Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2388 del 29/01/2019

Cassazione civile sez. trib., 29/01/2019, (ud. 29/05/2018, dep. 29/01/2019), n.2388

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 7419/2013 R.G. proposto da:

MF COMPONENTI s.r.l. in liquidazione, in persona del legale

rappresentante sig. P.G.B., rappresentata e

difesa dall’avv. prof. Giuseppe Maisto, con domicilio eletto in

Roma, piazza d’Aracoeli, n. 1;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia – Milano, n. 113/31/12, depositata il 1 agosto 2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 29 maggio 2018

dal Co: Marcello M. Fracanzani;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Mastroberardino Paola, che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso;

uditi l’Avv. Massimiliano Lovotti, per delega prof. Guglielmo Maisto,

e l’Avvocato dello Stato Paolo Gentili;

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. All’esito di verifica presso la sede dell’odierna ricorrente, veniva notificato processo verbale di constatazione in data 31 luglio 2007, con vari rilievi in materia di imposte dirette e di Iva, cui seguivano diversi avvisi di accertamento.

1.1 Nello specifico, un primo rilievo mosso dall’Ufficio erariale attiene all’Ires e riguarda la coerenza dei costi sostenuti da MF quale corrispettivo per la consulenza ricevuta dalla Cenciarini & Co. srl, costituita nel 1998 e specializzata in consulenza aziendale, che aveva curato l’analisi dei costi industriali, di organizzazione e gestione del personale. I costi sarebbero in parte indeducibili, in parte eccessivi in ragione dell’opera professionale, in parte indeterminati o incerti. Segnatamente le anomalie riguardavano:

– Il volume d’affari della Cenciarini & Co. per l’anno 2004 deriva sostanzialmente dalla predetta consulenza a favore di MF;

– Non giustificabili le consulenze per il personale, i rapporti sindacali, i profili amministrativi e contabili, perchè già dal 2003 la MF era dotata di struttura interna preposta a queste incombenze;

– Compensi eccessivi richiesti da Cenciarini & Co. rispetto ai prezzi praticati sul mercato da altri operatori, che dimostrano la antieconomicità dell’operazione;

– Identico centro di imputazione di volontà ed interessi di MF e Cenciarini & Co., poichè entrambe riferibili al dott. C.R.A., titolare dello 0,40% del capitale di MF, ma di cui era amministratore, mentre era contemporaneamente anche il socio di maggioranza ed amministratore di Cenciarini & Co., avendo come altro socio la sua stessa madre. Identica la sede delle due società e gestione dell’una società tramite la (consulenza dell’) altra.

1.2 Un secondo rilievo mosso dall’Ufficio finanziario riguarda l’omessa applicazione e relativo versamento della ritenuta a titolo di imposta sulla distribuzione di dividendi extracomunitari effettuata dal MF nei confronti della propria controllante Xantia Finance s.a., ove al recupero a tassazione seguivano anche le relative sanzioni.

1.3 Ulteriore rilievo era svolto in tema di Iva, in ragione dell’asserita mancata prova dell’avvenuta esportazione di beni oggetto di cessione a soggetti extra CEE. Sulla scorta di quest’ultimo rilieo, veniva recuperata la detrazione Iva, perchè indebitamente operata su operazione ritenuta inesistente.

2. La sentenza in esame trova origine nell’avviso di accertamento notificato in data 1 agosto 2009, ove l’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Milano 1, recuperava a tassazione per l’anno 2006 Ires nella misura di Euro.199.760,52 in ordine alla non inerenza ed incongruenza dei costi sostenuti per consulenza, oltre a Euro.188.244,00 per omessa ritenuta alla fonte, nonchè Euro.84.880,83 a titolo di Iva per le esportazioni extra CEE, cui seguiva distinto atto di irrogazione sanzioni per altri Euro.56.473,20.

2.1 Insorgeva la società contribuente avanti la CTP di Milano, svolgendo puntuali -controdeduzioni ai predetti rilievi mossi dall’Ufficio in ardine alla gestione imprenditoriale, nonchè sollevando una preliminare eccezione di regolarità procedimentale.

