Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2392 del 04/02/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 2392 Anno 2014
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: TRICOMI IRENE

ORDINANZA
sul ricorso 25977-2011 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 80078750587
in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati TRITOLO VINCENZO,
CORETTI ANTONIETTA, DE ROSE EMANUELE, STUMPO VINCENZO, giusta
procura in calce al ricorso;

– ricorrente contro
DI IANNI DONATO;

– intimato avverso la sentenza n. 5486/2010 della CORTE D’APPELLO di BARI del 26.10.2010,
depositata 11 02/11/2010;

I;

Data pubblicazione: 04/02/2014

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/11/2013 dal
Consigliere Relatore Dott. IRENE TRICOMI;
udito per il ricorrente l’Avvocato Antonietta Coretti che si riporta agli scritti.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MAURIZIO VELARDI che si

riporta alla relazione scritta.

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FATTO E DIRITTO
Atteso che e’ stata depositata relazione del seguente contenuto.
«Il consigliere relatore osserva quanto segue.
Di Ianni Donato operaio agricolo a tempo determinato, si rivolse al giudice
del lavoro di Lucera per ottenere il ricalcolo dell’indennità di disoccupazione
agricola corrisposta in relazione alle giornate di lavoro effettuate nell’anno 2002,
ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. 16.4.97 n. 146, in relazione alla retribuzione fissata
dalla contrattazione integrativa collettiva della provincia, anziché in base al salario
medio convenzionale rilevato nell’anno 1995 e non più incrementato.
Rigettata la domanda e proposto appello dall’assicurato, la Corte d’appello
di Bari (sentenza 5486 del 2010), ritenuto che non dovesse trovare applicazione la
decadenza annuale, essendo sottoposta la pretesa soltanto al limite dell’ordinaria
prescrizione decennale, accoglieva l’impugnazione, con la condanna dell’INPS a
riliquidare l’indennità di disoccupazione corrisposta all’appellante per l’anno di
riferimento, ponendo a base del calcolo il salario fissato pro tempore dalla
contrattazione collettiva provinciale, compresa la c.d. quota di trattamento di fine
rapporto, oltre accessori.
Propone ricorso per cassazione l’INPS, prospettando tre motivi di ricorso.
L’intimato non ha svolto difese.
Con il primo motivo l’INPS prospetta la violazione e falsa applicazione
dell’art. 47, comma 3, del dPR 30 aprile 1970, n. 639 e succ. mod. (art, 360, n. 3,
cpc).
Deduce il ricorrente che, pur nella consapevolezza dei principi affermati da
Cass. n. 12720 del 2009, prendeva atto della rimessione alle Sezioni Unite della
questione dell’applicabilità della decadenza di cui alla normativa richiamata.
Assumeva, quindi, che a proprio avviso doveva farsi applicazione della decadenza
per la proposizione dell’azione giudiziale.
Il motivo appare manifestamente infondato, in base ai principi affermati da
questa Corte, come esposti in Cass., n. 7245 del 2012, di cui si riporta il seguente
passo:
«la giurisprudenza consolidata, pur tra frequenti contrasti, di questa Corte (da
ultimo, sulla base di Cass. S.U. 29 maggio 2009 n. 12720 – che ribadisce le tesi della
precedente Cass. S.U. 18 luglio 1996 n. 6491-, cfr., ad es., Cass. 20 gennaio 2010 n. 948
e 26 gennaio 2010 n. 1580) era, per quanto qui interessa e fino alla citata recente novella
del 2011, nel senso della inapplicabilità della decadenza alle domande di adeguamento
di prestazioni previdenziali già riconosciute e liquidate solo parzialmente dall’ente
previdenziale. Infatti le sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n. 12720 del 29
maggio 2009, componendo un contrasto di giurisprudenza insorto nell’ambito della
sezione lavoro, avevano affermato che “La decadenza di cui al D.P.R. 30 aprile 1970, n.
639, art. 47 – come interpretato dal D.L. 29 marzo 1991, n. 103, art. 6, convertito, con
modificazioni, nella L. 1 giugno 1991, n. 166 – non può trovare applicazione in tutti
quei casi in cui la domanda giudiziale sia rivolta ad ottenere non già il riconoscimento
del diritto alla prestazione previdenziale in sè considerata, ma solo l’adeguamento di
detta prestazione già riconosciuta in un importo inferiore a quello dovuto, come avviene
nei casi in cui l’Istituto previdenziale sia incorso in errori di calcolo o in errate
interpretazioni della normativa legale o ne abbia disconosciuto una componente, nei
quali casi la pretesa non soggiace ad altro limite che non sia quello della ordinaria
prescrizione decennale”.
Recentemente, peraltro, la questione era stata nuovamente rimessa da un
collegio della sezione lavoro, con ordinanza interlocutoria depositata il 18 gennaio
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2011, n. 1071, alle sezioni unite di questa Corte, sulla base del rilievo che
l’interpretazione prevalente non apparirebbe giustificata dal tenore letterale e dalla
considerazione delle finalità della norma, la quale riguarderebbe viceversa ogni tipo di
azione in materia di prestazioni previdenziali.
Intervenuta, tra l’ordinanza interlocutoria di rimessione alle sezioni unite della
Corte e la data dell’udienza avanti a queste ultime, la citata novella di cui al recente D.L.
6 luglio 2011, n. 98, art. 38, comma 1, lett. d) convertito in L. n. 111 del 2011, è stata
quindi disposta la restituzione degli atti alla sezione lavoro, sulla base della
considerazione della necessità di valutare la persistenza del proposito di investire della
questione le sezioni unite, alla luce della valutazione della eventuale incidenza delle
norme di legge citate sulla interpretazione del l’art. 47, vigente prima di essa.
2.3 – Ciò premesso, non può non rilevarsi che la nuova disciplina, esprimendo il
proposito del legislatore di modificare in materia, con una limitata efficacia retroattiva,
la regola preesistente, quale consolidatasi per effetto delle recente pronuncia delle
sezioni unite del 2009, conferma indirettamente la corrispondenza di quest’ultima
all’originario contenuto dell’art. 47, nel testo vigente fino alla novella del 2011.
L’autorità del precedente arresto interpretativo delle sezioni unite della Corte e
l’indiretta conferma della sua correttezza proveniente dallo stesso legislatore convincono
in definitiva il collegio della inapplicabilità del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47
prima delle integrazioni apportate del D.L. n. 98 del 2011, art. 38 al caso di richiesta di
