Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23918 del 11/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 11/10/2017, (ud. 23/06/2017, dep.11/10/2017),  n. 23918

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6549-2016 proposto da:

G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE 118, presso lo studio dell’avvocato GIANFRANCO POLINARI, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.B., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO VIVALDI

15, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO COSTANZO BERGODI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GINEITA BERGODI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 616/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/06/2017 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Preso atto che:

il Consigliere relatore dott. A. Scalisi ha proposto che la controversia fosse trattata in Camera di Consiglio non partecipata della Sesta Sezione Civile di questa Corte, ritenendo il ricorso tempestivo, ma infondato perchè la Corte distrettuale ha correttamente osservato la norma di cui all’art. 342 c.p.c.. La proposta del relatore è stata notificata alle parti.

Letti gli atti del procedimento di cui in epigrafe.

Il Collegio premesso che:

G.A., con ricorso n. 6549 del 2016, ha chiesto a questa Corte la cassazione della sentenza n. 616 del 2015 con la quale la Corte di Appello di Roma dichiarava, per mancata specificità dei motivi, inammissibile l’appello promosso dall’attuale ricorrente averso la sentenza n. 19 del 2010 con la quale il Tribunale di Viterbo aveva accolto la richiesta di risarcimento del danno alla salute ed esistenziale a seguito della lamentata sussistenza di gravi e reiterate immissioni moleste provocate dal G. in danno di D.B. e D.S.. Secondo la Corte di Appello di Roma, l’atto di appello si sostanziava nella manifestazione di alcune perplessità e non nella critica ragionata della sentenza volta ad evidenziare gli errori.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta per un motivo: 1) violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c..

Considerato che:

In via preliminare va rigettata l’eccezione avanzata dai controricorrenti di inammissibilità del ricorso per tardività perchè proposto dopo i sei mesi dalla data di pubblicazione della sentenza di secondo grado. A ben vedere, il giudizio de quo risulta instaurato prima dell’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009 pubblicata in G.U. il 19 giugno 2009 ed entrata in vigore il 4 luglio 2009.

Piuttosto per il giudizio de quo, posto che la sentenza impugnata, non risulta sia stata notificata, il termine per il ricorso in cassazione era quello lungo di un anno dalla pubblicazione della sentenza avvenuta il 22 gennaio 2015. Con la specificazione che il ricorso presentato il 29 febbraio 2016 è tempestivo dato che il termine per l’impugnazione sarebbe venuto a scadere il 9 marzo 2016.

2.= Con l’unico motivo di ricorso Arnaldo G. sostiene che l’atto di appello soddisfaceva pienamente il requisito della specificità posto che l’appellante sia pure in maniera sintetica formulava due critiche: a) l’insussistenza negli atti di causa del collegamento tra il danno lamentato dai resistenti e l’an; b) la valutazione in via equitativa quale valutazione residuale e non ammissibile nel caso de quo, sussistendo una valutazione compiuta del danno.

2.1.= Il motivo è infondato.

Va qui premesso, che quando col ricorso per cassazione venga denunciata la violazione dell’art. 342 c.p.c. (nel testo vigente “ratione temporis”, anteriore alle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. nella L. 7 agosto 2012, n. 134) in ordine alla specificità dei motivi di appello, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti e i documenti sui quali il ricorso si fonda.

Ora, l’esame diretto dell’atto di appello non consente di superare quanto è stato osservato dalla Corte distrettuale e, cioè, che l’atto di appello si sostanzia nella manifestazione di alcune perplessità e non nella critica ragionata della sentenza al fine di evidenziare gli errori. Epperò, come insegnano le Sezioni Unite di questa Corte di Cassazione “I motivi di appello sono specifici, nel senso voluto dalla prima parte del previgente art. 342 c.p.c., se si traducono nella prospettazione di argomentazioni, contrapposte a quelle svolte nella sentenza impugnata, dirette ad incrinarne il fondamento logico – giuridico.” E, questa Corte ha ripetutamente puntualizzato che: nell’atto di appello, ossia nell’atto che, fissando i limiti della controversia in sede di gravame consuma il diritto potestativo di impugnazione, alla parte volitiva deve, perciò, sempre accompagnarsi, a pena di inammissibilità dell’impugnazione, rilevabile d’ufficio e non sanabile per effetto dell’attività difensiva della controparte, una parte argomentativa, che contrasti e confuti le ragioni addotte dal primo giudice. A tal fine non è peraltro sufficiente che l’atto d’appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è altresì necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità.

In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente, in ragione del principio di soccombenza, condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, che vengono liquidate con il dispositivo. Il Collegio dà atto che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% del compenso ed accessori, come per legge; dà atto che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2017

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