Più precisamente la contribuente affermava la violazione del D.Lgs. n. 212 del 2000, art. 12, comma 5, nel testo vigente all’epoca dei fatti, lamentando la durata dell’ispezione condotta nei locali della contribuente accertata. Lamentava infatti che l’ispezione avesse avuto inizio con il primo accesso il 19 febbraio 2007 e si era conclusa il giorno 31 luglio 2007, identificando la chiusura dell’ispezione con la notifica del processo verbale di constatazione. Ne deduceva una durata di calendario per 163 giorni, di cui 113 lavorativi, a fronte di una durata di 30 giorni, estensibili a 60, che la contribuente afferma doversi calcolare in forma continuativa a far data dal primo accesso. Ne deriva la violazione del termine di durata massima del procedimento che ne inficia il conseguente provvedimento conclusivo, cioè il pvc e, a cascata, il verbale di accertamento invalido (recte, annullabile) per illegittimità derivata.

2.2 Nel merito, la contribuente contestava i recuperi a tassazione, controdeducendo alla ricostruzione degli Uffici.

2.2.1 Quanto alla consulenza prestata da Cenciarini & Co., rammentava che MF era stata oggetto di intensa ristrutturazione aziendale, acquistando lo stabilimento di (OMISSIS), con 186 dipendenti, strutturato per la produzione di componenti, ma privo di unità organizzative e manageriali, le cui funzioni venivano svolte dal precedente proprietario Alcatel Italia spa nella propria sede di Vimercate. Riteneva più che giustificato quindi che lo scarso personale di Cenciarini & Co. fosse pressochè integralmente assorbito nel lavoro per MF, ricavandone la gran parte del fatturato di quel periodo e riaddebitando a MF il 75% dei costi di gestione della propria struttura, perchè dedicata per il 4/5 alla sola MF e svolgendo argomenti anche in ordine ai minimi e massimi tariffari dei dottori commercialisti, nonchè valorizzando l’opera di riorganizzazione dei sistemi informativi tanto del predetto stabilimento di (OMISSIS), ma anche di quello di San Giovanni in Persiceto.

2.2.2 Da ultimo deduceva anche la bontà del mancato versamento della ritenuta alla fonte, in ossequio alla direttiva CEE “madre-figlia”, la detrazione Iva operata e, in generale, la correttezza di quanto a suo tempo versato come Ires ed Iva.

2.3 La CTP respingeva l’eccezione preliminare relativa alla regolarità del procedimento ed annullava in parte gli atti conseguenti, rimodulando i costi deducibili, l’omissione di versamento ritenuta alla fonte e le altre voci in contestazione e, di conseguenza, i valori ripresi a tassazione.

Appellava la contribuente e interponeva appello incidentale l’Ufficio finanziario, ciascuno dolendosi per la propria parte di soccombenza. Per l’effetto devolutivo dell’appello, erano riproposti tutti i vizi già sollevati in primo grado, sia quello procedimentale, sia quelli di merito che erano stati rigettati in parte o assorbiti.

2.4 La CTR Lombardia – Milano, rigettava l’appello della contribuente ed accoglieva l’appello dell’Ufficio, riformava in parte qua la sentenza di primo grado, respingendo nel merito tutte le doglianze della contribuente e ricostruendo l’impianto impositivo degli uffici.

La CTR, in particolare, dava credito alla rappresentazione degli Uffici finanziari che dipingevano la Cenciarini & Co. quale vero centro direzionale della MF, suo unico cliente, con un trasferimento di ricchezza in danno alla società dove il dott. R.A.C. era socio allo 0,40%, ed a tutto vantaggio della Cenciarini &. Co. srl, ov’egli era socio assieme alla madre e che sarebbe stata chiusa dopo la fine della consulenza, passando anche a MF il proprio dipendente, assunto per svolgere il lavoro che MF affidava.

