Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23871 del 25/09/2019

Cassazione civile sez. trib., 25/09/2019, (ud. 11/04/2019, dep. 25/09/2019), n.23871

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5587/2018 R.G. proposto da:

M.A.L., difeso e rappresentato, in virtù di procura

speciale in atti, dall’Avv. Prof. Alberto Tedoldi ed elettivamente

domiciliato presso lo studio dell’Avv. Giovanni Smargiassi in Roma,

via G.B. Tiepolo, n. 4, giusta procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 16906/2017 della sesta sezione civile

tributaria della Corte Suprema di Cassazione, emessa sul ricorso

r.g.n. 15326/2016 e depositata il 7 luglio 2017.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio dell’11 aprile

2019 dal Consigliere Dott. Michele Cataldi.

Fatto

RILEVATO

che:

1. M.L.A. propone ricorso per la revocazione, ai sensi dell’art. 391 – bis c.p.c. e dell’art. 395 c.p.c., n. 4, dell’ordinanza n. 16906/2017 della sesta sezione civile tributaria della Corte Suprema di Cassazione, emessa sul ricorso R.g.n. 15326/2016 e depositata il 7 luglio 2017.

1.1. Espone il ricorrente che l’Agenzia delle Entrate aveva proposto ricorso (che aveva assunto il n. r.g. 15326/2016) per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria che aveva rigettato il suo appello contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Genova. Quest’ultima aveva accolto l’impugnazione del contribuente avverso un avviso di accertamento, in materia IRPEF per l’anno 2012.

1.2. Il ricorso era affidato a due motivi.

Come si legge nell’ordinanza qui impugnata, prodotta dal ricorrente, con il primo motivo “l’Agenzia lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs n. 546 del 1992, art. 58, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4: la sentenza impugnata avrebbe erroneamente negato la possibilità all’Agenzia di produrre (solo) in appello la comunicazione di reato”.

Tale motivo è stato ritenuto fondato ed accolto dalla Corte con la seguente motivazione: “(…) in materia di contenzioso tributario, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 58, consente la produzione nel giudizio di appello di qualsiasi documento, pur se già disponibile in precedenza (Sez. 6-5, n. 22776 del 06/11/2015), sempre che sia rispettato il termine perentorio di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 32, comma 1, di venti giorni liberi prima dell’udienza (Sez. 5, n. 3661 del 24/02/2015); (…) l’affermazione del controricorrente, circa la mancata produzione di una qualche denuncia in appello, pare smentita dall’inciso della CTR “Nè rileva la produzione della denuncia penale in sede di appello. Trattandosi di un documento nella disponibilità della amministrazione finanziaria doveva essere prodotta tempestivamente in primo grado, pena la decadenza dalla relativa prova”;”.

1.3. Accolto anche il secondo motivo di ricorso dell’Agenzia delle Entrate, la Corte ha ritenuto che: “(…) in accoglimento del ricorso la sentenza va cassata ed il giudizio rinviato alla CTR Liguria, in diversa composizione, affinchè si attenga ai principi sopra indicati, anche per le spese del giudizio di cassazione” ed ha così statuito: “P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Regionale della Liguria, in diversa composizione; cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.”.

1.4. Assume il ricorrente che, nella decisione relativa al primo motivo del predetto ricorso dell’Ufficio, la Corte sarebbe incorsa in un errore di fatto, atteso che “la produzione della denuncia penale in sede di appello”, menzionata nel passo della motivazione della CTR trascritto nella motivazione dell’ordinanza di legittimità qui impugnata, non era mai avvenuta, non avendola effettuata l’Agenzia appellante nè con il ricorso introduttivo dell’appello, nè con successive memorie o deposito di documenti nel corso del giudizio di primo grado.

Infatti, secondo l’attuale ricorrente, la stessa formula testuale utilizzata dalla CTR, e riprodotta dalla Corte nell’ordinanza qui impugnata, sarebbe connotata da un’imprecisione lessicale, nel senso che il giudice dell’appello, laddove ha scritto “Nè rileva la produzione della denuncia penale in sede di appello.”, avrebbe inteso dire “Nè rileva la producibilità della denuncia penale in sede di appello.”, al solo fine di escludere in astratto la legittimità di un’ipotetica produzione, in secondo grado, del documento in questione, e non per dichiarare in concreto l’inammissibilità di una produzione documentale effettivamente avvenuta nel corso del giudizio.

In punto di fatto, rileva il ricorrente, il documento in questione non è stato effettivamente prodotto dall’Ufficio nel giudizio d’appello, poichè la sua produzione non è menzionata in calce all’atto di appello dell’Agenzia delle Entrate, nè è avvenuta nel corso del giudizio.

