Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23886 del 03/09/2021

Cassazione civile sez. II, 03/09/2021, (ud. 21/04/2021, dep. 03/09/2021), n.23886

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26598-2016 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL SANTUARIO

REGINA APOSTOLI 25, presso lo studio dell’avvocato PAOLA MARINO, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Z.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CASSIODORO

1/A, presso lo studio dell’avvocato GIANFRANCO FALCONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato BRUNELLA CANDREVA;

-controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1323/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 21/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/04/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’avvocato M.A. otteneva decreto ingiuntivo nei confronti di Z.G. per la somma di Lire 10.957.658 e di Lire 7.489.590 a titolo di competenze professionali e spese in relazione a due giudizi promossi dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Calabria come da parcella corredata da parere espresso dal consiglio dell’ordine degli avvocati di Catanzaro.

2. Z.G. proponeva opposizione, sostenendo che nulla era dovuto al professionista stante l’avvenuto pagamento e il sopravvenire di fatti estintivi del mandato per inattività dell’avvocato e di ripercussioni pregiudizievoli per l’opponente e, in via subordinata, chiedeva di ridurre l’importo da riconoscere al professionista.

3. Il Tribunale di Catanzaro accoglieva l’opposizione, revocava i decreti ingiuntivi opposti e compensava le spese del giudizio.

4. L’avvocato M.A. proponeva appello avverso la suddetta sentenza.

5. Z.G. proponeva appello incidentale.

6. La Corte d’Appello accoglieva l’appello principale, rigettava l’appello incidentale, riformava la sentenza impugnata e condannava Z.G. al pagamento in favore di M.A. della somma di Euro 3680,80, oltre interessi legali dal 27 gennaio 1997 fino al soddisfo.

In particolare, il giudice del gravame precisava che i crediti azionati riguardavano unicamente le competenze professionali relative a due distinti ricorsi proposti dinanzi al giudice amministrativo, dovendosi escludere invece le competenze dovute in relazione ad altri procedimenti di natura penale curati dal medesimo legale. Secondo la Corte d’Appello non vi era prova del pagamento dell’incarico professionale da parte dello Z.. L’unica prova in atti era relativa ad un acconto di Lire 1.000.000 del 31 dicembre 1992 e di Lire 500.000 del 31 luglio 1992. Gli altri pagamenti dovevano imputarsi all’attività svolta in relazione a diversi procedimenti di natura penale. Quanto alla mancanza di diligenza nell’espletamento del mandato professionale i testi avevano evidenziato che la strategia processuale era stata concordata tra Avvocato e cliente. In conclusione, tenuto conto delle tariffe professionali vigenti al momento dell’espletamento del mandato D.M. n. 585 del 1994 e dello scaglione applicabile (valore indeterminabile), dell’impegno profuso dal professionista nell’espletamento del mandato, quale risultante dalla documentazione agli atti, riconosceva la somma complessiva di Lire 7.127.030 (per il giudizio instaurato con il ricorso numero 1638 del 1992 la somma di Lire 3 milioni a titolo di onorario nonché la somma di Lire 1.280.000 a titolo di diritti, oltre al Lire 428.030 per spese e per il giudizio instaurato con ricorso numero 589 del 1992 Lire 2.500.000 a titolo di onorario, Lire 1.008.000 a titolo di diritti e Lire 412.030 per spese). Su tali somme riconosceva gli interessi al tasso legale dalla data di ricezione della raccomandata del 27 gennaio 1997 con la quale l’Avvocato M. aveva chiesto il pagamento delle competenze professionali e che valeva come atto di messa in mora fino al soddisfo. Veniva rigettata, invece, la domanda di risarcimento del danno che l’appellante assumeva aver subito a seguito dell’inadempimento della controparte, non sussistendo la prova di un ulteriore danno non coperto dagli interessi legali. La Corte d’Appello rigettava, infine, l’appello incidentale posto che non vi era alcuna prova dell’inadempimento dell’avvocato M. rispetto all’incarico professionale a lui affidato.