La CTR, infine, non riteneva sussistere i requisiti per l’affrancamento della ritenuta alla fonte e, nel contempo, non riteneva provata, l’esportazione di beni oggetto di cessione a soggetti extra – CEE.

Propone ricorso per cassazione la contribuente, affidandosi a quattro motivi di censura.

Ha notificato rituale controricorso l’Avvocatura generale, controdeducendo specificamente ai motivi di doglianza.

In prossimità dell’udienza la contribuente ha presentato memoria in ordine allo ius superveniens in tema di sanzioni per omesso versamento di ritenuta alla fonte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo si eccepisce violazione del L. 212 del 2000, art. 12, comma 5, in parametro all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.1 Quale lesione del diritto di difesa, lamenta infatti la ricorrente di aver subito un’ispezione nei luoghi aziendali protratta oltre ogni termine di legge ed oltre ogni ragionevolezza. Argomenta che il telos della norma – esplicitato fin dai primi articoli – sia quello di ridurre l’aggravio dell’attività del contribuente ispezionato, che si ottiene, primieramente, con una fissazione certa della delimitazione temporale in cuì l’accesso può esplicarsi. Osserva come, per i lavoratori autonomi e le imprese in contabilità semplificata, la novella del 2011 abbia precisato che il periodo di permanenza non possa superare un determinato numero di giorni lavorativi nell’arco di un più ampio delimitato periodo, per dedurne a contrariis come, per gli altri contribuenti, i giorni di permanenza massima coincidano con il numero di giorni lavorativi fissati dalla legge, computati secondo il decorso naturale. Conclude affermando che individuare il termine massimo di ispezione come somma dei giorni di effettiva presenza dei militari in sede significhi rimettere all’Ufficio la discrezione sulla durata dell’ispezione, potendosi dilatare oltre ogni misura, ove tra un accesso e l’altro intercorra un lungo periodo.

1.2 La questione è stata già affrontata da questa Corte, con orientamento cui il Collegio intende dare continuità, non ravvisandosi, negli atti versati in giudizio, ragioni per discostarsene. La violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 5, – il quale, nella versione vigente all’epoca dei fatti, così recita: La permanenza degli operatori (…), dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell’indagine individuati e motivati dal dirigente dell’ufficio. Gli operatori possono ritornare nella sede del contribuente, decorso tale periodo, per esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni di verifica ovvero, previo assenso motivato del dirigente dell’ufficio, per specifiche ragioni” – non comporta la nullità dell’accertamento, nè l’inutilizzabilità dei dati acquisiti – trattandosi di effetti non previsti dall’ordinamento (in termini, Cass. civ., sez. trib., 15-04-2015, n. 75841, secondo cui “il protrarsi della presenza dei verificatori nella sede del contribuente oltre i termini previsti dello statuto del contribuente, art. 12, comma 5, (L. n. 212 del 2000) non preclude, in assenza di una specifica norma sanzionatoria, l’utilizzo degli elementi acquisiti oltre la scadenza dei predetti termini e per l’effetto non determina l’invalidità del conseguente avviso di accertamento”. Questa Corte ha altresì rilevato che la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 5, si riferisce ai soli giorni di effettiva attività lavorativa svolta dagli operatori del fisco presso la sede del contribuente, escludendo, quindi, dal computo quei giorni impiegati per verifiche ed attività eseguite in altri luoghi (Cass. civ., sez. trib., 21-05-2014, n. 11183), sicchè non si può fare riferimento al decorso naturale del tempo, per cinque giorni lavorativi ogni settimana, ma guardare alle giornate di effettiva presenza in sede, escludendo dal computo quelle in cui la presenza siasi sostanziata in un mero accesso per prelevare o consegnare documentazione.

Il motivo è quindi infondato e va disatteso.

