Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2387 del 27/01/2022
Cassazione civile sez. III, 27/01/2022, (ud. 09/12/2021, dep. 27/01/2022), n.2387
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –
Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 00437/2019 proposto da:
R.F., elettivamente domiciliato in Roma, alla via Alberico
II, n. 5, presso lo studio dell’avvocato Travarelli Ettore, che lo
rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco in carica, elettivamente
domiciliato in Roma, alla via del Tempio di Giove n. 21, presso lo
studio dell’avvocato Siracusa Sergio, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
Unicredit S.p.a.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 15620/2018 del TRIBUNALE di ROMA, depositata
il 26/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
09/12/2021 dal Consigliere relatore Dott. Cristiano Valle.
Osserva quanto segue.
Fatto
FATTI DI CAUSA
R.F. impugna con atto affidato a un unico complesso motivo, la sentenza, n. 15620 del 26/07/2018 del Tribunale di Roma, quale giudice di appello su sentenza del Giudice di pace della stessa sede, in causa contro Comune di Roma e Unicredit S.p.a., originata da un pignoramento presso terzi nei confronti di Unicredit S.p.a..
La sentenza d’appello ha confermato quella di primo grado (sentenza n. 25715 del 2014 emessa da Giudice di Pace di Roma) e ha condannato l’avvocato R.F. al pagamento delle spese del grado in favore del Comune di Roma Capitale.
Resiste con controricorso il solo Comune di Roma, mentre Unicredit S.p.a. è rimasta intimata.
La causa è stata chiamata per l’adunanza camerale del 09/12/2021, fissata ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., per la quale il Pubblico Ministero non deposita conclusioni scritte e non risulta il deposito di memorie di parte.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
In un’opposizione a pignoramento presso terzi per un credito iniziale accertato da sentenza di Euro cento, su precetto di oltre Euro ottocento (Euro 820,37), ma dopo un mandato di pagamento del debitore Comune di Roma per oltre Euro quattrocento sessanta (Euro 464,26), sospesa l’esecutività per importo eccedente Euro ottantacinque e dieci (Euro 85,10), l’originario rigetto è riformato in appello dal Tribunale per irregolarità della notifica, ma la riassunzione al Giudice di Pace venne ritenuta irrituale, con declaratoria di esaustività della somma già pagata, dichiarata dalla sentenza n. 25715 del 2014.
Il gravame avverso detta sentenza del Giudice di Pace e’, con sentenza (n. 15620 del 26/07/2018), respinto dal Tribunale di Roma, che rileva la carenza di documenti a sostegno della ritualità della riassunzione e conferma la valutazione di esaustività del pagamento offerto prima del pignoramento.
Il motivo di ricorso proposto dal R. è unico, ma contiene più sub-motivi, quali: violazione e (o) falsa applicazione degli artt. 353, 354, 359, 291, 160, 316 e segg., nonché artt. 323 e segg., e ancora degli artt. 474 c.p.c. e segg., degli artt. 1181-1206 c.c. e segg., art. 111 Cost., D.M. n. 55 del 2014, del D.P.R. n. 115 del 2002, D.M. n. 127 del 2004, denuncia un adempimento tardivo da parte dell’ente pubblico territoriale e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione.
Il ricorso prospetta censure su un duplice profilo: in quanto sarebbe stata malamente negata la tempestività della riassunzione, perfino già accertata dal Giudice di Pace e malamente sarebbe stato ritenuto esaustivo il pagamento da parte del Comune di Roma, nonostante esso fosse avvenuto oltre il termine di 120 giorni per l’adempimento spontaneo e deduce, inoltre, varie contestazioni su condanna alle spese (pure per mancanza di chiarezza e specificità degli scritti difensivi); omesso esame della censura di inammissibilità della riassunzione su giudicato a seguito della sentenza del Giudice di Pace n. 2789 del 2012 e, infine, torna ancora su non esaustività del pagamento anteriore.
Il ricorso è però redatto in carenza di adeguata specificità, vale a dire di sinteticità e di adeguata prospettazione dei motivi dell’appello avverso la sentenza n. 25715/2014 del Giudice di Pace disatteso dal Tribunale di Roma.
