Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23870 del 29/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 29/10/2020, (ud. 05/02/2020, dep. 29/10/2020), n.23870

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20763-2013 proposto da:

AMBROSIANA ELEVEN SRL in persona del legale rappresentante pro

tempore, domiciliato in ROMA P.ZZA CAVOUR presso la cancelleria

della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato

FINELLI ANTONIO giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE REGIONALE LOMBARDIA in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2/2013 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 07/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/02/2020 dal Consigliere Dott. FASANO ANNA MARIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MATTEIS STANISLAO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato FINELLI che si riporta agli atti;

udito per il controricorrente l’Avvocato TIDORE che si riporta agli

atti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

F.G., in qualità di legale rappresentante della società “Ambrosiana Eleven s.r.l”, ricorre per la cassazione della sentenza n. 2/01/13 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, svolgendo sette motivi che, in controversia riguardante la sanzione accessoria della sospensione dell’esercizio dell’attività emessa dall’Agenzia delle entrate e notificata in data 7.6.2013, aveva rigettato l’appello proposto dalla società contribuente. L’Agenzia delle entrate, a seguito di un controllo della società sugli obblighi strumentali, aveva riscontrato con P.V.C. alcune irregolarità da cui era conseguita la sanzione accessoria D.Lgs. n. 471 del 1997, ex art. 12, comma 2. La contribuente presentava istanza di accertamento con adesione per la definizione delle violazioni accertate, che veniva rigettata dall’Ufficio accertatore, il quale successivamente irrogava una sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 11. 840,63, con verbale di contestazione finale, che si concludeva con definizione agevolata. Successivamente l’Agenzia delle entrate irrogava alla società contribuente la sanzione accessoria della sospensione dell’esercizio dell’attività per la durata di ventitrè giorni consecutivi. L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 24 Cost. e della L. n. 212 del 2000, art. 12, atteso che i rilievi indicati nel verbale di constatazione finale non sarebbero attendibili, in quanto i verbalizzanti non avrebbero tenuto conto, nell’ambito dell’attività di accertamento, delle fatture emesse dalla società ricorrente nel periodo controllato, nè avrebbero tenuto conto del fatto che i ticket (conteggiati nel calcolo degli elementi extra contabili) sono da considerarsi corrispettivi non incassati oggetto peraltro di successiva fatturazione. Si lamenta, inoltre, che le omesse certificazioni delle comande contestate sarebbero state rintracciate dopo una Diù accurata ricerca e, comunque, alcune delle stesse sarebbero state erroneamente computate (e quindi erroneamente confrontate) dai verbalizzanti in un anno di imposta diverso dalle comande stesse. La ricorrente si duole del fatto che, nel corso della redazione del verbale di constatazione, l’Agenzia delle entrate avrebbe rifiutato verbalmente l’accoglimento di documentazione atta a dimostrare l’infondatezza dei rilievi proposti, con la conseguenza che i verbalizzanti non farebbero menzione dei documenti esibiti, rimandando alle sedi competenti per l’esibizione degli stessi.

2.Con il secondo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 16 e 16-bis e L. 212 del 2000, art. 12, in quanto l’atto di contestazione è stato emesso oltre i novanta giorni previsti, a pena di decadenza, dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16-bis, mentre l’atto ci irrogazione della sanzione accessoria fa riferimento ad un atto di contestazione con numerazione diversa. La ricorrente, nonostante fosse consapevole delle predette incongruenze e del vizio dell’atto di contestazione ricevuto, decideva di evitare lungaggini nella definizione della controversia, uniformandosi alla proposta di definizione agevolata (D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 16) contenuta a pagina 10 dell’atto. La società sostiene che se l’Agenzia delle entrate era già consapevole che, nonostante la definizione agevolata, comunque poteva procedere con l’applicazione della sanzione accessoria di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 12, comma 2, perchè norma speciale rispetto al D.Lgs. n. 472 del 1997, poneva in essere un atto in violazione della L. 212 del 2000 (Statuto del contribuente) mancando di quel principio di chiarezza e trasparenza degli atti amministrativi.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 12 Statuto del contribuente ed eccesso di potere, in quanto nell’atto antecedente era stata indicato il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 12, come sanzione accessoria da applicare al caso di specie, precisando che con il pagamento della sanzione agevolata si sarebbe evitata l’applicazione di tale sanzione. Ne consegue che con il successivo atto di irrogazione della sanzione accessoria non era chiaro quale fosse la vera volontà della P.A.