2. Con il secondo motivo si lamenta illogicità della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2.1 Nella sostanza ci si duole che la CTR abbia confermato come indeducibili i costi sostenuti da MF per servizi e consulenze forniti da CenCo, in quanto ritenuti come generici, non documentati e dovuti solo in ragione all’unica regia delle due società gerita dal dott. R.A.C., ora come amministratore, ora come socio di maggioranza ed amministratore. Si afferma che le motivazioni della C.T.R. sul punto siano mere presunzioni e frutto del mancato esame dei documenti offerti a sostegno delle argomentazioni sviluppate negli atti d’appello.

2.2. Il primo capoverso dell’ultima pagina della sentenza impugnata va esente dalle censure ascrittegli. Nella sua concisione, vi è espresso riferimento alla carenza di sufficiente prova documentale dei costi portati a deduzione dalla contribuente in ordine alla domiciliazione e servizi ricevuti da CenCo. Il riferimento è alle proporzioni, contestate dall’Ufficio, fatte proprie dalla CTR in riforma della sentenza di primo grado che aveva ridotto di 1/3 gli importi ripresi a tassazione dall’Ufficio. Altrettanto ha ritenuto la CTR in ordine ai costi per la progettazione del nuovo sistema informatico della MF per gli stabilimenti acquisiti, facendo espresso riferimento alla genericità delle prestazioni ivi descritte, tali da non consentire l’univoca riferibilità ed utilità alla contribuente, cui incombe la prova precisa della sussistenza del diritto alla detrazione (cfr. Cass., 12 luglio 2018, n. 18401; 28 febbraio 2017, n. 5079; 14 maggio 2007, n. 10964; 12 gennaio 2007, n. 531; 11 luglio 2002, n. 10090).

In definitiva, per questo profilo, la motivazione della gravata sentenza non presenta quei profili di illogicità e contraddittorietà solo oltre i quali si esplica il controllo di legittimità di questa Corte in parametro al motivo proposto dalla contribuente in questa sede.

Il motivo è quindi infondato e va disatteso.

3. Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27 bis, in parametro all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5

3.1 Più in particolare si lamenta la ripresa a tassazione per l’omessa ritenuta alla fonte (e conseguente versamento) in misura del 27% sui dividendi corrisposti alla controllante Xantia Finance s.a. con sede nel (OMISSIS), ma ritenuta a sua volta controllata dalla DHOO Glass Service Ltd. con sede nell'(OMISSIS), per cui soggetta alla disciplina anti elusiva propria (anche) del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27 bis, ma nel testo vigente al momento dei fatti, quando la documentazione sul periodo di detenzione della partecipazione doveva essere acquisita non al momento di distribuzione degli utili, ma semplicemente detenuta fino alla scadenza del termine per gli accertamenti, ovvero fino alla conclusione degli accertamenti in essere. Si invocava, inoltre la sussistenza dei requisiti di cui alla Dir. “madre-figlia” n. 90/4357/CEE.

Nel dettaglio, parte ricorrente afferma: che la documentazione di provenienza dell’Autorità del Paese sede della controllante non sia mai stata chiesta; che la dichiarazione della controllante di detenere le partecipazioni della controllata da più di un anno risulti in atti, quale circostanza pacificamente riconosciuta dal pvc e comunque resa con dichiarazione della stessa società in data di poco precedente all’accertamento; che, in ogni caso, tale dichiarazione in base alla norma vigente all’epoca dei fatti non doveva essere acquisita prima della (entro la) distribuzione degli utili, ma acquisiti e conservata fino a che non fossero decorsi i termini per gli accertamenti o questi conclusi se fossero iniziati; che era stata fornita la dichiarazione dell’amministratrice della società italiana Merope di detenere il controllo della lussemburghese Xantia, che quindi non era più riconducibile alla Doo Glass con sede nell'(OMISSIS). Tali circostanze non sarebbero state valorizzate dai giudici di secondo grado, concretando vizio di motivazione e falsa applicazione della norma di riferimento.

