Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23862 del 25/09/2019

Cassazione civile sez. trib., 25/09/2019, (ud. 12/06/2019, dep. 25/09/2019), n.23862

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 5763/2015 R.G. proposto da:

Z.V., rappresentato e difeso dall’Avv. Nicola Bonasia,

elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Aldo Montini,

in Roma, Via Savonarola n. 39, giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12 è domiciliata;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio,

sezione distaccata di Latina, n. 4501/40/2014 depositata il 7 luglio

2014.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12 giugno 2019

dal Consigliere Luigi D’Orazio;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. Francesco Salzano, che ha concluso chiedendo il

rigetto del ricorso.

udito l’Avv. Giammario Rocchitta per l’Avvocatura Generale dello

Stato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Latina, che aveva accolto il ricorso proposto da Z.V. nei confronti dell’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti, per l’anno 2005, con il metodo sintetico ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, evidenziando che non era credibile che tale A.G. avesse prestato al contribuente la somma di Euro 60.000,00 il 5-12-2005, senza alcun atto scritto, nè previsione di tassi di interesse, nè di modalità di restituzione, senza che il contribuente avesse fornito alcuna prova in ordine alla utilizzazione della somma ricevuta, non avendo prodotto neppure l’atto di acquisto delle quote societarie.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il contribuente.

3. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di impugnazione il contribuente deduce “violazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per omessa applicazione ed erronea interpretazione delle norme di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, (applicabile ratione temporis), alla L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, comma 1, nonchè alla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 1, in relazione al mancato riconoscimento dell’obbligo di instaurazione del contraddittorio preventivo tra contribuente e amministrazione finanziaria”, in quanto sussiste l’obbligo per l’amministrazione, prima di emettere l’avviso di accertamento con il metodo sintetico, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, di instaurare il contraddittorio preventivo con il contribuente. Tale obbligo sussisteva già prima del D.L. n. 78 del 2010, che ha previsto l’obbligo del contraddittorio, in caso di accertamento induttivo.

1.1. Tale motivo è infondato.

Invero, per questa Corte l’Amministrazione finanziaria è gravata esclusivamente per i tributi “armonizzati” di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto (Cass., sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24823), mentre, per quelli “non armonizzati”, non essendo rinvenibile, nella legislazione nazionale, una prescrizione generale, analoga a quella comunitaria, solo ove risulti specificamente sancito, come avviene per l’accertamento sintetico in virtù del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 7, nella formulazione introdotta dal D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1, conv. in L. n. 122 del 2010, applicabile, però, solo dal periodo d’imposta 2009, per cui gli accertamenti relativi alle precedenti annualità sono legittimi anche senza l’instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale (Cass., 31 maggio 2016, n. 11283).

Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, all’epoca vigente, prevede che “il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta”. Tale norma, quindi, prevede solo una facoltà per il contribuente di fornire tale dimostrazione, ma non vi è un obbligo della amministrazione di instaurazione del preventivo contraddittorio endoprocedimentale.

Tra l’altro, dalla motivazione dell’avviso di accertamento, trascritta nella sua interezza, si legge che il contribuente è stato invitato al contraddittorio (invito n. 100230/08 notificato in data 22-9-2008), sia pure per l’anno 2003, e non per il 2005, anche con riferimento ai “negozi giuridici nell’anno 2005 che hanno generato incrementi patrimoniali”.

2.Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente deduce “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: sulla prova del rapporto di mutuo gratuito quale fonte di maggior reddito esente a disposizione del contribuente”, in quanto il giudice di appello si è limitato ad affermare che “la dichiarazione dell’interessato è poca cosa”, sì da manifestare l’insufficienza logica di tale affermazione, che si è risolta di fatto in un sostanziale e concreto omesso esame sul punto dal parte del giudice. La Commissione regionale non è entrata nel merito del mutuo gratuito, nè ha valutato le prove offerte dal contribuente. La dichiarazione sostitutiva di atto notorio è stata resa ai sensi del D.P.R. n. 445 del 2000, art. 47, ed era sufficiente a dimostrare il fatto dichiarato nei confronti della pubblica amministrazione.

3. Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente deduce “violazione della legge processuale ex art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 4, all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in rapporto con l’art. 111 Cost., comma 6. Nullità della sentenza per inesistenza o mera apparenza della motivazione circa l’esistenza o meno del rapporto di mutuo gratuito quale fonte di maggior reddito esente a disposizione del contribuente”, in quanto la motivazione della decisione è soltanto apparente, essendo priva di argomentazioni logiche e plausibili.

4. Con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente si duole della “violazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erronea interpretazione ed omessa applicazione delle norme di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36, comma 6, e all’art. 115 c.p.c., comma 1, in relazione alla prova della destinazione di utilizzo dei redditi esenti”, in quanto l’esistenza dell’atto n. (OMISSIS) del 19-3-2003 è pacifica tra le parti, anzi l’Agenzia delle entrate ha fondato l’accertamento proprio sulla base dell’incremento patrimoniale realizzato dalla compravendita di titoli azionari. Trattasi, dunque, di fatto non contestato ai sensi dell’art. 115 c.p.c.. Inoltre non può sostenersi che il contribuente debba fornire la dimostrazione dell’utilizzo delle somme derivanti da redditi esenti e la loro riferibilità alle spese per incrementi patrimoniali, pur ammettendo che tale interpretazione è “sostenuta da una parte della giurisprudenza”. Il contribuente deve fornire la prova della “entità” dei redditi e la “durata” del loro possesso, ma non la utilizzazione dei redditi esenti per coprire gli incrementi patrimoniali.

4.1.1 motivi secondo, terzo e quarto, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati.

4.2. Invero, si rileva che il giudice di appello si è soffermato sulla questione controversa della sussistenza o meno del contratto di mutuo gratuito rappresentato dal prestito della somma di Euro 60.000 in favore del contribuente da parte di A.G.. In particolare, la Commissione regionale ha affermato che non era credibile che l’ A. avesse prestato una somma così ingente, senza stipulare un contratto scritto, nè pattuire interessi, nè prevedere una data per la restituzione. La Commissione ha ritenuto che la sola dichiarazione del contribuente non fosse sufficiente e che “la ragione principale per cui deve essere accolto l’appello dell’Agenzia” è che “lo Z. non fornisce alcun elemento in ordine alla utilizzazione della somma ricevuta nel 2005”, asserendo soltanto che la stessa era stata utilizzata per l’acquisto di quote sociali, di cui all’atto n. (OMISSIS) del 19-3-2003, mai prodotto in giudizio.

4.3. Pertanto, da un lato, si rileva che il giudice di appello non ha omesso di valutare l’asserito prestito effettuato dall’ A. in favore del contribuente, ma ha valutato tale elemento, giudicandolo poco credibile, con una serie di argomentazioni tra loro coerenti e, dall’altro, l’elemento fondamentale della motivazione si rinviene nella assenza di prova che tale somma, ove ricevuta, sia stata destinata all’acquisto delle quote sociali di cui all’atto (OMISSIS) del 19-3-2003, non prodotto in atti.

Inoltre, per questa Corte l’attribuzione di efficacia probatoria alla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà che, così come l’autocertificazione in genere, ha attitudine certificativa e probatoria esclusivamente in alcune procedure amministrative, essendo viceversa priva di efficacia in sede giurisdizionale, trova, con specifico riguardo al contenzioso tributario, ostacolo invalicabile nella previsione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, giacchè finirebbe per introdurre nel processo tributario – eludendo il divieto di giuramento e prova testimoniale – un mezzo di prova, non solo equipollente a quello vietato, ma anche costituito al di fuori del processo (Cass., 15 gennaio 2007, n. 703; Cass., 19 marzo 2010, n. 6755).

Pur se l’atto di acquisto delle quote societarie è pacifico, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., non lo è altrettanto l’utilizzo delle somme derivanti dall’asserito prestito per pagare le spese per l’acquisto di tali quote.

