Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23891 del 29/10/2020

Cassazione civile sez. I, 29/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 29/10/2020), n.23891

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SANGIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12520/2019 proposto da:

T.M., elettivamente domiciliato in Verona, via Basso Acquar

n. 127, presso lo studio dell’avv. Enrico Varali, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata il

14/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/06/2020 dal Cons. Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- T.M., proveniente dalla terra del (OMISSIS), ha presentato ricorso avanti al Tribunale di Venezia avverso il provvedimento della Commissione territoriale di Verona, di diniego del riconoscimento della protezione internazionale (status di rifugiato; protezione sussidiaria) e della protezione umanitaria.

2.- Con decreto emesso in data 14 marzo 2019, il Tribunale ha rigettato il ricorso.

3.- Con riferimento alla richiesta di riconoscimento del diritto di rifugio, il giudice del merito ha ritenuto il racconto svolto dal richiedente, a illustrazione delle ragioni che lo hanno condotto ad abbandonare la terra d’origine, non credibile e inverosimile.

“Nè in sede di audizione amministrativa, nè in sede di audizione giudiziale” – ha assunto al riguardo il Tribunale – il richiedente “ha fatto alcun riferimento a un percorso di presa di consapevolezza sofferta, specie in un contesto come quello del paese di provenienza in cui essere omosessuale è contrario alla legge, limitandosi a riferire di aver scoperto di essere omosessuale all’età di 16-17 anni”. Occorre inoltre considerare – così si è aggiunto – che il richiedente “ha dichiarato che, da quando è arrivato in Italia, non ha avuto alcun tipo di rapporto omosessuale”: pure tale circostanza depone nel senso della “non credibilità”, “essendo contrario a logica che questi non abbia deciso o sentito il bisogno di vivere pienamente la propria omosessualità”.

4.- Con riguardo poi al tema della protezione sussidiaria, il Tribunale ha rilevato che, secondo quanto riferito dal report Amnesty International 2017/18, il Gambia non presenta, nell’attuale, indici specifici di pericolosità. “Si sta assistendo” – si è rilevato – “a un processo di lenta normalizzazione”.

5.- Quanto al tema della protezione umanitaria, il Tribunale ne ha escluso il riconoscimento “in quanto la “non credibilità” e la genericità del racconto del richiedente costituiscono motivi sufficienti” per tale proposito.

6.- Avverso questo provvedimento T.M. ha presentato ricorso, sviluppando tre motivi di cassazione.

Il Ministero non ha volto difese nel presente grado del giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6.- I motivi formulati dal ricorrente denunziano l’erroneità del decreto impugnato secondo i termini che qui di seguito vengono riferiti.

7.- Il primo motivo assume “violazione ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 – violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per avere il Collegio violato i canoni legali di interpretazione degli elementi istruttori”.

Ad avviso del ricorrente, il Tribunale di Venezia ha “omesso di fatto ogni istruttoria…, affidandosi a idee stereotipate dell’omosessualità e pregiudizi”: quali “il dover dimostrare “un percorso di consapevolezza sofferta” o il dovere di intrattenere “rapporti omosessuali” in Italia al fine di risultare credibile”. Si tratta di affermazioni “apodittiche” e “arbitrarie”, così si sostiene, che minano alla base la decisione del Tribunale, inficiandola dalle fondamenta.

8.- Il secondo motivo assume la violazione degli artt, 115 c.p.c., 2,comma 1 e 14 D.Lgs. n. 251 del 2007, 8 D.Lgs. n. 25 del 2008, “per avere il Tribunale falsamente applicato l’art. 14, lett. b), in violazione dei criteri legali di valutazione degli elementi di prova con riferimento ai riscontri esterni di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, omettendo di prendere in considerazione le fonti disponibili e prodotte e limitandosi a un giudizio parziale e comunque personale e apodittico sulla credibilità del racconto”.

9.- Il terzo motivo lamenta la violazione ex art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, “per non avere il Tribunale esaminato L, richiesta di riconoscimento della protezione umanitaria in relazione alla condizione di vulnerabilità e alla condizione di vita del ricorrente introdotte in giudizio e per avere adottato sul punto una motivazione apparente/inesistente”.

10.- Il primo motivo di ricorso è fondato.

11.- Secondo il costante orientamento di questa Corte, la valutazione relativa alla credibilità e verosimiglianza delle dichiarazioni rese dal richiedente rientra nel novero degli apprezzamenti di fatto, che in quanto tali rimangono affidati al giudice del merito (cfr., per tutte, Cass., 15 febbraio 2019, n. 3340).

Ciò, di conseguenza, indirizza – e limita – il sindacato, che al riguardo risulta esercitabile da questa Corte, al tema dell’omesso esame di fatto decisivo per l’esito della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), nonchè a quelli rappresentati dalla “mancanza della motivazione”, dalla “motivazione contraddittoria in modo intrinseco e assoluto”, dalla “motivazione apparente, perplessa od obiettivamente non comprensibile” (art. 360 c.p.c., n. 4; cfr., tra le più recenti, Cass., 14 agosto 2020, n. 17158; Cass., 10 luglio 2020, n. 14819; Cass., 22 giugno 2020, n. 12049; sul punto specifico della motivazione apparente, come pure patentemente illogica, v. ampiamente, con riguardo alla materia de qual Cass. 3 luglio 2020, n. 13763).