Il ricorso contiene numerose censure affastellate e con inestricabile commistione tra profili di fatto e di diritto, rendendo in definitiva impossibile ricavare con qualche affidabilità il contenuto delle doglianze effettive, oltre a non farsi in alcun modo carico dell’incompatibilità tra inammissibilità di una riassunzione ed il suo esame nel merito.
Il motivo è pertanto inammissibile per genericità e difetto di specificità: invero, il requisito di specificità e completezza del motivo di ricorso per cassazione, pur non essendo espressamente previsto (a differenza di quanto accade per l’appello: art. 342 c.p.c.) deve considerarsi esistente, in quanto è diretta espressione dei principi sulle nullità degli atti processuali e segnatamente di quello secondo cui un atto processuale è nullo, ancorché la legge non lo preveda, allorquando manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento del suo scopo (art. 156 c.p.c., comma 2). Tali principi, applicati ad un atto di esercizio dell’impugnazione a motivi tipizzati come il ricorso per cassazione e posti in relazione con la particolare struttura del giudizio di cassazione, nel quale la trattazione si esaurisce (ora addirittura eventualmente, alla luce della recentissima riforma) nella udienza di discussione e non è prevista alcuna attività di allegazione ulteriore (essendo le memorie, di cui all’art. 378 c.p.c., finalizzate solo all’argomentazione sui motivi fatti valere e sulle difese della parte resistente), comportano che il motivo di ricorso per cassazione, ancorché la legge non esiga espressamente la sua specificità (come invece per l’atto di appello), debba necessariamente essere specifico, cioè articolarsi nella enunciazione di tutti i fatti e di tutte le circostanze idonee ad evidenziarlo. Il requisito di specificità concerne anche la deduzione di un error in procedendo. Invero, con riguardo alla deduzione della violazione di una norma afferente allo svolgimento del processo nelle fasi di merito, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, il rispetto dell’esigenza di specificità non cessa di essere necessario per il fatto che, com’e’ noto, la Corte di Cassazione, essendo sollecitata a verificare se vi è stato errore nell’attività di conduzione del processo da parte del giudice del merito e dovendo giudicare il fato processuale, debba procedere ad esaminare direttamente l’oggetto in cui detta attività trovasi estrinsecata, cioè gli atti processuali, giacché per poter essere utilmente esercitata tale attività della Corte presuppone che la denuncia del vizio processuale sia stata enunciata con l’indicazione del (o dei) singoli passaggi dello sviluppo processuale nel corso del quale sarebbe stato commesso l’errore di applicazione della norma sul processo, di cui si denunci la violazione, in modo che la Corte venga posta nella condizione di procedere ad un controllo mirato sugli atti processuali in funzione di quella verifica. L’onere di specificazione in tal caso deve essere assolto tenendo conto delle regole processuali che presiedono alla rilevazione dell’errore ed alla sua deducibilità come motivo di impugnazione, cioè individuando come e perché il vizio di violazione di norma del procedimento sia stato denunciato e lo sia stato tempestivamente (art. 157 c.p.c.) e come e perché sia rimasto “vivo” sì da poter essere dedotto in Cassazione (Cass. n. 06184 del 13/03/2009 Rv. 607129 – 01 e in precedenza n. 04741 del 04/03/2005 Rv. 581593 – 01).
Le censure dedotte avverso la regolazione delle spese di lite, al di là del mero riferimento ai testi normativi di riferimento, sono, anche esse, del tutto generiche. Esse incorrono in mancanza di specificità, risultando apoditticamente formulate, senza alcuna analitica indicazione delle singole voci previste dalle tariffe all’epoca vigenti e si risolve, quindi, in una generica censura vertente sull’insufficienza dell’importo riconosciuto (Cass. n. 18190 del 16/09/2015, nonché Cass. n. 22287 del 21/10/2009).
Il ricorso è pertanto, inammissibile, con riferimento a tutte le censure formulate e tale deve essere dichiarato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate, tenuto conto del valore della controversia e dell’attività processuale espletata, come da dispositivo.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto (Sez. U. n. 04315 del 20/02/2020).
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 900,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15% oltre CA e IVA per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, il 9 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2022