Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2391 del 02/02/2010

Cassazione civile sez. I, 02/02/2010, (ud. 08/10/2009, dep. 02/02/2010), n.2391

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

S.P. – domiciliato ex lege in ROMA, presso la

Cancelleria civile della Corte Suprema di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’avv. Alfonso Luigi Marra, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del

Consiglio pro-teMpore – domiciliata ex lege in Roma, via dei

Portoghesi, 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale

è rappresentata e difesa;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Napoli depositato il

22.1.2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio

dell’8 ottobre 2009 dal Consigliere dott. Luigi Salvato e letta la

relazione dallo stesso redatta in data 9 marzo-1 luglio 2009.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

S.P. adiva la Corte d’appello di Napoli, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al Tar Campania con ricorso del 7.12.95, avente ad oggetto la corresponsione del compenso per lavoro straordinario svolto quale dipendente del Comune di Acerra, non ancora definito alla data del 13.6.2006.

La Corte d’appello, con decreto del 22.1.2007, fissata la durata ragionevole del giudizio in anni tre, ritenuto violato il relativo termine per anni 7 e mesi 3, liquidava per il danno non patrimoniale, facendo riferimento ai criteri del giudice europeo e di questa Corte, Euro 960,00 per ogni anno di ritardo (“in mancanza di più precise indicazioni da parte del ricorrente”, e tenuto conto della natura del diritto e del comportamento della parte, consistente nella mancata presentazione di istanza di prelievo), quindi complessivi Euro 7.200,00, con il favore delle spese del giudizio.

Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso S. P., affidato a nove motivi; ha resistito con controricorso la Presidenza del Consiglio dei ministri.

Ritenute sussistenti le condizioni per la decisione in camera di consiglio è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti costituite.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.- La relazione ex art. 380-bis c.p.c. ha il seguente contenuto:

“1.- Con i primi quattro motivi è denunciata erronea e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2, artt. 1 e 6 p. 1 CEDU), in relazione al rapporto tra norme nazionali e la CEDU, nonchè della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e di questa Corte ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, omessa decisione di domande (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; art. 112 c.p.c.) e, in sintesi, sono poste le seguenti questioni:

a) questione relativa alla efficacia della CEDU nell’ordinamento interno ed all’efficacia vincolante per il giudice nazionale della giurisprudenza della Corte EDU (sostanzialmente riproposta in tutti i motivi, richiamando sentenze della Corte europea e di questa Corte) ed è formulato il seguente quesito la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 6 par. 1 CEDU e in ipotesi di contrasto tra la legge Pinto e la CEDU, ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU? (primo motivo).

b) Questioni concernenti la quantificazione del danno. Secondo l’istante, una volta accertato il diritto all’equo indennizzo lo stesso va liquidato nella misura annua di Euro 1.000,00-1.500,00 (secondo motivo) e nella specie il decreto non ha motivato in ordine alla mancata osservanza di detto parametro (terzo motivo).

Inoltre, ratione materiae doveva essere liquidato un bonus di Euro 2.000,00, concernente la controversia diritti di un lavoratore ed è formulato il seguenti quesito: spetta un ulteriore somma rationae materiae (bonus di Euro 2.000,00), trattandosi di diritti dei lavoratori come stabilito dalla CEDU, o comunque l’equo indennizzo per tali materie va calcolato in misura maggiore? (quarto motivo) ed il giudice non si sarebbe pronunciato sulla relativa domanda e ciò costituirebbe violazione dell’art. 112 c.p.c. (quinto motivo) e comporterebbe un difetto di motivazione (sesto motivo); il decreto avrebbe ridotto la quantificazione della somma liquidata, in considerazione dello scarso valore della controversia, che rileva invece al solo fine della sua determinazione all’interno dei parametri stabiliti dalla Corte EDU (sono richiamate sul punto alcune sentenze di questa Corte) ed è formulato il seguente quesito il modesto valore della controversia può costituire elemento atto ad escludere il diritto all’equa riparazione ovvero è idoneo a ridurre l’equo indennizzo? (settimo motivo).

1-1.- I motivi ottavo e nono denunciano violazione e falsa applicazione di legge ed erronea compensazione delle spese processuali, sul presupposto della contumacia della parte resistente, nonchè vizio di motivazione in ordine alla disposta compensazione ed alla dichiarazione di irripetibilità delle spese (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), ed è formulato il seguente quesito di diritto: in ipotesi di contumacia della PA e di accoglimento della domanda deve seguire la condanna alle spese di lite? (ottavo motivo) e il decreto sarebbe carente nella motivazione in ordine alla disposta compensazione ed alla dichiarazione di irripetibilità delle spese del giudizio (nono motivo).

2.- I motivi indicati nel p. 1, da esaminare congiuntamente, perchè giuridicamente e logicamente connessi, sono manifestamente infondati.

a) Relativamente alla questione sub a) , ammissibile e rilevante per l’incidenza su quelle ulteriori, va ribadito il principio enunciato dalle S.U., in virtù del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretare detta legge in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea. Siffatto dovere opera entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001 (sentenza n. 1338 del 2004) e, come affermato dalla Corte costituzionale – contrariamente all’assunto dell’istante, che si palesa perciò manifestamente erroneo – al giudice nazionale spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme. Qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, egli deve investire questa Corte della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1 (sentenze n. 348 e n. 349 del 2007).

Resta dunque escluso che, in caso di contrasto, possa procedersi alla non applicazione della norma interna, in virtù di un principio concernente soltanto il caso del contrasto tra norma interna e norma comunitaria.

In questi termini è il principio che può essere enunciato in relazione al quesito formulato con il primo motivo, che rivela la manifesta infondatezza della censura, nei termini in cui è stata proposta.

b) Relativamente alla quantificazione del danno ed ai motivi dal 2 al 7, va ribadito che deve escludersi che le norme disciplinatrici della fattispecie permettano di riconoscere – come ha invece sostenuto l’istante – una ulteriore, più elevata somma, svincolata da qualsiasi parametro e dovuta in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia.

Infatti, come ha chiarito questa Corte, i giudici europei hanno affermato che il cd. bonus in questione va riconosciuto nel caso in cui la controversia riveste una certa importanza ed ha fatto un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e previdenziali. Tuttavia, ciò non implica alcun automatismo, ma significa soltanto che dette cause, in considerazione della loro natura, è probabile che siano di una certa importanza (Cass. n. 30570, n. 18012 del 2008). Siffatta valutazione rientra nella ponderazione del giudice del merito, che deve rispettare il parametro sopra indicato, con la facoltà di apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entità della posta in gioco, il numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento ed il comportamento della parte istante; per tutte, Cass. n. 1630 del 2006; n. 1631 del 2006;

n. 19029 del 2005), purchè motivate e non irragionevoli (tra le molte, Cass. n. 30064 e n. 6898 del 2008; n. 1630 e n. 1631 del 2006).

Il giudice del merito può, quindi, attribuire una somma maggiore, qualora riconosca la causa di particolare rilevanza per la parte, senza che ciò comporti uno specifico obbligo di motivazione, da ritenersi compreso nella liquidazione del danno, sicchè se il giudice non si pronuncia sul cd. bonus, ciò sta a significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo (Cass. n. 30570, n. 18012 del 2008).

In questi termini sono i principi che possono essere enunciati in relazione ai quesiti posti con i motivi in esame, con conseguente con conseguente manifesta infondatezza di detti mezzi.

Il decreto ha, infatti, applicato il parametro della Corte EDU e, liquidando Euro 960,00 per anno di ritardo, quale indennizzo per il danno non patrimoniale, si è discostato dal parametro minimo in misura non irragionevole, compiutamente motivando con riferimento:

all’entità della posta in gioco, al comportamento della parte (il mancato deposito dell’istanza di prelievo non incide sul termine di durata ragionevole, ma bene può essere assunto quale elemento espressivo dell’interesse della parte alla decisione della controversia). Rispetto a tale motivazione, congrua, coerente e sufficiente, le argomentazioni svolte dall’istante sono manifestamente astratte, scollegate dalla fattispecie concreta e non si danno carico di dedurre le ragioni specifiche che dovrebbero evidenziarne l’illogicità, risultando prive di ogni specifica indicazione in ordine all’entità della controversia ed alla deduzione di ulteriori elementi già nella fese di merito. Peraltro, con il settimo motivo, incongruamente prospetta la questione della legittimità della negazione dell’indennizzo nel caso di modesto valore della controversia, che è conclusione neppure affermata nel decreto, che ha riconosciuto il diritto in esame. La deduzione relativa all’inammissibilità della riduzione in considerazione del valore della controversia è infondata, poichè la posta in gioco, come affermato nelle sentenze sopra richiamate, costituisce elemento che può essere apprezzato al fine della quantificazione dell’indennizzo.

2.1.- I motivi indicati nel 1.1 possono essere esaminati congiuntamente, perchè logicamente connessi, sembrano manifestamente inammissibili.

Il decreto ha condannato la convenuta a pagare le spese del giudizio.

I due mezzi in esame non pongono alcuna questione in ordine alla misura della liquidazione delle spese, ma censurano la compensazione delle spese e la dichiarazione di irripetibilità, che non è stata affatto pronunciata.

Tanto è sufficiente a rendere palese l’incongruenza ed in conferenza dei motivi rispetti al decisum, con conseguente manifesta inammissibilità degli stessi.

Dal rigetto delle spese potrà conseguire la condanna alle spese di questa fase, emergendo altresì i presupposti per l’adozione del provvedimento di cui all’art. 385 c.p.c., u.c., tenuto conto della formulazione di motivi che sono addirittura formulati senza tenere conto del contenuto della decisione impugnata (in particolare, l’8 ed il 9).

Pertanto, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, ricorrendone i presupposti di legge”.

2.- Il Collegio reputa di dovere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione, fatta eccezione per la precisazione svolta di seguito, condividendo le argomentazioni che le fondano, neppure confutate, che comportano il rigetto del ricorso.

Non sussistono, invece, i presupposti per l’adozione del provvedimento di cui all’art. 385 c.p.c., u.c., tenuto conto delle oscillazioni giurisprudenziali avutesi in passato – e non composte alla data di proposizione del ricorso – in ordine alla quantificazione dell’equa riparazione per il danno non patrimoniale.

Le spese della presente fase seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese della presente fase, che liquida in complessivi Euro 900,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2010

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