Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23915 del 22/10/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 23915 Anno 2013
Presidente: MASSERA MAURIZIO
Relatore: D’AMICO PAOLO

SENTENZA

sul ricorso 30207-2007 proposto da:
CECCARONI DONATELLA, TICCONI MASSIMO, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA VAL DI FASSA 54 INT 3,
presso lo studio dell’avvocato FELLI MARIA RITA,
che li rappresenta e difende unitamente
all’avvocato FELLI FRANCO giusta delega in atti;
– ricorrenti contro

1650

SACCUCCI

VITTORIO,

PIETRANGELI

ALESSANDRO,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BANCO DI S.
SPIRITO 48, presso lo studio dell’avvocato D’OTTAVI

1

Data pubblicazione: 22/10/2013

AUGUSTO,

rappresentati

e

difesi

dall’avvocato

SPERATI ISIDORO giusta delega in atti;
– con troricorrenti –

avverso la sentenza n. 4402/2006 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/10/2006 R.G.N.

udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 17/09/2013 dal Consigliere
Dott. PAOLO D’AMICO;
udito l’Avvocato MARIA RITA FELLI;
udito l’Avvocato ISIDORO SPERATI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

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9724/2002;

Svolgimento del processo

Massimo Ticconi e Donatella Ceccaroni convennero in
giudizio, dinanzi al Tribunale di Frosinone, Alessandro
Pietrangeli e Vittorio Saccucci per sentirli condannare al
pagamento della somma di

35.000.000 in favore della Ceccaroni, a titolo

di risarcimento dei danni materiali, fisici e morali che
assumevano di aver subito a causa del malfunzionamento di un
impianto di riscaldamento installato dagli stessi convenuti.
Esponevano gli attori che Massimo Ticconi nel 1983 aveva
affidato a questi ultimi l’installazione del suddetto impianto
nella sua abitazione e che lo stesso era stato completato e
consegnato al committente nel mese di marzo 1986.
Dichiaravano altresì gli attori che il 6 aprile 1986 il
fratello di Massimo Ticconi aveva acceso l’impianto e che essi,
dopo averlo spento, si erano recati a dormire. Il giorno
seguente la madre di Massimo Ticconi aveva trovato il figlio e
la nuora intossicati a causa delle esalazioni di tale impianto.
Per questa ragione il Ticconi e la Ceccaranoni erano stati
trasportati in ospedale.
Si costituirono Alessandro Pietrangeli e Vittorio Saccucci
eccependo che il suddetto impianto non era stato completato e
che la mancanza del foro di aerazione era stata segnalata
all’attore ed a suo fratello Silvio il giorno precedente
all’accensione.
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della somma di

20.000.000 a favore del Ticconi e

In via riconvenzionale chiedevano condannarsi gli attori
al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. e comunque Massimo
Ticconi al pagamento della somma dovuta per i lavori da loro
effettuati.
Il Tribunale di Frosinone respinse sia la domanda attrice

Proposero appello Massimo Ticconi e Donatella Ceccaroni.
La Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza del
Tribunale dichiarando che correttamente il primo giudice aveva
ritenuto non provata la responsabilità dei convenuti perché
l’impianto non era stato ultimato e non risultava essere stata
effettuata alcuna operazione di collaudo, né la consegna
dell’opera.
Propongono ricorso per cassazione Massimo Ticconi e
Donatella Ceccaroni con sei motivi più memoria.
Resistono con controricorso Alessandro Pietrangeli e
Vittorio Saccucci. Anch’essi presentano memoria.
Motivi della decisione

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano «Insufficiente
ed illogica motivazione circa un fatto controverso e decisivo
per il giudizio – (art. 360 comma I n. 5 cpc). Violazione
dell’art. 116 c.p.c. (art. 360 n. 3 cpc).»
Secondo i ricorrenti la Corte d’appello ha omesso di
esaminare sia la testimonianza di Silvio Ticconi; sia la

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che la domanda riconvenzionale.

