Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23860 del 29/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 29/10/2020, (ud. 13/06/2019, dep. 29/10/2020), n.23860

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – rel. Consigliere –

Dott. MELE Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1701-2013 proposto da:

CAGI IMMOBILIARE SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA BENACO 5,

presso lo studio dell’avvocato MARIA CHIARA MORABITO, rappresentato

e difeso dall’avvocato UMBERTO SANTI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

DIREZIONE PROVINCIALE BELLUNO AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

sul ricorso 68-2014 proposto da:

CAGI IMMOBILIARE SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA BENACO 5,

presso lo studio dell’avvocato MARIA CHIARA MORABITO, rappresentato

e difeso dall’avvocato UMBERTO SANTI;

– ricorrente –

contro

DIREZIONE PROVINCIALE DI BELLUNO AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 14/2012 depositata il 16/05/2012 e avverso la

sentenza n. 21/2013 depositata il 29/04/2013 della COMM. TRIB. REG.

di VENEZIA;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/06/2019 dal Consigliere Dott. ANDREA VENEGONI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO FEDERICO che ha

chiesto per r.g. 1701/2013 rigetto del ricorso, r.g. 68/2014 rigetto

del ricorso.

 

Fatto

RITENUTO

che:

La Ca.Gi Immobiliare srl esponeva di essere una piccola società familiare di costruzioni, con sede in (OMISSIS), che operava sul mercato con modalità particolarmente prudenti, in particolare costruendo gli immobili solo dopo avere già concluso la promessa di vendita ai futuri acquirenti ed incassato una parte di prezzo.

Nel 2009 era oggetto di una verifica da parte della Agenzia delle Entrate, ufficio di Belluno, a seguito della quale quest’ultima notificava avviso di accertamento per l’anno 2005 con il quale, con metodo analitico induttivo, veniva rettificato in aumento l’imponibile ai fini ires, iva e irap.

La società impugnava il suddetto avviso davanti alla CTP di Belluno che respingeva il ricorso.

Appellava la società alla CTR del Veneto la quale respingeva il gravame affermando che gli elementi evidenziati nell’avviso di accertamento (mancata distribuzione di utili ai soci, versamenti infruttiferi dai conti personali dei soci, constatazione che nel caso dei due immobili venduti nel 2005, il valore del mutuo contratto dagli acquirenti era superiore al prezzo dichiarato di vendita) erano idonei a rappresentare indizi gravi precisi e concordanti in merito al conseguimento di un maggior reddito da parte della società.

Per la cassazione di quest’ultima sentenza ricorre la società sulla base di quattro motivi.

Si costituisce l’ufficio con controricorso.

Per l’udienza odierna, la società ha depositato memoria ed il procuratore generale conclusioni scritte, dopo avere chiesto la riunione del procedimento avente n. 68/14 al presente.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Preliminarmente, sussistono giusti motivi per la riunione al presente procedimento di quello portante il n. 68/2014, connesso e chiamato all’udienza odierna.

La ragione della connessione risiede nel fatto che, mentre il presente procedimento ha ad oggetto l’accertamento societario per l’anno 2005, l’oggetto della causa n. 68/2014 riguarda la mancata effettuazione delle ritenute sul maggior reddito societario presuntivamente distribuito ai soci.

In altri termini, la causa riunita dipende dalla definizione della presente, che, riguardando l’accertamento del maggior reddito societario, si pone come presupposto della prima.

Passando all’esame dei singoli motivi, con il primo, articolato, motivo di quella che era la causa n. 1701/2013, la società ricorrente deduce omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

La sentenza è errata perchè non ha preso correttamente in considerazione tutti gli elementi di fatto della vicenda e ha dato rilievo ad elementi non rilevanti.

Va rilevata, peraltro, preliminarmente, la sua non completamente corretta formulazione che, tuttavia, non incide sulla sua ammissibilità. Lo stesso, infatti, riguarda una sentenza depositata nel giugno 2012, e quindi doveva essere formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella versione anteriore a quella della novella del 2012, ma successiva a quella del 2006, e quindi “per omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.

Il riferimento al “punto” era, invece presente nella formulazione della norma vigente fino alla riforma di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, allorchè lo stesso fu sostituito dalla parola “fatto”.

Peraltro, lo stesso è infondato.

Il dedotto vizio non appare ravvisabile, atteso che la sentenza impugnata si diffonde ad argomentare.

La stessa ha preso, infatti, in considerazione cinque elementi per dedurre l’esistenza di un reddito non dichiarato (mancata distribuzione di utili, versamento infruttifero di Euro 150.000 da parte dei soci, sproporzione tra tali movimenti ed i redditi dichiarati, movimenti anomali sul conto di cassa, scostamento tra il valore dei mutui contratti dagli acquirenti ed il prezzo di vendita dichiarato), affermando, in modo molto sintetico, che nessuno di questi elementi da solo sarebbe idoneo a fondare l’accertamento, ma che, considerati congiuntamente, diventano indizi gravi, precisi e concordanti.

Ai fini del vizio dedotto di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, si tratta di una motivazione che non può ritenersi affetta dallo stesso, perchè dà conto dei singoli elementi su cui si fonda l’accertamento ed illustra il percorso logico seguito per giungere alla conclusione.

In merito al finanziamento infruttifero di Euro 150.000, però, il ricorrente evidenzia che già in appello (e compie riferimento alle pagine dell’atto) aveva posto in luce che si trattava, in realtà, di un riaccredito di somme della società (e non dei soci) investite e versate sul conto societario al termine dell’investimento e che per errore era stato iscritto come finanziamento soci.