4. M.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi.

5. Z.G. ha resistito con controricorso e ha proposto a sua volta ricorso incidentale fondato su un solo motivo e, con memoria depositata in prossimità dell’udienza, ha insistito nelle richieste formulate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione della L. n. 794 del 1942, falsa applicazione della tariffa forense e del D.M. n. 585 del 1994, in vigore dal 1 aprile 1995, ed illegittima e omessa applicazione di quella approvata con d.m. Ministro Grazia e Giustizia n. 392 del 1990 – 5 gennaio 1991, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, omessa motivazione circa l’omessa applicazione della tariffa forense approvata con d. m. n. 392 del 1990, motivazione contraddittoria in violazione dell’art. 2233 c.c., o semplicemente apparente, circa la riduzione degli onorari di avvocato come vistati dal Consiglio degli avvocati e procuratori di Catanzaro in base al quale furono emessi gli opposti decreti ingiuntivi.

La censura attiene all’applicazione del D.M. n. 585 del 1994 anziché di quella del D.M. della Giustizia n. 392 del 1990 che non prevedeva la distinzione per studio della controversia e consultazioni con il cliente.

Il ricorrente lamenta anche che la motivazione non sia congrua e che non siano stati acquisiti i pareri del Consiglio dell’Ordine.

1.2 Il primo motivo è inammissibile.

Nel ricorso per cassazione, i motivi di impugnazione che prospettino una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme asseritamente violate sono inammissibili in quanto, da un lato, costituiscono una negazione della regola della chiarezza e, dall’altro, richiedono un intervento della Corte volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure (Sez. 5, Sent. n. 18021 del 2016).

Nella specie, il ricorrente nell’ambito di una censura confusa e non pienamente comprensibile sembra lamentare la liquidazione degli onorari sulla base della tariffa di cui al D.M. n. 585 del 1994, anziché di quella di cui al D.M. n. 392 del 1990 che prevedeva onorari distinti per studio della controversia e consultazioni con il cliente. In proposito deve ribadirsi che: “I crediti dei professionisti forensi per le prestazioni eseguite a favore dei propri clienti sono crediti di valuta, soggetti, quindi al principio nominalistico e vanno liquidati, per quanto concerne i diritti di procuratore, in base alle tariffe vigenti all’epoca delle singole prestazioni e, quanto agli onorari di avvocato, in base alle tariffe vigenti nel momento conclusivo della opera professionale” (Sez. 3, Sent. n. 738 del 2002).

In realtà l’attività professionale come evidenzia lo stesso ricorrente era terminata relativamente al ricorso n. 1638/92 r.g. fino al 1997 e al ricorso n. 589/92 fino al maggio del 1994 quando per strategia difensiva concordata con il cliente non fu presentata l’istanza di fissazione dell’udienza per la discussione. Peraltro, il ricorrente non offre alcun dettaglio in ordine alle controversie per evidenziare che le stesse non avevano ad oggetto un’unitaria attività difensiva.

Inoltre, deve richiamarsi il seguente principio di diritto cui il collegio intende dare continuità: “In tema di spese processuali, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che si limiti alla generica denuncia della mancata distinzione, nella sentenza impugnata, tra diritti ed onorari secondo la disciplina delle tariffe professionali applicabili ratione temporis alla fattispecie, atteso che, in assenza di deduzioni sui concreti pregiudizi subiti dalla mancata applicazione di tale distinzione, la censura non dimostra l’esistenza di un interesse ad ottenere una riforma della decisione” (Sez. 3, Sent. n. 15363 del 2016).

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 1224 c.c. e del D.M. Grazia e Giustizia n. 392 del 1990 laddove dettava il termine di pagamento delle parcelle con disposizione comune alla tariffa forense civile, penale e stragiudiziale, nonché immotivata omessa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2, in relazione al combinato disposto dell’art. 2697 e 2727 c.c.

In sostanza la censura attiene al mancato riconoscimento del maggior danno che in base all’art. 1224 c.c., comma 2, sarebbe da ritenersi presunto come svalutazione, trattandosi di un debito di valuta, come previsto dalla tabella forense del 1990 e in ogni caso come previsto dalla giurisprudenza di legittimità.