2. L’Agenzia delle Entrate si è costituita, notificando e depositando controricorso.

3. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Preliminarmente, deve premettersi, in generale, che è ammissibile la revocazione di cui all’art. 391 bis c.p.c. ed all’art. 395 c.p.c., n. 4, nell’ipotesi in cui l’asserito errore di fatto del giudice di legittimità cada su un accadimento processuale – che sarebbe rappresentato, nel caso di specie dall’avvenuta, o meno, produzione di un documento nel corso del giudizio d’appello – del quale la Corte di Cassazione, nel decidere il motivo di ricorso di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, poteva conoscere direttamente. Infatti, quando, con il ricorso per cassazione, venga dedotto un error in procedendo, il sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali il ricorso è fondato, indipendentemente dalla sufficienza e logicità della eventuale motivazione esibita al riguardo, posto che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto. (Cass., 13/08/2018, n. 20716. Conformi, Cass. 21/04/2016, n. 8069; Cass., 30/07/2015, n. 16164).

Pertanto, nel caso sub iudice, l’asserito errore di fatto è, in astratto, potenzialmente idoneo a legittimare la revocazione, ex art. 391 – bis c.p.c. ed art. 395 c.p.c., n. 4, dell’ordinanza impugnata, poichè riguarda un atto “interno” al giudizio di legittimità, che la Corte poteva esaminare direttamente, con propria indagine di fatto, nell’ambito dei motivi di ricorso (cfr. Cass., 22/10/2018, n. 26643).

2. Sempre preliminarmente, la revocazione di cui all’art. 391 bis c.p.c. ed all’art. 395 c.p.c., n. 4, deve ritenersi invece inammissibile, nel caso di specie, perchè proposta nei confronti di un’ordinanza di questa Corte che, dopo aver cassato la sentenza impugnata, ha rinviato la causa al giudice a quo, in diversa composizione.

2.1. Sulla questione dell’ammissibilità della revocazione per errore di fatto di sentenze, od ordinanze, della Suprema Corte che abbiano cassato la decisione impugnata e rinviato la causa al giudice a quo, convivono, nella giurisprudenza di questa Corte, due diversi orientamenti.

Secondo un orientamento più recente, sarebbe esclusa in ogni caso l’ammissibilità della revocazione quando la sentenza della quale si chiede la revoca abbia pronunciato la cassazione con rinvio:

– “E’ inammissibile il ricorso per cassazione per revocazione proposto, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4 e dell’art. 391 bis c.p.c., avverso la sentenza con la quale la decisione di merito sia stata cassata con rinvio, potendo ogni eventuale errore revocatorio essere fatto valere nel giudizio di riassunzione.” (Cass., 12/10/2015, n. 20393).

– “In tema di revocazione, l’art. 391 bis c.p.c., interpretato anche alla luce dell’espressione “altresì” di cui all’art. 391 ter c.p.c. che pone in collegamento le diverse ipotesi revocatorie, comporta che, ove la decisione della S.C., oggetto di impugnazione revocatoria, non abbia deciso nel merito ma abbia rinviato la causa ad altro giudice a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, in tale sede possono essere fatti valere gli errori di fatto previsti dall’art. 395 c.p.c., n. 4, relativi ai vizi processuali che la parte rimasta contumace avrebbe potuto conoscere a seguito del ricorso in riassunzione. Tale soluzione si pone in linea con i principi del giusto processo atteso che, da un lato, valorizza la fase rescindente rendendola funzionale a garantire il riesame della controversia e, dall’altro, impedisce che la fase rescissoria ostacoli l’accertamento della verità materiale.” (Cass., 25/07/2011, n. 16184).

Viceversa, secondo un orientamento più risalente, il ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c. è inammissibile soltanto se l’errore revocatorio denunciato abbia portato all’omesso esame di eccezioni, questioni e tesi difensive che possano costituire oggetto di una nuova, libera ed autonoma valutazione da parte del giudice del rinvio:

– “E’ inammissibile il ricorso per cassazione per revocazione ex art. 391 bis c.p.c. avverso la sentenza con cui la decisione di merito viene cassata con rinvio ogniqualvolta l’errore revocatorio denunciato abbia portato all’omesso esame di eccezioni, questioni e tesi difensive che possano costituire oggetto di una nuova, libera ed autonoma valutazione da parte del giudice di rinvio (nella specie è stato dichiarato inammissibile il ricorso con cui si lamentava errore di fatto – consistito nel ritenere tardivo il controricorso – da cui era derivato l’omesso esame di questo, in quanto il medesimo conteneva mere tesi difensive riguardanti la qualificazione di un rapporto di lavoro, l’indagine relativa al quale era stata rimessa al giudice di rinvio)” (Cass., 07/11/2001, n. 13790. Conforme Cass., 20/10/2003, n. 15660).

