Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23861 del 23/11/2016


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Cassazione civile sez. lav., 23/11/2016, (ud. 23/03/2016, dep. 23/11/2016), n.23861

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15224-2011 proposto da:

T.S., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA DELLA GIULIANA, 58, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

CARUSO, rappresentata e difeso dall’avvocato ANTONINO SIRACUSA,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.E. (OMISSIS);

– intimata –

Nonchè da:

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI,

rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLO TOSI, giusta delega in

atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

T.S., C.F. (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 462/2010 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 11/06/2010 R.G.N. 1965/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/03/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LEO;

udito l’Avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega verbale Avvocato TOSI

PAOLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI FRANCESCA che ha concluso per il rigetto del ricorso e

assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte territoriale di Milano, con sentenza depositata in data 11/6/2010, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede, rigettava la domanda proposta da T.S. nel giudizio di primo grado, volta ad ottenere la dichiarazione di inefficacia del termine apposto al contratto stipulato con Poste Italiane S.p.A. relativamente al periodo 26/1/2004-13/3/2004 per esigenze sostitutive di personale assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro, nell’ambito di attività di recapito presso il Polo Corrispondenza Lombardia.

La Corte di Appello sottolineava, per quanto ancora in questa sede rileva, che la società Poste ha fornito la prova delle esigenze fatte valere, producendo, dinanzi al primo giudice, il prospetto riassuntivo delle assenze sottoscritte dal dirigente, da cui emergeva un numero di lavoratori addetti al recapito assenti largamente superiore ai 3/4 di lavoratori assunti a termine; che, in primo grado, la lavoratrice non aveva specificamente contestato i dati forniti dalla società; che, comunque, la sussistenza dell’esigenza sostitutiva e l’effettivo impiego della T. in mansioni espressamente previste dal contratto inducevano a ritenere la legittimità dell’apposizione del termine.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la T. affidandosi a sei motivi cui ha resistito con controricorso la Poste Italiane S.p.A. che ha spiegato, altresì, ricorso incidentale condizionato.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 del codice di rito.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, relativamente al contratto di assunzione, sostenendo che la Corte di merito abbia erroneamente dichiarato la legittimità del termine apposto al contratto sottoscritto dalla T., reputando che la clausola indicata nel contratto soddisfi il requisito di specificità previsto dalla legge, mentre, a parere della ricorrente, i giudici di secondo grado non avrebbero compiutamente considerato che la causale del contratto deve essere tale da non fare sorgere alcun dubbio interpretativo, in modo che risultino assolutamente certe le circostanze che hanno indotto il datore di lavoro ad optare per un’assunzione a tempo determinato nel rispetto della normativa vigente e da non permettere una successiva adattabilità della clausola indicata sul contratto a molteplici situazioni di fatto.

2. Con il secondo motivo, formulato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la T. lamenta la insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, lamentando che la Corte territoriale non abbia statuito la nullità del termine apposto al contratto intercorso tra le parti, nonostante la genericità della causale indicata e senza che nel contratto fossero indicati i nomi dei lavoratori da sostituire.

3. Con il terzo motivo si censura, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e si lamenta che la Corte distrettuale abbia erroneamente ritenuto che sia stata fornita la prova dalla società della effettività delle esigenze fatte valere ed abbia reputato sufficienti elementi che, in realtà, non lo erano, dato che – secondo la prospettazione della ricorrente – la generica indicazione delle esigenze di carattere sostitutivo non è di per sè idonea a legittimare l’apposizione del termine finale.

4. Con il quarto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 22 e 25 del CCNL di settore 11/7/2003 (c.d. clausole di contingentamento) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in quanto la Corte di merito nulla avrebbe detto sul fatto che la società Poste non avrebbe fornito la prova di non avere superato i limiti quantitativi di utilizzo di lavoratori precari imposti dal CCNL di settore all’epoca vigente.