4.4. Invero, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e 5, vigente all’epoca, disponeva che “L’ufficio, indipendentemente dalle disp. recate dall’art. 39, commi precedenti, può, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato. A tal fine, con decreto del Ministro delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, sono stabilite le modalità in base alle quali l’ufficio può determinare induttivamente il reddito o il maggior reddito in relazione ad elementi indicativi di capacità contributiva individuati con lo stesso decreto, quando il reddito dichiarato non risulta congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi di imposta. Qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei cinque precedenti. Il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. L’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”.

4.5. L’oggetto della prova contraria a carico del contribuente riguarda, dunque, da un canto, la disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte) e, dall’altro, l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso. Come questa Corte ha avuto modo di chiarire (Cass., 20 gennaio 2017, n. 1510, Cass. 16 luglio 2015, n. 14885, Cass. 18 aprile 2014, n. 8995, Cass. 26 novembre 2014, n. 25104), pur non prevedendosi esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi siano stati utilizzati per coprire le spese contestate, si chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). Lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali redditi e della “durata” del relativo possesso, va letto, quindi, nel senso che la norma intende opportunamente ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità dei redditi medesimi al fine di ricollegarvi la maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente, escludendo quindi che possano utilizzarsi per finalità non considerate in tema di accertamento sintetico, come per un ulteriore investimento finanziario. In tale ultima ipotesi, infatti, tali ulteriori redditi non sarebbero utili a giustificare le spese o il tenore di vita accertati, che dovrebbero ascriversi, quindi, a redditi non dichiarati.

4.6. Va chiarito, però, che la prova di cui è onerato il contribuente non è tipizzata, sicchè può essere data con qualsiasi mezzo idoneo a dimostrare la provenienza non reddituale dell’elemento accertato dal fisco, e la durata del relativo possesso, tanto che neppure rileva l’eventuale nullità dell’atto dal punto di vista civilistico. Ed infatti, proprio in base a tale premessa, nella giurisprudenza di questa Corte è stata ritenuta prova idonea e sufficiente la documentazione bancaria rappresentativa della “sequenza temporale dell’operazione di accredito e poi di quella di addebito degli assegni circolari utilizzati per l’acquisto” (Cass., 22 marzo 2017, n. 7258); o l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari intestati al contribuente in grado di dimostrare l’entità e la durata del possesso dei redditi, non il loro semplice “transito” nella di lui disponibilità del contribuente (Cass., 12214/2017; vedi anche Cass., 16 maggio 2018, n. 12026 e Cass., 23 marzo 2018, n. 7389).

4.7. Facendo corretta applicazione di tali principi di elaborazione giurisprudenziale di legittimità, la Commissione regionale, nella fattispecie in esame, ha adeguatamente valutato il materiale probatorio acquisito al processo, ritenendo che il contribuente non ha fornito la prova nè di avere effettivamente beneficiato della dazione della somma di Euro 60.000,00 a titolo di prestito stipulato verbalmente senza previsione di interessi e data di scadenza, nè dell’utilizzo di tale ipotetico mutuo per l’acquisto delle quote sociali (Euro 800.000,00 con pagamento in sei rate a partire dal 2005 (come da controricorso della Agenzia delle entrate).

5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce “nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia su un motivo di gravame: sulla nullità per mancata consecutività delle annualità dello scostamento tra reddito accertabile e reddito dichiarato”, in quanto la Commissione regionale non si è pronunciata sulla censura relativa alla insussistenza del requisito del necessario scostamento per almeno due periodo di imposta.

5.1. Tale motivo è infondato.

Invero, la Commissione regionale ha accolto l’appello formulato dalla Agenzia delle entrate, sicchè implicitamente ha rigettato tutte le questioni sollevata dal contribuente nelle controdeduzioni all’atto di appello.

Infatti, non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte (Cass., 20718/2018).

Tra l’altro, per questa Corte il presupposto dello scostamento di almeno un quarto e per non meno di due periodi di imposta deve sussistere all’inizio dell’attività accertativa e prescinde dall’esito dell’accertamento definitivo (Cass., 19106/2005).

6. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, per il principio della soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 4.500,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 1, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 12 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2019

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