2.1 Il secondo motivo di ricorso è infondato.

Come si è detto in relazione al primo motivo di ricorso la Corte d’Appello di Catanzaro non ha fatto applicazione del D.M. n. 392 del 1990 e sulla presunzione di danno deve richiamarsi il seguente principio di diritto cui il Collegio intende dare continuità: “Nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, può ritenersi esistente in via presuntiva laddove, durante la mora, il tasso di inflazione sia superiore al saggio degli interessi legali (Sez. 2, Sent. n. 22429 del 2013”. Tale questione non risulta trattata nella sentenza impugnata e, sotto tale profilo la censura è inammissibile per il suo carattere di novità (ex plurimis Sez. 2, Sent. n. 20694 del 2018, Sez. 6-1, Ord n. 15430 del 2018).

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 91 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4, art. 359 c.p.c., L. n. 794 del 1942 e tariffe forensi D.M. n. 585 del 1994 in relazione all’art. 111 Cost., comma 6, nonché di quelle approvate con D.M. n. 127 del 2004, falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c.

La censura attiene alla liquidazione delle spese del giudizio con compensazione parziale senza tener conto del rigetto dell’appello incidentale e con una liquidazione non motivata.

3.1 Il terzo motivo di ricorso è infondato.

La Corte d’Appello ha analiticamente indicato le concrete modalità di determinazione dell’importo liquidato al ricorrente compreso tra i valori dello scaglione di riferimento – specificando il criterio in concreto adottato in funzione dell’effettivo valore della controversia, della natura e complessità della causa, del numero e dell’importanza e complessità delle questioni trattate, dell’impegno profuso dal professionista nell’espletamento del mandato. Sulla base di tali criteri il giudice del merito ha ritenuto equo riconoscere la somma complessiva di Lire 7.127.030 oltre accessori di legge (per il giudizio instaurato con il ricorso numero 1638 del 1992 la somma di Lire 3 milioni a titolo di onorario, nonché la somma di Lire 1.280.000 a titolo di diritti, oltre al Lire 428.030 per spese e per il giudizio instaurato con ricorso numero 589 del 1992 Lire 2.500.000 a titolo di onorario, Lire 1.008.000 a titolo di diritti e Lire 412.030 per spese). La motivazione, pertanto, è analitica e il ricorrente nel lamentare la diminuzione dell’importo liquidato per le spese non allega di averle documentate, avendo invece l’onere di specificare l’errore commesso dal giudice in relazione alle singole spese asseritamente non riconosciute.

Quanto alla violazione dell’art. 92 c.p.c. deve darsi continuità al seguente principio di diritto: “la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente” (Sez. 2, Sent. n. 2149 del 2014).

4. L’unico motivo del ricorso incidentale è così rubricato: violazione dell’art. 116 c.p.c. e omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.

In particolare, il ricorrente incidentale lamenta l’omessa valutazione della documentazione versata in atti dalla quale emergerebbe l’avvenuto pagamento dei compensi professionali dovuti all’avvocato M.. Vi sarebbe stato poi un omesso esame della incapacità di deporre dei testi e della documentazione allegata giudizio di primo grado e, inoltre, del riconoscimento degli interessi dal 27 giugno 1997 e non dal momento del deposito della sentenza.

4.1 L’unico motivo del ricorso è inammissibile.

La censura relativa alla prova del pagamento e di violazione dell’art. 116 c.p.c. è inammissibile perché richiede una rivalutazione in fatto degli elementi istruttori senza allegare alcun omesso esame di un fatto decisivo, posto che la Corte d’Appello ha motivato sulle ragioni della mancata prova del pagamento, così come sulla circostanza che la perenzione del giudizio amministrativo era dovuta ad una strategia difensiva concordata tra le parti. Peraltro, la circostanza riportata nella missiva del 27 gennaio 1997 che il ricorrente lamenta non essere stata valutata dalla Corte d’Appello risulta irrilevante ai fini della decisione della controversia e manca del carattere della decisività.

Sulla decorrenza degli interessi la doglianza è formulata in modo del tutto generico sotto il profilo dell’omessa valutazione e, inoltre, ha il carattere della novità in quanto non risulta sollevata nel corso del giudizio di appello nonostante l’espressa richiesta formulata dal M. nelle conclusioni di quel giudizio.

5. In conclusione, la Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale e compensa le spese tra le parti vista la reciproca soccombenza.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale e compensa le spese tra le parti;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione seconda civile, il 21 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2021

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