testimonianza di Vittorio Pietrangeli, dipendente e fratello
del convenuto Alessandro Pietrangeli.
Quanto alla testimonianza del teste Proietti i ricorrenti
segnalano poi che lo stesso era un ausiliare degli appaltatori
e che all’udienza del 27 giugno 1994 egli aveva rilasciato

responsabilità loro contestata.
Il giudice d’appello, ad avviso dei ricorrenti: l) ha
fatto proprie in maniera assolutamente generica le
argomentazioni del primo giudice, senza esprimere le ragioni
della conferma di tale pronuncia in relazione ai motivi di
impugnazione proposti; 2) non ha fatto alcun riferimento alla
sentenza penale emessa dal Pretore a conclusione del processo
instaurato a carico dei convenuti per il reato di cui all’art.
590 c.p.c. con la quale è stato dichiarato estinto il reato
ascrittoi per effetto del decreto di amnistia di cui al DPR
865/86.
Il motivo è infondato.
I ricorrenti sviluppano infatti solo argomentazioni
attinenti al merito della vicenda, mentre il Tribunale, nella
sua motivazione, prendendo in esame le varie risultanze
processuali, ha correttamente indicato le ragioni per cui ha
ritenuto non provata la responsabilità di Alessandro
Pietrangeli e Vittorio Saccucci.

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dichiarazioni inverosimili per esonerare i convenuti dalla

In particolare la sentenza impugnata, sulla scorta della
ctu, ha accertato che l’impianto non era stato ultimato e che
non era stata eseguita alcuna operazione di collaudo e consegna
dello stesso prima dell’accensione, effettuata da Silvio
Ticconi al di fuori di ogni intervento e controllo degli

In tal senso il Tribunale ha ritenuto attendibile la
testimonianza del Proietti secondo il quale l’incontro fra
l’appaltatore e gli appellanti avvenne per trattare il
pagamento dei lavori da ultimare.
Per le ragioni esposte deve ritenersi che la decisione del
Tribunale si fonda su una valutazione discrezionale delle prove
e che la stessa, proprio in quanto correttamente motivata ed
immune da vizi logici o giuridici, è insindacabile in sede di
legittimità.
Per

contro,

le

argomentazioni

del

ricorrente

si

sostanziano nella critica, sotto un profilo di merito, del
contenuto decisorio della sentenza impugnata e non possono
quindi essere prese in considerazione in questa sede.
Per quanto riguarda poi il rapporto fra giudizio penale e
giudizio civile in caso di amnistia va rilevato che, in tema di
giudicato, la disposizione di cui all’art. 652 c.p.p., cosi
come quelle degli artt. 651, 653 e 654 dello stesso codice,
costituisce un’eccezione al principio dell’autonomia e della
separazione dei giudizi penale e civile e non è pertanto
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appaltatori.

applicabile, in via analogica, oltre i casi espressamente
previsti. Ne consegue che soltanto la sentenza penale
irrevocabile di assoluzione (per essere rimasto accertato che
il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che
il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o

seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio
civile o amministrativo per le restituzioni ed il risarcimento
del danno, mentre le sentenze di non doversi procedere perché
il reato è estinto per prescrizione o per amnistia non hanno
alcuna efficacia extrapenale, a nulla rilevando che il giudice
penale, per pronunciare la sentenza di proscioglimento, abbia
dovuto accertare i fatti e valutarli giuridicamente; ne
consegue altresì che, nel caso da ultimo indicato, il giudice
civile, pur tenendo conto degli elementi di prova acquisiti in
sede penale, deve interamente ed autonomamente rivalutare il
fatto in contestazione (Cass., Sez. Un., 26 gennaio 2011, n.
1768).
Con il secondo motivo si denuncia «Violazione e falsa
applicazione dell’art. 1173 – 1176 – 1177 cc 1655 2050 e 2051
cc (art. 360 n. 3 cpc).»
Sostengono i ricorrenti che la decisione della Corte
d’appello, la quale ha ritenuto non sussistere la
responsabilità contrattuale dei convenuti perché l’opera non