3.2 In base alla Dir. 435/90/CEE (ripresa dalla disciplina nazionale), l’esenzione della trattenuta alla fonte dei dividendi corrisposti alla controllante straniera richiede un certificato dell’Autorità del Paese estero attestante tre requisiti, nonchè la dichiarazione della società che percepisce gli utili di detenere – da almeno un anno – una significativa partecipazione nella società che li distribuisce. Non possono essere ritenuti documentati gli affermati requisiti richiesti dalla direttiva comunitaria precitata: la prova della durevole partecipazione di Xantia in MF non si consolida con la semplice dichiarazione della controllante, in data di poco anteriore all’accertamento, versata in atti processuali (cfr. p. 24, terzo capoverso del ricorso), ma richiede l’esibizione di una visura camerale, del libro soci o di altra scrittura contabile -non all’uopo formata- donde si evinca la reale esistenza e portata di questo requisito.

Valga il principio per cui una dichiarazione semplice della controllante soddisfa il requisito del D.P.R. n. 300 del 1973, art. 27 bis, lett. d), per affrancare la controllata dalla ritenuta alla fonte sui dividendi che a quella intende corrispondere; ma in caso di contestazione circa l’esistenza o la data di tale dichiarazione, è onere del contribuente provare la sussistenza dei requisiti sostanziali che nella (contestata) dichiarazione erano (o dovevano essere) contenuti; secondo i consolidati principi per cui grava sul privato che rivendica un diritto al beneficio fiscale l’onere di provarne la sussistenza dei requisiti (cfr. Cass., 12 luglio 2018, n. 18401; 28 febbraio 2017, n. 5079 e precedenti ivi indicati).

Parimenti, non è sufficiente a superare la presunzione del carattere elusivo connesso ad una controllante extra UE (nel particolare, stabilita in un c.d. “paradiso fiscale”) la semplice produzione nel corso del giudizio di una dichiarazione dell’amministratore di Merope ove affermi di controllare lo 80% di Xantia, rafforzando l’affermazione con la produzione di un estratto del bilancio 2006 (per il vero, è l’anno in contestazione) che non può superare la visura operata dai militari presso la camera di commercio italo lussemburghese: ben doveva parte contribuente fornire analoga prova dell’intervenuto mutamento del controllo con estratto dai pubblici registri. Esente, quindi, dalle censure ascrittele la motivazione della sentenza impugnata per avere dato prevalenza al materiale probatorio di fede privilegiata offerto dall’Ufficio piuttosto che alle scritture private contrapposte dalla difesa della contribuente.

La disposizione comunitaria più volte citata – e la disciplina italiana che la riprende- chiaramente consentono il beneficio fiscale a condizione che la controllante comunitaria non costituisca mera interposizione per dissimulare un reale controllo extra U.E., sicchè è in capo al privato, da un lato, l’onere di superare il carattere presuntivo di un’interposizione fittizia della controllante lussemburghese rispetto alla vera controllante nell'(OMISSIS) e, dall’altro, di dimostrare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del suo buon diritto al beneficio fiscale di cui qui si tratta sicchè, in mancanza, soggiace al dovere della ritenuta d’acconto alla fonte che, ove non corrisposta in difetto di valido titolo, giustifica la ripresa a tassazione operata dagli Uffici e favorevolmente scrutinata dai giudici di merito, con applicazione del formato normativo e dell’apparato motivo che superano positivamente i parametri di cui all’art. 360 c.p.c., qui richiamato.

Il motivo è pertanto infondato e va disatteso.

4. Con il quarto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5, in parametro all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

4.1 Più in particolare, si lamenta che la sentenza della CTR abbia ritenuto tardive e incomplete le documentazioni prodotte solo nel corso del giudizio dalla ricorrente e relative alla dimostrazione dell’esportazione effettiva dei beni per i quali non era stata ricaricata l’Iva.

La contribuente afferma invero di aver recuperato solo in un secondo momento da dogane e spedizionieri le prove documentali di aver imbarcato e avviato extra U.E. la maggior parte degli importi contestati, restando indimostrato meno del 5% dell’importo contestato.