riliquidazione di prestazioni previdenziali solo parzialmente riconosciute e liquidate
dall’ente previdenziale».
Con il secondo motivo l’Istituto assume la violazione e falsa applicazione
dell’art. 18, comma 18, del d.l. n. 98 del 2011 conv. dalla legge n. 111 del 2011
(art. 360, n. 3, cpc). Ed infatti alla luce della suddetta disposizione non poteva
considerarsi il tfr come componente della retribuzione.
Con il terzo motivo di impugnazione, l’INPS deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 46, 51, e 55 del CCNL operai agricoli e florovivaisti del
10 luglio 2012, in relazione all’art. 6, c. 4, lett. a), del d.lgs. 2.9.97 n. 314 ed agli
artt. 1362 segg. e 2120 c.c., nonché 4, c. 10 e 11, della legge. 29.5.82 n. 297. Il
ricorrente contesta la tesi della Corte d’appello che l’emolumento denominato
trattamento di fine rapporto (t.f.r.) corrisposto agli operai agricoli a tempo
determinato costituisca una componente della retribuzione, come tale idonea a
determinare la indennità di disoccupazione, e non salario differito, escluso ai sensi
del detto art. 6, c. 4, lettera a), sia dalla base imponibile dei contributi
previdenziali, sia dalla retribuzione utile per il calcolo delle prestazioni
temporanee in agricoltura.
I suddetti due motivi di ricorso devono essere esaminati congiuntamente.
Gli stessi appaiono manifestamente fondati
Confermando quanto già ritenuto con la sentenza 9.5.07 n. 10546, secondo
cui ai fini della liquidazione delle prestazioni temporanee in agricoltura, la nozione
di retribuzione – definita dalla contrattazione collettiva provinciale, da porre a
confronto con il salario medio convenzionale ex art. 4 d.lgs. 16.4.97 n. 146 – non è
comprensiva del trattamento di fine rapporto, questa Corte ha ulteriormente
affermato che “sulla base del suddetto principio, la voce denominata quota di t.f.r.
dai contratti collettivi vigenti a partire da quello del 27.11.1991, va esclusa dal
computo della indennità di disoccupazione, in considerazione della volontà
espressa dalle parti stipulanti, che è vietato disattendere in forza della disposizione
di cui al d.l. 14.6.96 n. 318, art. 3, conv. dalla legge. 29.7.96, n. 402, a norma del
quale, agli effetti previdenziali, la retribuzione dovuta in base agli accordi
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collettivi, non può essere individuata in difformità rispetto a quanto definito negli
accordi stessi. Dovendo escludersi che detta voce abbia natura diversa rispetto a
quella indicata dalle parti stipulanti, non è ravvisabile alcuna illegittima
alterazione degli istituti legali da parte dell’autonomia collettiva” (v. Cass. n. 202
del 2011, ord. n. 18516 del 2011 e numerose altre conformi).
Tale orientamento giurisprudenziale è stato confermato dal legislatore, il
quale con norma interpretativa contenuta nell’art. 18, comma 18, del d.l. 6.07.11
n. 98, convertito dalla legge n. 111 del 2011, prevede che “1 art. 4 del decreto
legislativo 16 aprile 1997 n. 146, e l’articolo 01, comma 5, del decreto- legge 10
gennaio 2006 n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 marzo 2006 n. 81,
si interpretano nel senso che la retribuzione, utile per il calcolo delle prestazioni
temporanee in favore degli operai agricoli a tempo determinato, non è comprensiva
della voce del trattamento di fine rapporto comunque denominato dalla
contrattazione collettiva” (citata Cass., ord. n. 18516 del 2011).
H ricorso è, dunque, manifestamente infondato con riguardo al primo
motivo, mentre è manifestamente fondato, con riguardo al secondo ed al terzo
motivo, e deve essere accolto in ordine agli stessi. Non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384, c. 1, cpc può provvedersi nel merito e
rigettarsi la domanda quanto all’inclusione della quota di TFR nella base di calcolo
dell’indennità di disoccupazione agricola».
Il Collegio condivide e fa proprie le considerazioni svolte nella relazione (cfr.
Cass. n. 200 del 5 gennaio 2011, id n. 11152 del 2011, n. 17832 del 2011, n. 7118 del
2012 e numerose altre conformi), considerato, da un lato, che le Sezioni Unite di questa
Corte, con la sentenza n. 12720 del 2009, componendo un contrasto di giurisprudenza
insorto nell’ambito della sezione lavoro, hanno affermato che “la decadenza di cui al
d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47 – come interpretato dal d.l. 29 marzo 1991, n. 103,
art. 6, convertito, con modificazioni, nella legge 10 giugno 1991, n. 166 – non può
trovare applicazione in tutti quei casi in cui la domanda giudiziale sia rivolta ad ottenere
non già il riconoscimento del diritto alla prestazione previdenziale in sé considerata, ma
solo l’adeguamento di detta prestazione già riconosciuta in un importo inferiore a quello
dovuto, come avviene nei casi in cui l’Istituto previdenziale sia incorso in errori di
calcolo o in errate interpretazioni della normativa legale o ne abbia disconosciuto una
componente, nei quali casi la pretesa non soggiace ad altro limite che non sia quello
della ordinaria prescrizione decennale”, dall’altro, che, confermando quanto già
ritenuto con la sentenza n. 10546 del 2007, secondo cui ai fini della liquidazione
delle prestazioni temporanee in agricoltura, la nozione di retribuzione – definita
dalla contrattazione collettiva provinciale, da porre a confronto con il salario
medio convenzionale ex art. 4 d.lgs. 16.4.97 n. 146 – non è comprensiva del
trattamento di fine rapporto, questa Corte ha ulteriormente affermato che “sulla
base del suddetto principio, la voce denominata quota di t.f.r. dai contratti collettivi
vigenti a partire da quello del 27.11.1991, va esclusa dal computo della indennità
di disoccupazione, in considerazione della volontà espressa dalle parti stipulanti,
che è vietato disattendere in forza della disposizione di cui al d.l. 14.6.96 n. 318,
art. 3, conv. dalla legge 29.7.96, n. 402, a norma del quale, agli effetti
previdenziali, [la retribuzione dovuta in base agli accordi collettivi, non può essere
individuata in difformità rispetto a quanto definito negli accordi stessi. Dovendo
escludersi che detta voce abbia natura diversa rispetto a quella indicata dalle parti
stipulanti, non è ravvisabile alcuna illegittima alterazione degli istituti legali da
parte dell’autonomia collettiva” (v. Cass. n. 202 del 2011, ord. n. 18516 del 2011
e numerose altre conformi).
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Presidente