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nell’esercizio di una facoltà legittima), pronunciata in

era stata completata e consegnata come funzionante, è errata
per i seguenti motivi:
a) perché nel contratto di appalto, quale quello stipulato
fra le parti, l’appaltatore è tenuto a realizzare l’opera a
regola d’arte, osservando la diligenza qualificata ai sensi

b)

perché durante tutto il tempo dell’esecuzione

dell’opera, e fino alla consegna all’appaltante, il dovere di
custodia e di vigilanza sulla cosa da consegnare passa dal
committente all’appaltatore il quale è tenuto per contratto sia
ad impedire che la cosa sia distrutta o si deteriori, sia che
essa possa causare danni al committente. L’obbligo di custodire
l’impianto è infatti incluso in quello di riconsegna e la
diligenza

del

di

buon padre

famiglia

che

qualifica

l’adempimento della obbligazione di custodire la cosa del terzo
da parte del custode è del tutto uguale a quella richiesta
all’appaltatore a cui carico è posta,

ope legis,

l’obbligazione

di consegnare la cosa che sta realizzando, trattandosi di
obbligazione accessoria e funzionale al contratto.
Con il terzo motivo si denuncia «Nullità della sentenza o
del procedimento per violazione dell’art. 112 cpc in relazione
all’art. 360 n. 4 cpc omesso esame di un motivo di appello.
Violazione degli art.li 2050 – 2969 cc. Dm 7.6.1973 n
724800 (Approvazione e pubblicazione delle tabelle Uni Gig di

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dell’art. 1176, comma 2, c.c.;

cui alla legge 6.12.1971 n 1083) Art. l della legge 6.12.71 n.
1086 e dell’art. 1176 cc.»
Sostengo i ricorrenti che il giudice d’appello è incorso
in violazione dell’art. 112 c.p.c. in quanto non si è
pronunciato sulla responsabilità dei convenuti ai sensi

l’installazione di un impianto di riscaldamento a gas deve
considerarsi attività pericolosa.
Con il quarto motivo si denuncia «Nullità della sentenza o
del procedimento per violazione dell’art. 112 cpc in relazione
all’art. 360 n 4 cpc – Omessa pronuncia sui motivi di appello.
Violazione dell’art. 1655 – 2051 e 2043 cc in relazione
all’art. 360 n 3 cpc.»
Sostengono i ricorrenti che il giudice del gravame è
incorso in violazione dell’art. 112 c.p.c. per non essersi
pronunciato sulla questione dell’applicabilità dell’art. 2051
c.c., nonostante gli appellanti avessero censurato la sentenza
di primo grado per aver implicitamente ritenuto non sussistere
la responsabilità degli appaltatori ai sensi di tale
disposizione.
Nel caso di specie, ad avviso di Ticconi e Ceccaroni, gli
appaltatori Saccucci e Pietrangeli, titolari dell’effettivo
potere di signoria e di ingerenza sulla

res,

erano obbligati,

ai sensi della suddetta disposizione, a controllare lo stato
dell’impianto e ad impedire che quest’ultimo, completo
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dell’art. 2050 c.c., sollevata in appello, perché

dell’allaccio del gas e dell’accensione elettrica ma privo dei
tubi di scarico, potesse, per effetto di intrinseco dinamismo
proprio, ovvero per la insorgenza di prevedibili agenti causali
esterni, arrecare danno a terzi.
I tre motivi, che per la stretta connessione devono essere

In

particolare,

quanto

al

profilo

della

dedotta

responsabilità dell’appaltatore, si deve osservare che,
nell’ipotesi di appalto che non implichi, come nel caso di
specie, il totale trasferimento all’appaltatore del potere di
fatto sull’immobile nel quale deve essere eseguita l’opera
appaltata, non viene meno, per il committente, il dovere di
custodia e di vigilanza (Cass., 18 luglio 2011, n. 15734).
Nella fattispecie

de qua tale dovere gravava quindi sugli

attuali ricorrenti che avevano il potere di accedere
nell’appartamento dove si trovava l’impianto di riscaldamento.
Deve poi escludersi che sussista una responsabilità ai
sensi dell’art. 2050 c.c.
Infatti, se è vero che l’installazione di un impianto di
riscaldamento può considerarsi attività pericolosa, è anche
vero che la normativa richiamata dai ricorrenti si riferisce
.

solo alle specifiche tecniche da seguire per la realizzazione
dello stesso, mentre la responsabilità extracontrattuale è
correttamente ricollegata dalla Corte d’appello al fatto

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congiuntamente esaminati, sono infondati.