Ricorda che la preclusione per i documenti non prodotti in sede di verifica fiscale riguarda unicamente quei documenti che siano stati chiesti e che non siano stati forniti, dolosamente o colpevolmente, secondo l’insegnamento di codesta Corte. Osserva che non risulta provata neppure la richiesta da parte dei verificatori, laddove nel verbale si fa menzione unicamente alla mancata esibizione, sicchè la mancata produzione non sarebbe da ascrivere a colpa o dolo, quindi dovevano trovare accesso in sede processuale tutte le documentazioni doganali e spedizioniere recuperate dalla contribuente in un secondo momento, almeno per ridurre l’importo contestato. (R.= motivo forse non autosufficiente)

4.2. Il motivo proposto difetta dei requisiti dell’autosufficienza, ove menziona genericamente, ma non indica specificamente, i documenti o gli atti processuali da cui si evinca che la richiesta di esibizione non è stata avanzata, facendo riferimento generico all’avviso di accertamento o agli atti difensivi dell’Ufficio (cfr. p. 30, terzo capoverso, del ricorso per cassazione).

In ogni caso, questa Corte ha più volte affermato che il divieto di utilizzo in sede giudiziaria di documenti non esibiti in sede amministrativa costituisce un limite all’esercizio dei diritti di difesa e dunque si giustifica solo in quanto si concreti il rifiuto di una documentazione specificamente richiesta dagli agenti accertatori. Si ammette bensì che il divieto di utilizzare documenti scatti “non solo nell’ipotesi di rifiuto (per definizione doloso) dell’esibizione, ma anche nei casi in cui il contribuente dichiari, contrariamente al vero, di non possedere o sottragga all’ispezione i documenti in suo possesso, ancorchè non al deliberato scopo di impedirne la verifica, ma per errore non scusabile, di diritto o di fatto (dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative ecc.) e, quindi, per colpa” (Cass. 26/03/2009, n. 7269). La detta sanzione però, in conformità alla lettera della legge, esige che sussista una specifica richiesta degli agenti accertatori, non potendo costituire “rifiuto” la mancata esibizione di un qualcosa che non venga richiesto (Cass. 14/10/2009, n. 21768; Cass. 19/04/2006, n. 9127).

Tuttavia, nel caso in esame, l’incontestata risultanza nel pvc o nell’accertamento della mancata produzione della documentazione, successivamente recuperata e prodotta, legittima a far credere che tale richiesta ci sia stata, introducendo l’inversione dell’onere della prova in capo al contribuente per cui la pacifica mancata produzione non è dovuta a dolo o colpa.

Il motivo è pertanto inammissibile (prima ancora che infondato)

5. Occorre esaminare ora l’istanza proposta dalla parte privata in ordine allo ius superveniens in tema di sanzioni per omesso versamento di ritenuta alla fonte di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, novellato al proposito dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 15, comma 1, lett. p), espungendo il riferimento all’applicazione delle disposizioni di cui allo stesso D.Lgs. n. 417 del 1997, art. 13, per cui non è più sanzionabile per omesso versamento il caso di accertamento di ritenute non didhiarate e non operate.

Anche nel sistema tributario, l’apparato sanzionatorio è retto dal principio di legalità, di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, ove contiene il principio del favor rei, per cui non è più sanzionabile il comportamento che in base a legge posteriore sia diventato non punibile. Donde ne consegue la necessità di rimettere il giudizio avanti la CTR per la valutazione di questo profilo (cfr. Cass n. 3166/2018).

In definitiva, il ricorso è infondato e dev’essere rigettato nei limiti di cui in motivazione con cassazione della sentenza impugnata e rinvio, limitatamente ai profili di ius superveniens in materia di sanzioni per l’omissione del versamento di ritenute alla fonte.

PQM

Decidendo il ricorso, respinge i motivi e, in applicazione dello ius superveniens dedotto in memoria, cassa e rinvia alla CTR per la Lombardia, in diversa composizione, per verificarne i presupposti soggettivi, demandando anche la definizione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 29 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA