Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23885 del 23/11/2016

Cassazione civile sez. VI, 23/11/2016, (ud. 26/09/2016, dep. 23/11/2016), n.23885

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15562-2014 proposto da:

O.O., ammesso al patrocinio a spese dello Stato

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SILLA 2/A, presso lo studio

dell’avvocato BARBARA SPINELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato

MIRAGLIA RAFFAELE, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO C.F. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 2162/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

emessa il 19/07/2013 e depositata il 05/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/09/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ACIERNO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che è stata depositata la seguente relazione in ordine al procedimento civile iscritto al R.G. n. 15562 del 2014.

“Il ricorrente, a fronte del diniego del riconoscimento della protezione internazionale da parte della Commissione Territoriale di Torino, proponeva ricorso davanti al Tribunale di Bologna, vedendosi riconosciuta la protezione sussidiaria. Contro l’ordinanza del Tribunale di Bologna, proponeva appello il Ministero dell’Interno davanti alla Corte d’Appello di Bologna. In accoglimento dell’appello, ed in totale riforma dell’ordinanza di primo grado, la Corte rigettava la domanda di protezione sussidiaria del ricorrente sulla base delle seguenti argomentazioni:

– non ricorrevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, posto che difettava qualsiasi relazione tra la situazione di violenza nel paese d’origine dello straniero ed il danno alla vita ed alla sicurezza prospettato dallo stesso, dipendente unicamente da fatti personali e familiari (aggressioni e minacce per motivi ereditari), estranei in quanto tali a situazioni di violenza indiscriminata in contesti di conflitto armato interno o internazionale legittimanti la misura di protezione;

– risultava infondato il timore di essere esposto al pericolo connesso alla guerra tra musulmani e cristiani per la differente localizzazione dei conflitti (Nord della Nigeria) rispetto al luogo di provenienza dello straniero (Sud della Nigeria);

non rilevava nel caso di specie il principio affermato dalla Corte di Giustizia UE (caso Elgafaji) circa l’attenuazione dell’onere della prova in capo al richiedente la protezione sussidiaria, che ha ad oggetto il profilo probatorio e non già il diverso profilo dell’allegazione dei fatti da parte del richiedente tutela. Ove quest’ultima non comprenda un, sia pur minimo, profilo di inerenza alla situazione di violenza indiscriminata nel Paese di origine, non può esservi spazio per il riconoscimento della protezione in parola. In caso contrario riconoscendosi una tutela sussidiaria fondata sulla rilevanza della mera nazionalità del cittadino straniero.

Contro la sentenza d’appello proponeva ricorso in cassazione O.O., censurando il provvedimento sotto i seguenti profili:

– Motivazione lacunosa ed incoerente ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per essere il Collegio venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria officiosa nell’accertamento della situazione socio politico ambientale del Paese di origine, così da poter verificare l’eventuale esistenza di violenze legate alle questioni ereditarie e la protezione in concreto fornita dallo Stato in questi casi, nonchè il grado di sicurezza degli appartenenti, quale è il ricorrente, alla categoria dei cristiani pentecostali. La mancanza di siffatto accertamento insieme con l’assenza di un esame critico da parte della Corte della documentazione e delle deduzioni di parte ha reso la decisione priva di qualsiasi giustificazione probatoria ed illogica rispetto alle risultanze istruttorie. La sentenza impugnata ha offerto, dunque, una motivazione fittizia poichè costruita sulle stesse argomentazioni poste dalla Commissione Territoriale alla base dell’iniziale provvedimento di diniego della protezione internazionale, senza argomentare in maniera adeguata il ribaltamento della decisione di primo grado, e dunque la fallacia dell’accertamento ivi svolto.

– Violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, e 14 e al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per non avere i Giudici d’Appello svolto quell’approfondimento, rientrante tra i poteri – doveri della Corte, necessario a verificare nel caso di specie l’effettiva sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione sussidiaria e per essersi discostati dall’interpretazione della Suprema Corte secondo la quale nella proiezione sussidiaria, la situazione di violenza indiscriminata o di conflitto armalo nel paese di ritorno può giustificare la mancanza di un diretto coinvolgimento individuale nella situazione di pericolo”.

I motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente in quanto logicamente connessi. Ai sensi della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non rientra più tra i motivi di ricorso l’insufficienza e/o contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, essendo al contrario richiesto l’omesso esame circa un fallo decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti. Le Sezioni Unite hanno chiarito come il ricorrente che censuri un provvedimento ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sia tenuto ad indicare il “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” ed il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie (S.U. sentenza n. 8053/2014). La censura denuncia esclusivamente carenze argomentative ed in ordine al dovere di cooperazione officiosa ma non indica quale carenza d’indagine sia imputabile alla corte territoriale che, al contrario, ha fondato la propria decisione sulla valutazione critica delle fonti”.

Il Collegio aderisce senza rilievi alla relazione depositata e, per l’effetto dichiara inammissibile il ricorso. La mancata costituzione dell’intimato esclude di regolare le spese processuali.

PQM

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 26 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2016

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