Tale orientamento giurisprudenziale è stato confermato dal legislatore, il
quale, con norma interpretativa contenuta nell’art. 18, comma 18, del d.l. 6.07.11
n. 98, convertito dalla legge n. 111 del 2011, prevede che “1 art. 4 del decreto
legislativo 16 aprile 1997 n. 146, e l’articolo 01, comma 5, del decreto- legge 10
gennaio 2006 n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 marzo 2006 n. 81,
si interpretano nel senso che la retribuzione, utile per il calcolo delle prestazioni
temporanee in favore degli operai agricoli a tempo determinato, non è comprensiva
della voce del trattamento di fine rapporto comunque denominato dalla
contrattazione collettiva” (Cass., ord. n. 18516 del 2011).
Pertanto, il ricorso dell’I.N.P.S. va accolto con riguardo al secondo e al terzo
motivo e la sentenza della Corte di appello di Bari va cassata nella parte impugnata.
Il primo motivo di ricorso deve essere rigettato attesa l’ inapplicabilità dell’art.
47 del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, prima delle integrazioni apportate dell’art. 38 del
D.L. n. 98 del 2011, al caso di richiesta di riliquidazione di prestazioni previdenziali
solo parzialmente riconosciute e liquidate dall’ente previdenziale.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa
nel merito, col rigetto della domanda iniziale con riferimento alla inclusione del T.F.R.
nella base di calcolo dell’indennità di disoccupazione.
L’esito complessivo della lite e la considerazione relativa alla sopravvenienza
della norma di legge interpretativa citata consigliano l’integrale compensazione tra le
parti delle spese dell’intero processo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso e accoglie il secondo ed il terzo
motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel
merito rigetta la domanda di inclusione della quota TFR nella base di calcolo della
indennità di disoccupazione per il settore agricoltura. Compensa le spese dell’intero
processo.
Così deciso in Roma, il 21 novembre 2013

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