5. Con il quinto motivo la lavoratrice controdeduce, cautelativamente e preventivamente, in ordine alla “lamentata nullità dell’intero contratto di lavoro ai sensi degli artt. 1418, 1419, 1457 e 2126 c.c.”, rappresentando “a mero scopo precauzionale e preventivo” che, sebbene i giudici di merito non si siano pronunziati in alcun modo sulle conseguenze della nullità ed illegittimità del termine, ai sensi dell’art. 1344 c.c. e art. 1419 c.c., comma 2, la clausola relativa al termine finale è nulla poichè diretta ad eludere la disciplina imperativa dettata dal D.Lgs. n. 368 del 2001, che obbliga il datore di lavoro a specificare e dimostrare le esigenze di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo; ed in quanto tale, non produce effetti perchè non è stata validamente apposta, mentre tutta la restante parte del contratto produce i suoi effetti ed il contratto deve perciò intendersi sin dall’inizio a tempo indeterminato.

6. Con il sesto motivo si deduce diritto al risarcimento del danno ai sensi degli artt. 1337, 1344 e 2043 c.c.”. Tale motivo, in realtà, pare riferirsi a causa diversa da quella di cui si tratta, facendo testualmente riferimento a due lavoratori, S. e C., i quali avrebbero diritto ad ottenere il pagamento, in proprio favore, di somme (non specificate) a titolo di TFR, ferie, festività, 13^, 14^; appare pertanto, all’evidenza, non pertinente al caso di specie e frutto, probabilmente, di un mero errore di memorizzazione del computer.

7. Con il primo motivo di ricorso incidentale condizionato articolato da Poste Italiane S.p.A., la società – eccepisce la nullità integrale del contratto; questione sulla quale la Corte di merito ha omesso di statuire essendo stata assorbita dall’accoglimento del motivo principale di appello”, poichè, tra l’altro, nel silenzio della legge trova applicazione, a parere della società, il principio secondo cui la nullità della clausola contenente il termine “importa la nullità dell’intero contratto se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita da nullità (art. 1419 c.c.)”.

8. Con il secondo motivo del ricorso incidentale condizionato si deduce che “nella denegata ipotesi in cui venga dichiarata l’illegittimità del termine apposto al contratto di cui si discute, la domanda di risarcimento, così come formulata da controparte, non potrà comunque trovare accoglimento, ai sensi di quanto previsto dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, in vigore dal 24/11/2010, applicabile al presente giudizio ai sensi del cit. articolo, comma 7”.

1.1; 1.2; 1.3. I primi tre motivi, stante l’evidente connessione, possono essere trattati congiuntamente, essendo tutti, in sostanza, diretti a confutare l’interpretazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 accolta dalla Corte di merito.

I primi due non sono fondati ed il terzo presenta evidenti profili di inammissibilità, poichè è finalizzato ad un riesame del merito, non consentito in questa sede.

Quanto ai primi due, premesso che, nella fattispecie, la causale cui la società Poste Italiane ha fatto riferimento per la stipula del contratto a tempo determinato di cui si tratta attiene a “ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale addetto al recapito presso il Polo corrispondenza della Regione Lombardia”, questo Collegio ritiene di aderire all’orientamento giurisprudenziale, ormai consolidato, della Corte di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass. n. 1576/2010; Cass. n. 1577/2010; Cass. n. 8286/2012), nella materia. Alla stregua di tale orientamento, ricostruito il quadro normativo di riferimento, al quale in questa sede si fa richiamo, va sottolineato che l’introduzione di un sistema (derivante dal superamento di quello rigido previsto dalla L. n. 230 del 1962, che prevedeva la tipizzazione delle fattispecie legittimanti), articolato per clausole generali – in cui l’apposizione del termine è consentita a fronte delle suesposte ragioni -, al fine di non cadere nella genericità, impone al suo interno un fondamentale criterio di razionalizzazione costituito dall’obbligo del datore di lavoro di enunciare l’esigenza di sostituire lavoratori assenti, integrandola con l’indicazione di elementi ulteriori, quali l’ambito territoriale, i riferimenti, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni del lavoratore da sostituire, il diritto di quest’ultimo alla conservazione del posto di lavoro; in modo da consentire la determinazione del numero dei lavoratori da sostituire, anche se non identificati nominativamente.

E ciò, per evitare l’uso indiscriminato dell’istituto per fini solo nominalmente riconducibili alle esigenze riconosciute dalla legge.

La giurisprudenza cui si è fatto riferimento, tuttavia, ha sottolineato che deve, comunque, tenersi sempre conto delle situazioni aziendali non più standardizzate, ma obiettive, con riferimento alle realtà specifiche in cui il contratto viene ad essere calato.

