Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2391 del 03/02/2021

Cassazione civile sez. III, 03/02/2021, (ud. 06/10/2020, dep. 03/02/2021), n.2391

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29100/2019 proposto da:

E.P., domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato Elisabetta Costa;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t. rappresentato e

difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è

domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2485/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 17/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/10/2020 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. – Con ricorso affidato a due motivi, H.P., cittadino (OMISSIS), ha impugnato la sentenza della Corte di Appello di Venezia, resa pubblica il 17 giugno 2019, che ne rigettava il gravame avverso la decisione di primo grado del Tribunale della medesima Città, che, a sua volta, ne aveva respinto l’opposizione avverso il diniego della competente Commissione territoriale del riconoscimento, in via gradata, dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

2. – La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, osservava che: a) il racconto del richiedente (essere fuggito dal Paese di origine perchè entrato in urto con il padre, il quale, già di religione cristiana, aveva abbracciato quella islamica, voleva costringere il richiedente stesso – che intendeva rimanere cristiano – alla medesima religione, tanto da avere messo sulle sue tracce degli assassini i quali, nel (OMISSIS), uccidevano per errore un suo amico, dove egli era andato a vivere nel (OMISSIS), in seguito alle aggressioni subite dal padre) in quanto “nel suo complesso appare confuso e assolutamente non credibile”; b) il richiedente non aveva mai fatto cenno alla situazione generale del Paese di origine “quale fonte di effettivo pericolo per la sua incolumità in caso di rimpatrio” e, in ogni caso, in base a COI del novembre 2018, nella zona di (OMISSIS), dove l’ E. era nato e sempre vissuto, non sussisteva una situazione di violenza generalizzata o di conflitto armato o di anarchia senza controllo delle autorità; c) non sussistevano le condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria in assenza di qualsiasi allegazione idonea “a definire la presumibile durata di una esposizione a rischio”.

3. – Il Ministero dell’interno resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. – Con il primo mezzo è dedotta “carenza di motivazione relativamente alla valutazione di non credibilità del racconto del ricorrente”, avendo la Corte territoriale solo genericamente indicato una assenza di credibilità, limitandosi ad affermare che “le dichiarazioni dello straniero non sarebbero verosimili”.

1.1. – Il motivo – che, nella sostanza (Cass., S.U., n. 17931/2013), veicola una censura di motivazione apparente – è fondato.

La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 (convertito, con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012), deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., S.U., n. 8053/2014).

Si ha motivazione apparente allorquando il giudice di merito, pur indicando gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, omettendone qualsiasi approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. (Cass. n. 2067/1998, Cass. n. 9097/2017).

Ciò posto, in tema di protezione internazionale, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, impone al giudice l’obbligo, prima di pronunciare il proprio giudizio sulla sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione, di compiere le valutazioni ivi elencate e, in particolare, di stabilire se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, in forza di un prudente apprezzamento che, in quanto tale, non è sindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti del vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 6897/2020, cfr. anche Cass. n. 27503/2018 e Cass. n. 21142/2019).

Nella specie (cfr. sintesi al p. 2 del “Rilevato che”), la valutazione della Corte territoriale – a monte della delibazione sulle domande di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) – si è limitata a riportare il contenuto del racconto del richiedente, adducendone la complessiva inattendibilità, senza però dare contezza alcuna delle ragioni che hanno fondato il proprio convincimento in tal senso.

2. – Con il secondo mezzo è denunciata violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per aver la Corte territoriale omesso di dare qualsiasi rilievo “ai fatti narrati dal ricorrente” ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria” e ciò in rapporto alla situazione storico-sociale della Nigeria per ciò che attiene al fenomeno della violenza perpetrata dalle sette e della discriminazione in danno degli appartenenti alla chiesa cristiana cattolica.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

Nei procedimenti in materia di protezione internazionale, la valutazione di inattendibilità del racconto del richiedente, per la parte relativa alle vicende personali di quest’ultimo, non incide sulla verifica dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), in quanto la valutazione da svolgere per questa forma di protezione internazionale è incentrata sull’accertamento officioso della situazione generale esistente nell’area di provenienza del cittadino straniero (tra le altre, Cass. n. 16122/2020).

A tal riguardo, la Corte territoriale ha operato l’accertamento officioso sulla situazione generale della zona di provenienza del richiedente (Uromi, Edo State), in base a COI aggiornate e attendibili (EASO del novembre 2018), escludendo che potessero ravvisarsi le condizioni richieste dal citato art. 14, lett. c).

Un tale accertamento non è stato attinto da alcuna censura da parte del ricorrente, la cui doglianza si è palesata non pertinente rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata.

3. – Va, dunque, accolto il primo motivo di ricorso e dichiarato inammissibile il secondo.

La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, che dovrà applicare, nella delibazione del gravame, il principio enunciato al p. 1.1. del “Considerato che”, nonchè provvedere alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il primo motivo e dichiara inammissibile il secondo motivo di ricorso;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2021

 

 

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