4. Con il quarto motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 471 del 1996, art. 12, comma 2-bis, e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16-bis, in quanto il provvedimento di irrogazione della sanzione accessoria dovrebbe essere notificato, ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 12, comma 2-bis, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla contestazione della terza violazione. Il contribuente rileva che se il termine ultimo di notifica dell’atto di contestazione deve considerarsi il 24.7.2009 (ovvero 90 giorni dalla constatazione D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 16-bis) allora i termini di notifica sarebbero ampiamente superati, con effetto decadenza dell’atto. Nel caso, invece, si consideri decorrere i sei mesi a partire dal 25.9.2019 (termine di notifica dell’atto di contestazione) allora il provvedimento dovrebbe essere annullato poichè basato su un atto viziato da decadenza (D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 16-bis). I giudici del merito sulla questione al pungo 4.2. lett. c) della sentenza hanno sostenuto che per espresso disposto D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 12, comma 2-bis, il provvedimento di sospensione deve intervenire ed essere notificato alla parte entro sei mesi dalla contestazione, e non già 90 giorni dalla constatazione, della quarta violazione dell’obbligo di emissione della ricevuto o scontrino fiscale, sicchè una volta acclarato per risultanza desunta dalle stesse indicazioni di parte che la contestazione era stata notificata il 25.9.2009 ed il provvedimento sanzionatorio era stato notificato il 1.2.2020 la decadenza doveva ritenersi esclusa, con la conseguenza che la lagnanza dell’appellante non aveva ragione di essere. Nè può condividersi l’orientamento dei giudici di secondo grado (punto 4 della sentenza) per il mancato ingresso alle censure di questa parte in relazione alla pretesa inattendibilità dei rilievi di cui al verbale di constatazione, poichè afferenti all’evidenza a controversia pregressa già fatta oggetto di irretrattabile definizione agevolata.

5. Con il quinto motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, in quanto non può non tenersi conto nell’applicazione della sanzione delle condizioni soggettive del ricorrente (D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 7), atteso che la chiusura dell’esercizio per un lasso di tempo così ampio pregiudicherebbe in maniera definitiva il futuro dell’azienda. Nel caso di specie, non si può prescindere nei criteri di valutazione della potenziale perdita di clientela dovuta alla chiusura, quali mancati ricavi, deperimento di derrate alimentari, impossibilità di realizzare programmi si sviluppo di impresa, situazioni di il-liquidità o insolvenza, ai tagli occupazionali dell’azienda, all’effettivo valore di mercato. Secondo la ricorrente, andrebbero valutati il pregiudizio al diritto all’immagine di onesto contribuente, al diritto ad una esistenza libera e dignitosa ed al diritto alla libertà di impresa.

6. Con il sesto motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16 ed eccesso di potere, in quanto nel provvedimento di sospensione non risulterebbe rispettata la previsione di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16, laddove viene previsto che l’atto deve riportare i criteri adottati per la determinazione della sanzione. L’Ufficio avrebbe imposto la chiusura per un periodo di giorni 23 senza specificare i criteri adottati per la scelta della sanzione, e qualora tali criteri fossero oggettivi mancherebbe della valutazione delle circostanze soggettive indicate al punto precedente, da cui l’ente che irroga una sanzione non può assolutamente prescindere. Si eccepisce ancora l’ipotesi di eccesso di potere tale per cui la P.A. non può incidere sulle situazioni soggettive istituzionalmente libere dei cittadini senza la guida e l’esternazione di idonei parametri di riferimento, senza i quali si concretizza una ipotesi di eccesso di potere ogni volta che la pretesa tutelata del singolo sia in posizione di conflitto con quella analoga di altri soggetti. Sul punto non può condividersi quanto hanno affermato i giudici di appello, in quanto la Commissione Tributaria Regionale asserisce che il danno della chiusura avrebbe potuto essere evitato dalla ricorrente se solo si fosse adottato un comportamento rispettoso della legge, atteso che, nella specie, si tratterebbe di un numero di violazioni di gran lunga superiore rispetto a quelle minime indicate dalla legge, tutte perpetrate in un arco di tempo di gran lunga inferiore.

7. Con il settimo motivo di ricorso si denuncia violazione dello Statuto del Contribuente e dell’art. 97 Cost., atteso che la società contribuente decideva di definire la controversia pagando la somma richiesta di Euro 2.965,32 pari ad un quarto della sanzione determinata ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16, comma 3, e nell’atto di adesione c’era chiaramente scritto che la definizione agevolata avrebbe escluso sanzioni accessorie, nonostante ciò la Direzione Regionale della Lombardia dell’Agenzia delle entrate, con atto n. 6164 del 2010, irrogava la sanzione accessoria della sospensione dell’esercizio dell’attività per la durata di ventitrè giorni consecutivi, a decorrere dal 29.3.2010. A tale riguardo la Commissione Tributaria Regionale ha rigettato le doglianze, affermando che è: “negato ingresso alle agnanze di parte appellante alla pretesa inattendibilità dei rilievi di cui al verbale di contestazione finale (…) infatti si tratta di questioni afferenti, all’evidenza, a controversia pregressa (già fatta oggetto di irre-trattabili definizione agevolata)”, sicchè alla contribuente con la definizione agevolata si vede preclusa per sempre la possibilità di far valere le proprie ragioni.

8. I motivi proposti sono inammissibili, per i rilievi di seguito enunciati.

8.1. Il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali e l’esatte indicazione numerica di una delle predette ipotesi (Cass. n. 4036 del 2014). Nondimeno, il motivo del ricorso, deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione che rientri nelle categorie logiche previste dal codice di rito (Cass.n. 19959 del 2014; Cass. n. 18202 del 2008).

Nella specie, nessuno dei motivi di ricorso riconduce esplicitamente le censure ad uno dei paradigmi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, sicchè non è consentito a questa Corte comprendere se le dedotte violazioni di norme siano riconducibili ad un vizio di violazione di legge, o ad un vizio di motivazione della sentenza impugnata.

Siffatto modo di articolare e censure, in difetto di qualsivoglia coordinamento con le fattispecie di vizio tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., non è rispettoso del sistema processuale vigente, in relazione alla formula prevista per il ricorso per cassazione, così come inveratasi nella norma sopra citata (Cass. n. 11603 del 2018). Le ragioni del dissenso che la parte intende marcare nei riguardi della decisione impugnata devono essere formultate in termini tali da soddisfare esigenze di specificità, di completezza e di riferibilità a quanto pronunciato, secondo le censure previste tassativamente dall’art. 360 c.p.c., comma 1 (Cass. n. 10862 del 2018).

8.2. Va, altresì, rilevata l’inidoneità delle argomentazioni espresse in alcuni mezzi a rilevare e censurare espressamente la “ratio decidendi ” della motivazione della decisione, posto che con i motivi n. 1, n. 2, n. 3, n. 5, non si esprime nessuna specifica censura alla sentenza impugnata, limitandosi a dissertare su questioni che involgono specificamente gli atti impositivi, in alcuni casi anche svolgendo rilievi avverso l’atto di contestazione e non avverso l’atto di irrogazione di sanzioni (v. es. secondo motivo) oltre al fatto che il primo motivo, come evidenziato anche dalla Procura Generale della Cassazione (v. memoria), pone questioni sollevate per la prima volta in sede di legittimità (Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 2038 del 2019).

Ne consegue che l’intero sviluppo illustrativo del ricorso, quindi anche i restanti motivi, sembrano introdurre un inammissibile terzo grado di giudizio, tramite il quale far valere le doglianze nei confronti dell’atto impositivo, articolate in una inestricabile commistione di elementi di fatto, riscontri di risultanze istruttorie e principi di diritto, senza una effettiva critica propositiva nei confronti della sentenza impugnata.

La Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale, ma esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa (Cass. n. 6519 del 2019; Cass. n. 25332 del 2014).

8.3.In disparte l’inammissibilità di tutte le censure per le ragioni sopra ampiamente esposte, le doglianze espresse sono, altresì, infondate. La Commissione Tributaria Regionale, con motivazione congrua e priva di vizi logici, ha ritenuto la gravità della violazione sotto l’aspetto quantitativo e qualitativo, essendosi la stessa tradotta nella mancata emissione di n. 81 scontrini fiscali (v.Cass. n. 739 del 2019, in fattispecie analoga). Inoltre, ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 12, comma 2, “qualora siano state contestate ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, n. 16, nel corso di un quinquennio, quattro distinte violazioni dell’obbligo di emettere la ricevuta fiscale o lo scontrino fiscale, compiute in giorni diversi, anche se non sono state irrogate sanzioni accessorie in applicazione delle Disp. del cit. D.Lgs. n. 472 del 1997, è disposta la sospensione della licenza o dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività ovvero dell’esercizio dell’attività medesima per un periodo di tre giorni ad un mese”, e secondo quanto previsto dal comma 2-bis “gli atti di sospensione devono essere notificati, a pena di decadenza, entro 6 mesi da quanto è contestata la quarta violazione”, sicchè dalla piana lettura delle norme si evince anche che il termine decadenziale per l’irrogazione della sanzione decorre dalla contestazione, non dalla constatazione.

Inoltre, costituisce principio consolidato quello secondo cui, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 12, comma 2, il quale prevede la sospensione della licenza o dell’autorizzazione all’esercizio ovvero dell’esercizio dell’attività medesima nel caso in cui siano state accertate nel corso di un quinquennio tre distinte violazioni dell’obbligo di emettere la ricevuta o lo scontrino fiscale, ha carattere speciale rispetto alla norma generale contenuta nel D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 16, comma 3, con la conseguenza che l’irrogazione di detta sanzione non è impedita dalla definizione agevolata prevista da quest’ultima disposizione (Cass. n. 739 del 2019; Cass. n. 25468 del 2008; Cass. n. 25671 del 2008; Cass. 2439 del 2007).

9. In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come dadispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte soccombente al rimborso delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 2.900,00, oltre spese prenotate a debitoAi sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio, per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2020

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