Tuttavia, una successiva e recente pronuncia di questa Corte ha consapevolmente rimeditato i due orientamenti, concludendo nel senso che: “Il ricorso per revocazione delle pronunce di cassazione con rinvio deve ritenersi inammissibile soltanto se l’errore revocatorio enunciato abbia portato all’omesso esame di eccezioni, questioni o tesi difensive che possano costituire oggetto di una nuova, libera ed autonoma valutazione da parte del giudice del rinvio ma non anche se la pronuncia di accoglimento sia fondata su di un vizio processuale dovuto ad un errore di fatto o se il fatto di cui si denuncia l’errore percettivo sia assunto come decisivo nell’enunciazione del principio di diritto, o, nell’economia della sentenza, sia stato determinante per condurre all’annullamento per vizio di motivazione.” (Cass., 17/05/2018, n. 12046. Cfr. altresì Cass., 22/3/2019, n. 8259, in motivazione).

Nella motivazione della citata Cass., 17/05/2018, n. 12046, si legge che “(…) l’orientamento che risale a Cass. 15660/03 è in linea con l’art. 111 Cost. novellato e con il principio della ragionevole durata del processo, giacchè consente che non si discuta superfluamente di revocazione se la materia su cui deve cadere l’accertamento del giudice di rinvio include (espressamente o implicitamente) la materia che si pretende essere incisa dall’errore di fatto del giudice di legittimità. Per contro qualora tale apertura complessiva non vi sia stata, la revocazione della sentenza di cassazione di annullamento con rinvio risponde alla esigenza di verificare da parte dello stesso giudice se vi sia stato errore di fatto” e che “Tutte le ragioni anzi dette giustificano l’orientamento precedente, che limita la astratta ipotizzabilità della revocazione per errore di fatto della sentenza di cassazione di accoglimento con rinvio alla sola eventualità che al giudice di rinvio sia demandato l’esame di eccezioni, questioni e tesi difensive che possano costituire oggetto di una sua nuova, libera ed autonoma valutazione.”

2.2. Nel caso qui sub iudice, l’ordinanza che ha cassato con rinvio la sentenza impugnata ha accolto il primo motivo di ricorso dell’Ufficio, ritenendo che la negazione, da parte del giudice di primo grado, della “possibilità all’Agenzia di produrre (solo) in appello la comunicazione di reato” (cfr. pag. 2 dell’ordinanza qui impugnata) fosse in contrasto con il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, l’art. 58, che consente la produzione in appello di qualsiasi documento, anche se già disponibile in precedenza, sempre che sia rispettato il termine perentorio di venti giorni liberi prima dell’udienza, di cui al medesimo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, comma 1.

La Corte ha quindi ribadito in diritto la producibilità, nei predetti termini, di nuovi documenti in appello, ed ha quindi rilevato l’errore commesso dal giudice di prime cure nell’affermare che la mancata produzione della denuncia in primo grado ne precludesse a priori anche l’eventuale produzione in appello.

Deve invece escludersi che, contestualmente, la Corte abbia altresì accertato, in maniera preclusiva di un’ipotetica diversa valutazione da parte del giudice del rinvio, la circostanza che la denuncia in questione sia stata effettivamente prodotta dall’Ufficio nel corso del giudizio d’appello, come risulta palese dalla stessa formulazione testuale della motivazione sul punto, che si limita a rilevare che la contraria affermazione del controricorrente “pare smentita” dall’inciso della CTR (pag. 3 dell’ordinanza impugnata).

Nella sostanza, quindi, il provvedimento qui impugnato, espresso il principio di diritto attinente la producibilità di nuovi documenti in appello, non preclude al giudice del rinvio, che dovrà farne applicazione, di verificare se l’Agenzia delle Entrate abbia effettivamente prodotto, nel predetto termine di cui al medesimo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, comma 1, la denuncia penale in questione, traendone poi, con riferimento al merito della controversia, ogni conseguenza.

Tale conclusione, peraltro, appare coerente anche con le stesse deduzioni dell’attuale ricorrente, secondo il quale, con il brano della motivazione più volte citato, la CTR aveva inteso solo escludere in astratto la legittimità di un’ipotetica produzione (“la producibilità”), in secondo grado, del documento in questione, ma non anche dichiarare in concreto l’inammissibilità di una produzione documentale effettivamente avvenuta nel corso del giudizio.

L’ordinanza della quale si chiede la revocazione ha quindi rilevato l’erroneità della tesi in diritto accolta dal giudice del merito e, chiarita l’insussistenza di una generale preclusione rispetto ad eventuali nuove produzioni documentali in appello, ha formulato il relativo principio, rimettendo quindi al giudice del rinvio ogni ulteriore accertamento in fatto e valutazione sul punto.

Il ricorso per revocazione della pronuncia di cassazione con rinvio deve quindi ritenersi, nel caso di specie, inammissibile, atteso che il preteso errore revocatorio attiene questioni che potranno costituire oggetto della libera ed autonoma valutazione da parte del giudice del rinvio.

3. Le spese si compensano, in considerazione della peculiarità della fattispecie e dell’evoluzione giurisprudenziale in materia.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Compensa le spese di questo giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2019

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