Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23905 del 03/09/2021

Cassazione civile sez. III, 03/09/2021, (ud. 17/03/2021, dep. 03/09/2021), n.23905

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele G. A. – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30537-2019 proposto da:

E.O.M., domiciliato ex lege in Roma, presso la

cancelleria della Corte di Cassazione rappresentato e difeso

dall’avvocato CHIARA BELLINI;

– ricorrenti –

nonché contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE;

– intimati –

nonché contro

MINISTERO DELL’INTERNO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 3182/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 15/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/03/2021 dal Consigliere Dott. PELLECCHIA ANTONELLA.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. E.O.M., cittadino della Nigeria, chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

2. Il richiedente dedusse a fondamento delle sue ragioni di esser fuggito dal paese d’origine per le forti tensioni con la matrigna, la quale lo aveva sempre osteggiato fino al tentativo di ucciderlo con del cibo avvelenato. Per errore tale pasto fu ingerito dalla sorellastra che morì e della sua morte venne accusato il richiedente, il quale venne cosparso di benzina da alcuni giovani commissionati dalla matrigna. Prima dell’arrivo della Polizia riuscì a fuggire e giunse in Italia.

La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento E.O.M. propose ricorso dinanzi il Tribunale di Venezia, che con ordinanza del 16 maggio 2018 rigettò il reclamo.

3. La Corte di Appello di Venezia, con sentenza n. 3182/2019, pubblicata il 15 aprile 2019, ha rigettato l’appello proposta avverso la pronuncia di prime cure.

La Corte ha ritenuto:

a) non attendibile la vicenda narrata dal richiedente;

b) assente un rischio di esposizione a trattamenti inumani o degradanti in caso di rientro in patria, stante la situazione presente nella regione di provenienza del richiedente;

c) infondata la domanda per il riconoscimento della protezione umanitaria, poiché l’istante non aveva né allegato, né provato, alcuna circostanza di fatto, diversa da quelle poste a fondamento delle domande di protezione “maggiore” (e ritenute inveritiere), di per se dimostrativa d’una situazione di vulnerabilità. 4.

Avverso tale pronuncia E.O.M. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

5.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la “violazione delle norme che disciplinano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria: D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, art. c, D.P.R. n. 394 del 1999, art. 1, lett. c-ter)”. I giudici di merito non avrebbero valutato la domanda di protezione internazionale nel suo complesso, comprendendo anche il riconoscimento dello status di rifugiato e la domanda di protezione sussidiaria. Inoltre, rispetto alla domanda di protezione umanitaria, la Corte d’appello avrebbe omesso di valutare il percorso integrativo intrapreso dal richiedente in Italia.

5.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la “violazione, anche quale vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. a) e e), in punto di onus probandi, cooperazione istruttoria in capo al giudice e criteri normativi di valutazione degli elementi di prova e delle dichiarazioni rese dai dichiaranti nei procedimenti di protezione internazionale”. La Corte d’appello non avrebbe adeguatamente valutato la condizione soggettiva del richiedente calata all’interno del contesto socioculturale di appartenenza, utilizzando peraltro fonti non ufficiali per descrivere la situazione presente in Nigeria.

5.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la “violazione del principio del non refoulement di cui agli art. 3 CEDU e 33 Convenzione di Ginevra”, in quanto i giudici di merito non avrebbero tenuto conto di tale principio per cui lo straniero ha diritto alla protezione a prescindere dal fatto che abbia diritto al riconoscimento della protezione internazionale. Inoltre, vi sarebbero comunque i presupposti per riconoscere la protezione sussidiaria, stante il rischio di subire trattamenti inumani o degradati nel caso di rientro in patria.

6. Il ricorso è inammissibile in quanto non rispetta il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, che, essendo considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere in una esposizione che deve garantire alla Corte di cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. sez. un. 11653 del 2006).

La prescrizione del requisito risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. sez. un. 2602 del 2003). Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata.

7. Pertanto la Corte dichiara inammissibile il ricorso. L’indefensio degli intimati non richiede la condanna alle spese.

7.1. Infine, poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2021

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