Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23916 del 23/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 23/11/2016, (ud. 13/10/2016, dep. 23/11/2016), n.23916

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11395-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

L.N.C., in qualità di socio – nonchè liquidatore –

della Bonaparte Galleria d’Arte srl, in liquidazione,

L.G.M., in qualità di socia della stessa società, elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA A. GRAMSCI 14, presso lo studio

dell’avvocato ANTONELLA GIGLIO, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MAURIZIO LEONE in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 586/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LOMBARDIA del 22/12/2014, depositata il 23/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA IOFRIDA.

Fatto

IN FATTO

L’Agenzia delle Etrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, nei confronti di L.N.C., in qualità socio e liquidatore della Bonaparte Galleria d’Arte srl, e di L.G.M., in qualità di socia della stessa società, (che resistono con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 586/19/2015, depositata in data 93/02/9015, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso a carico della società Bonaparte Galleria d’Arte srl, cancellata nel (OMISSIS), a seguito deposito del bilancio finale di liquidazione, dal Registro delle Imprese, per maggiori IRAP ed IVA dovute in relazione all’anno d’imposta 2007, a seguito di rettifica del reddito imponibile, e notificato all’ex liquidatore ed ai soci, ex art. 2495 c.c., – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso dei contribuenti.

In particolare, i giudici d’appello – premesse che l’avviso di accertamento impugnato concerneva “presunte imposte evase accertate in capo alla società, (cfr. pag. 18 dell’avviso di accertamento all. 3), non più esistente, in quanto cancellata, dal Registro delle Imprese, l’anno successivo a quello in contestazione, e non anche “utili extracontabili distribuiti ai soci – hanno dichiarato inammissibile il gravame dell’Agenzia delle Entrate, in quanto involgente domande ed eccezioni nuove, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, avendo l’appellante sostenuto che l’importo in contestazione fosse costituito da “utili distribuiti extra contabilmente”. La Commissione precisava che, nell’avviso di accertamento, l’Ufficio non aveva “mai retenuto che l’importo di Euro 1.194.335,00 fosse un utile distribuito extracontabilmente”, consistendo il “petitum” nell’attribuzione ai soci della responsabilità diretta per le imposte dovute dalla società.

I giudici della C.T.R. hanno poi rilevato, dall’esame delle sentenze pronunciate in relazione alle impugnazioni degli atti impositivi a carico dei due soci, che non era emerso, nei confronti di questi ultimi, pur sottoposti “ad analisi finanziaria per il 2007”, alcun elemento connesso “alla presunta distribuzione di utili”.

All’udienza del 28/04/2016, la causa veniva rinviata a – Nuovo Ruolo per acquisizione del fascicolo d’ufficio del giudizio di merito.

A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata nuovamente fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti.

Diritto

IN DIRITTO

1. L’unico motivo del ricorso, con il quale si lamenta violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 4, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, per avere i giudici della C.T.R. ritenuto inammissibile l’appello dell’Ufficio in relazione al recupero a tassazione delle maggiori imposte accertate in capo ai soci, in virtù della presunzione di disti pro quota degli utili extracontabili, è infondato.

Risulta, dalla sentenza impugnata e dall’esame degli atti, che oggetto del giudizio è l’avviso di accertamento emesso a carico della società di capitali, a seguito di rettifica del reddito sociale, per maggiori IRES, IRAP ed IVA dovute in relazione all’anno 2007 (anteriore alla estinzione della società), atto notificato ai soci, in ragione della loro responsabilità “oggettiva speciale” dettata dall’art. 2495 c.c., e non anche l’accertamento conseguente al recupero a tassazione “dell’ulteriore reddito proprio del socio accertato sulla base della presunzione di distribuzione ai soci pro quo di utili extrabilancio” (pag. 14 del ricorso per cassazione).

Invero, in calce all’avviso di accertamento (incentrato sulla pretesa impositiva contestata alla società), si afferma: “Responsabilità dei soci. Considerato che la società risulta cessata, lo scrivente Ufficio è legittimato a far valere la pretesa tributaria contenuta nel presente atto di accertamento nei confronti dei soci in ragione della responsabilità oggettiva speciale degli stessi derivante dall’art. 195 c.c.. Lo scrivente Ufficio ritiene infatti integrata la responsabilità dei soci – in ragione di una interpretazione estensiva del dato letterale – anche in caso di distribuzione extracontabile di utili. Conseguentemente i soci devono rispondere di quanto accertato a carico della società per IRES, IRAP ed IVA dovute con il presente ACCERTAMENTO a carico della società, in ragione della quota individuale di responsabilità”. Si tratta dunque di mere affermazioni, anzichè in fatto, in diritto (sull’astratta responsabilità dei soci, ex art. 2495 c.c.), non ancorate al contenuto dell’accertamento.

Anzi, dalla sentenza impugnata, emerge che gli atti impositivi, concernenti la maggiore IRPEF dovuta dai soci, hanno formato oggetto di separate impugnazioni in distinti giudizi.

Ora, vero che il divieto di domande ed eccezioni nuove poste dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 non può mai riguardare i fatti e le argomentazioni posti dalle parti medesime a fondamento della domanda, che costituiscono oggetto di accertamento, esame e valutazione da parte del giudice di secondo grado, il quale, per effetto dell’impugnazione, deve a sua volta pronunciarsi sulla domanda accolta dal primo giudice, riesaminando perciò fatti, allegazioni probatorie e argomentazioni giuridiche che rilevino per la decisione.

Nel processo tributario di appello, la novità della domanda deve, tuttavia, essere verificata in stretto riferimento “alla pretesa effettivamente avanzata nell’atto impositivo impugnato e, quindi, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati, poichè, il processo tributario, in quanto rivolto a sollecitare il sindacato giurisdizionale sulla legittimità del provvedimento impositivo, è strutturato come un giudizio di impugnazione del provvedimento stesso, nel quale l’Ufficio assume la veste di attore in senso sostanziale, e la sua pretesa è quella risultante dall’atto impugnato, sia per quanto riguarda il “petitum” sia per quanto rigaurda la “causa petendi” (Cass. 10806/2012; Cass. 9810/2014).

Il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, comma 3, invocato dalla ricorrente Agenzia delle Entrate, stabilisce che i soci, i quali abbiano ricevuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione danaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o abbiano avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dai soggetti di cui al comma 1 (i liquidatori) nei limiti del valore dei beni stessi, salvo le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile.

E’ dunque, consentito al Fisco di agire in via sussidiaria nei confronti dei soci, salvo quanto previsto dal nuovo art. 2495 c.c.. Per quest’ultima norma, dopo la cancellazione, i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione. Come già chiarito da questa Corte, dal chiaro tenore testuale delle disposizioni tributarie e civilistiche, la responsabilità dei soci per le obbligazioni fiscali non assolte è limitata alla parte da ciascuno di essi conseguita nella distribuzione dell’attivo nelle varie fasi, cosicchè il Fisco, il quale voglia agire nei confronti del socio, è tenuto a dimostrare il presupposto della responsabilità di quest’ultimo, e cioè che, in concreto, vi sia stata la distribuzione dell’attivo e che una quota di tale attivo sia stata riscossa (Cass. 19732/2005; Cass. 11968/2012; Cass. 7676/2012), ovvero che vi siano state le assegnazioni sanzionate dalla norma fiscale.

Ora, solo con l’atto di appello, l’Agenzia delle Entrate specificava di ascrivere ai soci una presunta distribuzione occulta di utili (extrabilancio) relativamente al periodo d’imposta 2007 pari ad Euro 1.194.335,00″, contestazione questa che non aveva formato oggetto dell’accertamento. Nella specie, pertanto, correttamente la C.T.R. ha ritenuto inammissibile il gravame dell’Agenzia delle Entrate, in quanto involgente domande ed eccezioni nuove, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, valutato il contenuto dell’originario atto impositivo impugnato, emesso a carico della società e notificato ai soci, dopo l’estinzione della prima, in relazione alla loro responsabilità ex art. 2495 c.c..

2. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Non sussistono i presupposti per il versamento del doppio contributo unificato da parte della ricorrente, poichè il disposto del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,comma 1 quater non si applica all’Agenzia delle Entrate (Cass. SSUU 9938/2014).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.000,00, a titolo di compensi, oltre rimborso forfetario spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2016

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