Nel caso di specie, la Corte di merito, ha dato atto dell’intervento del D.Lgs. n. 368 del 2001, prendendo adeguatamente in considerazione, nel percorso motivazionale seguito, le ragioni addotte a giustificazione del contratto e, soprattutto, procedendo alla valutazione del grado di specificità delle ragioni secondo la metodologia cui si è fatto innanzi richiamo. Ha, in tal modo, ottemperato all’obbligo di esaminare tutti gli elementi di specificazione emergenti dal contratto stesso al fine di delibarne l’effettiva sussistenza, dando altresì atto del fatto che, se è vero che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 214/2009, ha ritenuto che la garanzia di trasparenza e di controllo collegata alla specificazione della causale debba ritenersi soddisfatta – nel caso di esigenza sostitutiva – con l’indicazione del nominativo del lavoratore sostituito, è altresì vero che tale affermazione riveste carattere generale, da adattare alle singole e concrete realtà di lavoro. Al riguardo, la Corte di merito, con un percorso motivazionale del tutto condivisibile – e con riferimento ai più recenti (al momento della pronunzia oggetto del giudizio di legittimità) arresti giurisprudenziali della Suprema Corte (cfr., tra i molti, Cass. n. 1576/2010, cit.), ha reputato che la “specificità”, nell’ambito di una situazione aziendale complessa, quale quella di cui si tratta, possa essere “soddisfatta” anche dalla enunciazione della esigenza di sostituire i lavoratori assenti, integrata dall’indicazione di elementi ulteriori (ad esempio: dall’indicazione dell’ambito territoriale di riferimento, del luogo della prestazione, delle mansioni), in modo da potere determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè gli stessi non siano indicati nominativamente; circostanze, tutte, in ordine alle quali, come messo in rilievo dai giudici di Appello, la società Poste ha fornito la prova con dati documentali mai specificamente contestati dalla lavoratrice, neppure in ordine alle mansioni espletate, risultate assolutamente sovrapponibili a quelle cui il contratto fa riferimento (attinenti al recapito nell’ambito territoriale descritto nel contratto).

Quanto al terzo motivo, affetto, come già anticipato, da profili di inammissibilità, è da osservare che la valutazione degli elementi probatori è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in Cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento. Pertanto, alla stregua dei costanti arresti giurisprudenziali di questa Suprema Corte, qualora il ricorrente denunci, in sede di legittimità, l’omessa o errata valutazione di prove documentali o testimoniali ha l’onere (oltre che di trascriverne il testo integrale nel ricorso per cassazione, al quale la ricorrente ha ottemperato) di specificare anche i punti ritenuti decisivi al fine di consentire il vaglio di decisività che avrebbe eventualmente dovuto condurre il giudice ad una diversa pronunzia, con l’attribuzione di una diversa valutazione ai documenti o alle dichiarazioni testimoniali relativamente ai quali si denunzia il vizio (Cass. n. 6023 del 2009).

Nel caso di specie, invero, la contestazione, peraltro ripetitiva di concetti già espressi nei primi due motivi in ordine alla dedotta mancata prova, da parte della società, della specificità dei motivi, si risolve in una inammissibile richiesta di riesame del contenuto di atti prodotti dalla società sia in primo che in secondo grado (cfr. Cass. n. 4056 del 2009), finalizzata ad ottenere una nuova pronunzia sul fatto, certamente estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014).

1.4. Il quarto motivo, che censura la pretesa violazione della clausola di contingentamento prevista dagli artt. 22 e 25 del CCNL del Settore 11/7/2003, è inammissibile, poichè ha riguardo ad una eccezione mai formulata nei giudizi di merito ed introdotta, quindi, per la prima volta in questa sede.

1.5; 1.6. Il quinto motivo – formulato, come già detto innanzi, “cautelativamente e preventivamente”, in ordine ad un fatto (la “lamentata nullità dell’intero contratto di lavoro ai sensi degli artt. 1418, 1419, 1457 e 2126 c.c. da parte della società datrice di lavoro”) sul quale la Corte di merito non si è pronunziata, poichè la questione è rimasta assorbita dall’accoglimento del motivo principale di appello – è assorbito.

Il sesto motivo, in ordine al quale si rimanda a quanto già esplicitato in narrativa, è inammissibile per tutto quanto innanzi detto.

Il mancato accoglimento del ricorso principale comporta l’assorbimento del ricordo incidentale condizionato.

Le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale; condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.600,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2016

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