dell’accensione, alla quale gli appaltatori sono rimasti
estranei.
Emerge al riguardo dalla decisione della Corte d’appello
che l’intempestiva accensione dell’impianto fu dovuta
all’iniziativa di Silvio Ticconi, fratello del ricorrente, il

della canna fumaria e al di fuori di ogni intervento e
controllo degli appaltatori.
A questi ultimi non può pertanto essere imputata alcuna
responsabilità per essere rimasti estranei al fatto
dell’accensione.
Né si rileva alcuna violazione dell’art. 2051 c.c. in
quanto gli appaltatori non avevano alcuna possibilità concreta
di controllo sull’uso dell’impianto, essendo lo stesso
collocato all’interno dell’appartamento dei coniugi del quale
essi avevano l’esclusiva disponibilità.
Deve peraltro rilevarsi che i quesiti formulati da parte
ricorrente a conclusione dei motivi esaminati sono meramente
valutativi, mentre non sussiste omessa pronuncia in quanto la
violazione delle richiamate disposizioni deve ritenersi
implicitamente disattesa.
Con il quinto motivo si denuncia «Violazione e falsa
applicazione degli art. 40 e 41 c.p. e dell’art. 2043 cc (art.
360 n 3 cpc).»

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quale agì pur essendo a conoscenza della mancata messa in opera

Sostengono i ricorrenti che il convincimento della Corte
d’appello, secondo la quale non sussiste la responsabilità
extracontrattuale degli appaltatori perché gli stessi sono
rimasti estranei al fatto dell’accensione, è in contrasto con
gli artt. 2043 c.c. e 40 e 41 c.p.

stabilire se sussistesse il nesso di causalità materiale di cui
all’art. 2043 c.c. fra comportamento e danno, non ha
correttamente applicato, alla luce del pacifico orientamento
della Suprema Corte, il principio della

conditio sine qua non,

temperato da quello della regolarità causale di cui agli artt.
40 e 41 c.p.
Ad avviso di Ticconi e Ceccaroni la condotta omissiva
degli appaltatori è stata la causa dell’evento ai sensi
dell’art. 40 c.p. in quanto se questi ultimi avessero
disattivato l’impianto la successiva accensione da parte di
Silvio Ticconi non avrebbe causato alcun danno.
Il motivo è infondato.
È infatti giurisprudenza consolidata di questa Corte che,
in tema di illecito aquiliano, perché rilevi il nesso di
causalità tra un antecedente e l’evento lesivo, deve ricorrere
la duplice condizione che si tratti di un antecedente
necessario dell’evento e che l’antecedente medesimo non sia poi
neutralizzato, sul piano eziologico, dalla sopravvenienza di un
fatto di per sé idoneo a determinare l’evento stesso.
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In specie, secondo i ricorrenti, la Corte d’appello, per

Nella specie l’iniziativa di Silvio Ticconi ha interrotto
il nesso di causalità tra il comportamento degli appaltatori e
il danno subito dagli attuali ricorrenti, risultando da solo
idoneo a determinare il danno stesso.
Con il sesto motivo si denuncia «Omessa, insufficiente e

decisivo della controversia (art. 360 n 5 cpc).
Violazione dell’art 116 cpc (art 360 n 3 cpc).»
Sostengono i ricorrenti che i giudici di secondo grado non
hanno adeguatamente motivato né hanno fatto buon uso del loro
potere di valutazione della prova e di libero convincimento.
Nella specie la mera accensione dell’impianto da parte di
Silvio Ticconi non costituisce, a loro avviso, né un atto
eccezionale, né un atto imprevedibile e la stessa non sarebbe
stata da sola sufficiente a determinare l’evento se non vi
fosse stata la condotta omissiva degli appaltatori.
Per tale motivo i ricorrenti ritengono illogica la
motivazione laddove afferma che l’accensione dell’impianto
sarebbe avvenuta fuori dal controllo degli appaltatori.
Il motivo ripropone argomenti già sollevati nei precedenti
e pertanto non si può che rinviare alle risposte elaborate in
. relazione agli stessi, sottolineando comunque che le critiche
formulate da parte ricorrente nei confronti dell’impugnata
sentenza non vertono su questioni di diritto ma su accertamenti

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contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e

di fatto dei quali si richiede una nuova valutazione nel
merito, più favorevole agli stessi Ticconi e Ceccaroni.

Ne risente la formulazione dei quesiti che risultano
essenzialmente valutativi.
Per tutte le ragioni che precedono il ricorso deve essere

giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle
spese del giudizio di cassazione che liquida in e 5.200,00, di
cui C 5.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.
Roma, 17 settembre 2013

rigettato con condanna di parte ricorrente alle spese del

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