversia, correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto che l’imposta effettivamente dovuta debba essere determinata secondo i criteri indicati dal Comune di Rovagnate a norma del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 3.

7. Con il quarto motivo è denunciata la “violazione e falsa applicazione del D.Lgs n. 504 del 1992, art. 5, in relazione all’art. 53 Cost.”.

Sostiene la ricorrente che la sentenza impugnata, nell’applicare il citato D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, avrebbe omesso di tenere conto dell’art. 53 Cost., così erroneamente ritenendo dovuta l’ICI anche in relazione ad immobili in concreto inutilizzabili, in quanto ricadenti nel (OMISSIS) e (OMISSIS) e, dunque, assoggettati ai relativi vincoli. Ciò in quanto nella specie, in assenza di reddito traibile dagli immobili in questione, non vi sarebbe capacità contributiva assoggettabile all’imposta ICI.

Nel caso in cui tale interpretazione non fosse accolta, la ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 5,7 e 8, per contrasto con gli artt. 53 e 3 Cost., laddove non prevedono che per gli immobili in concreto insuscettibili di utilizzazione l’ICI non sia dovuta, o quantomeno sia dovuta in misura ridotta al pari che per gli immobili dichiarati inagibili e di fatto non utilizzabili.

7.1 Il motivo è infondato.

Sulla questione questa Corte si è più volte pronunciata (Cass. sez. 5, 17/5/2017, n. 12272, Rv. 644137 – 02; Cass., sez. 5, 26/02/2010, n. 4753, Rv. 611757 – 01; Cass., sez. 5, 04/10/2004, n. 19750, Rv. 577494 – 01) affermando il principio, cui il collegio intende dare continuità, secondo il quale: “In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 1, in nessun modo ricollega il presupposto dell’imposta all’idoneità del bene a produrre reddito o alla sua attitudine ad incrementare il proprio valore o il reddito prodotto, assumendo rilievo il valore dell’immobile, ai sensi del successivo art. 5, ai soli fini della determinazione della base imponibile – e quindi della concreta misura dell’imposta -, con la conseguenza che deve escludersi che un’area edificabile soggetta ad un vincolo urbanistico che la destini all’espropriazione (nella fattispecie, per la realizzazione di un’area industriale) sia per ciò esente dall’imposta. Tale conclusione riceve conferma dalla disciplina dettata dal citato D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16,comma 2 – abrogato a decorrere dal 30 giugno 2003, ai sensi del D.P.R 8 giugno 2001, n. 327, art. 58, comma 1, n. 134, e art. 59, modificati dal D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302 – e dal menzionato D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 8, i quali mirano a ristorare il proprietario del pregiudizio a lui derivante nel caso in cui l’imposta versata nei cinque anni precedenti all’espropriazione, conteggiata sul valore venale del bene, sia superiore a quella che sarebbe risultata se fosse stata calcolata sulla indennità di espropriazione effettivamente corrisposta (nè tale disciplina” nella parte in cui non si applica al periodo di tempo antecedente agli ultimi cinque anni rispetto alla data dell’espropriazione, pone dubbi di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 2,3 e 53 Cost.)”.

Manifestamente infondata è la questione di illegittimità costituzionale, sollevata dalla ricorrente con riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., al D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 5,7 e 8, nella parte in cui non prevedono che per gli immobili insuscettibili di utilizzazione l’ICI non sia dovuta, o quantomento sia dovuta in misura ridotta, al pari degli immobili dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzabili.

E’ evidente, infatti, che, non essendo l’imposta correlata all’idoneità del bene a produrre reddito o alla sua attitudine ad incrementare il proprio valore o il reddito prodotto, la capacità del bene a produrre reddito resta irrilevante (Cass., sez. 5, 18/06/2010, n. 14820, Rv. 613709 – 01) e, conseguentemente, non discrimina sfavorevolmente la capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost..

Peraltro, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 67 del 2006, sia pure investita della questione sotto diversi profili, ha escluso il contrasto della norma di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 5, con gli artt. 3 e 53 Cost.

8. Con il quinto motivo di ricorso è dedotta la “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in relazione alla questione relativa alla irrilevabilità d’ufficio della tardività della notifica dell’avviso di accertamento ICI anno 2003”.

Secondo la ricorrente, la CTR avrebbe erroneamente dichiarato inammissibile, per novità, la eccezione di tardività della notifica dell’avviso di accertamento in rettifica relativo all’ICI dovuta per l’anno 2003, sollevata in appello dalla contribuente, atteso che, per contro, la decadenza dell’Amministrazione finanziaria dal diritto di pretendere il pagamento di imposte sarebbe rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

8.1 La censura è infondata.

Infatti, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, il termine di decadenza stabilito, a carico dell’ufficio tributario ed in favore del contribuente, per l’esercizio del potere impositivo, ha natura sostanziale e non appartiene a materia sottratta alla disponibilità delle parti, atteso che tale decadenza non concerne diritti indisponibili dello Stato alla percezione di tributi, ma incide unicamente sul diritto del contribuente a non vedere esposto il proprio patrimonio, oltre un certo limite di tempo, alle pretese del fisco, sicchè è riservata alla valutazione del contribuente stesso la scelta di avvalersi o no della relativa eccezione, che ha natura di eccezione in senso proprio e non è, quindi, rilevabile d’ufficio, nè proponibile per la prima volta in grado d’appello (così Cass., sez. 6-5, 9/1/2015, n. 171, Rv. 634246 – 01; nello stesso senso Cass. sez. 5, 7/07/2017, n. 16803, Rv. 644798 – 01; Cass. sez. 5, 27/01/2012, n. 1154, Rv. 621366 – 01; Cass. sez. 5, 8/6/2011, n. 12442, Rv. 618422 – 01; Cass., sez. 5, 11/12/2006, n. 26361, Rv. 595843 – 01).

8. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

Trattandosi di ricorso notificato (nel maggio 2013) successivamente al 30 gennaio 2013, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ai sensi dello stesso art. 13, comma 1 -bis.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna la parte ricorrente alle spese della presente fase del giudizio che liquida in complessivi Euro. 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie ed accessori di legge. Dichiara che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis.

Così deciso in Roma, dalla quinta sezione civile della Corte di cassazione, il 6 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2019

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