Posto l’innegabile margine di discrezionalità che strutturalmente caratterizza la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente (sia in sè, sia pure, e in addizione, in ragione delle difficoltà probatorie che pone la materia della protezione internazionale), la giurisprudenza di questa Corte si è, d’altra parte, più volte preoccupata di sottolineare in modo espresso come al riguardo si debbano in ogni caso escludere i giudizi che riflettono delle mere opinioni del giudice, come pure quelli che risultano frutto proprio di soggettivistiche sue impressioni e/o suggestioni (cfr., di recente, Cass., 9 luglio 2020, n. 14671; Cass., 10 giugno 2010, n. 11170, entrambe con diretto riferimento a fattispecie implicanti l’orientamento sessuale del richiedente).

La materia richiede, in altri termini, un controllo particolarmente attento in punto di coerenza, plausibilità e attendibilità della motivazione che in concreto risulta effettuata (così come non manca di segnalare, del resto, la disposizione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5).

12.- Ciò posto, appare opportuno ricordare, altresì, come l’orientamento sessuale del richiedente – assunto nel suo essere tale ovvero pure come partecipazione a un gruppo, o nucleo, sociale che sia connotato in modo determinante da un peculiare orientamento sessuale – ben possa risultare fattore rilevante, e, nel caso, anzi determinante, in relazione al riconoscimento della protezione internazionale (cfr., tra le pronunce più vicine, Cass., 5 luglio 2020, n. 15048, da cui è tratta pure la frase che appena sotto è stato virgolettata; Cass., 4 febbraio 2020, n. 2458).

La giurisprudenza di questa Corte “ha spiegato infatti che l’orientamento sessuale del richiedente (nella specie, l’omosessualità) costituisce fattore di individuazione del “particolare gruppo sociale”, la cui appartenenza, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 1, lett. d), costituisce ragione di persecuzione idonea a fondare il riconoscimento dello status di rifugiato”.

13.- L’assunto, per cui l’appartenenza a un orientamento omosessuale debba rispondere – in via necessaria (o pressochè necessaria) – a uno schema di “consapevolezza sofferta” del soggetto, che è stato formulato dal Tribunale lagunare (cfr. sopra, nell’ambito del n. 3), si mostra affermazione in sè stessa autoreferenziale: priva, prima di tutto sul piano dell'”essere”, di una base di razionalità.

Non si vede, per vero, perchè un orientamento omosessuale dovrebbe per forza connotarsi di “sofferenza”. Nè perchè non potrebbe capitare l’eventualità di vivere in serenità – e, nel caso, pure in letizia – il proprio orientamento omosessuale.

Nei fatti, l’affermazione espressa nel decreto non riesce ad occultare la sussistenza di un giudizio morale, che risponde a una mera opinione personale del giudicante del merito.

Più ancora si fonda su regole non già oggettive, bensì espressive di una moralità meramente soggettiva l’ulteriore assunto per cui la presenza di leggi omofobe in Gambia dovrebbe spingere il soggetto verso un comportamento di (maggiore) “consapevolezza sofferta”: quasi fosse inibita la possibilità di un giudizio critico nei confronti di una legislazione che – conculcando fortemente il principio della libertà di orientamento sessuale – in Italia non potrebbe che essere costituzionalmente illegittima (sul tema della rilevanza della legislazione omofoba, in oggi presente in Gambia, per la materia della protezione internazionale, v. Cass., 4 settembre 2020, n. 18505; Cass., 30 luglio 2020, n. 16401).

14.- Ugualmente espressiva di una mera opinione (ovvero suggestione) di ordine soggettivo si manifesta pure l’altra allegazione del Tribunale lagunare, per cui la “logica” esigerebbe che, per “vivere pienamente la propria omosessualità”, occorrerebbe la corrente presenza, se non la frequenza, di “rapporti” di tale genere (cfr. sopra, nel n. 3).

La ricerca continua di rapporti sessuali, invero, non risulta essere tratto connotante di uno, piuttosto che di un altro orientamento sessuale. Nè si scorge la ragione per cui agli orientamenti omosessuali dovrebbe essere sottratta la ricerca di situazioni affettive (volendo, anche in termini stabili); o perchè, comunque, quest’ultima dovrebbe rimanere per costoro marginale, quando non occasionale.

L’affermazione della sussistenza di un legame “fisiologico” tra ricerca inesausta di rapporti e orientamento omosessuale si manifesta, a ben vedere, frutto di un pregiudizio affatto ingiustificato (prima di tutto, sul piano del fatto; cfr. pure gli spunti rinvenibili nella pronuncia di Cass., 18 settembre 2020, n. 19503).

Si manifesta, meglio, come prodotto di una lettura di mortificazione punitiva – sul piano della “moralità sociale” – degli orientamenti omosessuali. Lettura che si pone agli antipodi dei principi espressi, sul piano normativo, dalle disposizioni di cui all’art. 3 Cost.: in specie di quella del comma 2, in relazione al “pieno sviluppo” di ciascuna persona, come anche di quella del comma 1, sul divieto assoluto di discriminazione per orientamento sessuale. E poi anche, a ben guardare, della L. 20 maggio 2016, n. 76, in materia di regolamentazione delle unioni civili.

15.- L’accoglimento del primo motivo di ricorso viene a comportare assorbimento del secondo motivo e del terzo motivo.

16.- Il ricorso va dunque accolto e di conseguenza cassato il decreto impugnato. Per l’effetto, la controversia va rinviata al Tribunale di Venezia che, in diversa composizione, provvederà anche alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo e il terzo motivo. Cassa il decreto impugnato e rinvia la controversia al Tribunale di Venezia che, in diversa composizione, provvederà pure alle determinazioni inerenti alle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2020

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