La CTR, a fronte di questa osservazione, afferma che “anche se fosse il riaccredito di un investimento terminato, è lecito chiedersi la provenienza di questa somma”, con ciò, almeno implicitamente, dimostrando di non dare rilievo alla giustificazione addotta dal contribuente, e quindi, in sostanza, concludendo per la inverosimiglianza di quanto sostenuto da quest’ultimo.

Con il secondo motivo deduce omesso esame della spiegazione fornita dall’atto di appello in ordine alla provenienza dell’investimento finanziario riaccreditato dalla banca sui conti sociali: omessa pronuncia su motivo riproposto in appello e conseguente violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato e dell’art. 112 c.p.c., (art. 360, n. 4).

La CTR non ha preso in considerazione l’osservazione già formulata in appello dalla società, secondo cui il versamento di Euro 150.000 che la CTR ha considerato come uno degli elementi per respingere l’appello era il rientro di fondi investititi dalla società in titoli e non era un versamento infruttifero dei soci.

Il motivo è infondato.

Si è già osservato a proposito del primo motivo, infatti, che la CTR ha preso in considerazione questa domanda, ma ha ritenuto implicitamente non verosimile la tesi del contribuente, disattendendola.

Con ciò, non ha posto in essere il vizio dedotto.

Con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), (art. 360 c.p.c., n. 3) laddove la sentenza conferma la quantificazione della asserita evasione sul secondo appartamento in misura identica al primo, in assenza di indizi in tal senso. Praesumptio de praesumpto.

La trasposizione della asserita evasione di Euro 59.000, ritenuta in relazione ad una compravendita, anche ad una seconda compravendita costituisce una inammissibile presunzione di secondo grado.

Con il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La CTR ha respinto l’appello sulla base di presunzioni sfornite di gravità, precisione e concordanza.

Il terzo e quarto motivo possono essere trattati congiuntamente, attesa la comune tematica, e sono infondati.

Non è contestato che in relazione all’anno in questione (2005) l’accertamento si riferisca solo a due vendite: una con acquirenti i sig.ri D.M. – M.C. e una con acquirenti i sig.ri P. – C.. In relazione alla prima, secondo l’accertamento, per il pagamento del saldo di Euro 109.800 gli acquirenti hanno contratto un mutuo di Euro 168.000, di cui Euro 109.800 con assegno circolare e Euro 59.000 in contanti che avevano consegnato ad un funzionario della banca perchè li trasferisse alla società venditrice. In sostanza, a fronte di un importo dichiarato, al netto di iva, di Euro 270.000, gli acquirenti avrebbero pagato l’importo di circa Euro 330.000. Lo stesso importo dell’evasione corrispondente alla somma pagata in contanti (Euro 59.000) è, poi, attribuito anche alla seconda operazione, come confermato dall’ufficio in controricorso, in cui l’acquirente aveva contratto un mutuo di Euro 300.000 a fronte di un prezzo dichiarato sempre di Euro 270.000, disattendendo l’ufficio la tesi per cui gli Euro 30.000 servissero per le spese accessorie.

Il contribuente aveva evidenziato questa anomalia in appello (pag. 31 del ricorso) e a fronte di questo la CTR ha ribadito che lo scostamento del valore del mutuo dal prezzo dichiarato non fa che confermare l’ipotesi dei ricavi in nero.

In realtà, il concetto espresso, sebbene molto sinteticamente e – va riconosciuto – in alcuni passi con considerazioni del tutto atecniche, dalla CTR, non è comunque in contrasto con i principi espressi in materia da questa Corte.

Va ricordato, innanzi tutto, il principio espresso da questa Corte (sez. V, n. 14388 del 2017, 23 febbraio 2018, n. 4409, 18 maggio 2018, n. 12269, e 31 ottobre 2018, n. 27841, nonchè nella sentenza 13 settembre 2018, n. 22348) secondo cui:

in tema di accertamento induttivo del reddito d’impresa, l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla cessione di beni immobili può essere fondato anche soltanto sull’esistenza di uno scostamento tra il minor prezzo indicato nell’atto di compravendita e l’importo del mutuo erogato all’acquirente, ciò non comportando alcuna violazione delle norme in materia di onere della prova.

Per la vendita D.M. – M.C., poi, l’elemento, presente nell’accertamento, secondo cui gli stessi avrebbero consegnato in contanti l’ulteriore importo di Euro 59.000, è indubbiamente un elemento che ne corrobora la fondatezza.

Non è questa, naturalmente, la sede per valutare l’attendibilità di questa dichiarazione, perchè ciò si tradurrebbe in un inammissibile giudizio di merito.

Da un punto di vista del giudizio di legittimità, non si può che confermare che lo scostamento del mutuo per l’acquisto della casa dal prezzo dichiarato, unitamente all’elemento rappresentato dalla consegna di ulteriore denaro in contanti integrano certamente quei requisiti di gravità, precisione e concordanza che sono idonei a ritenere fondato l’accertamento, anche sulla sola base di un ragionamento presuntivo.

Quanto alla seconda vendita, va in primo luogo rilevato che la giurisprudenza di questa Corte si sta progressivamente assestando sulla posizione per cui l’invocato divieto di doppia presunzione, o di presunzione di secondo grado o a catena, espresso nel brocardo “praesumptum de praesumpto non admittitur” è, in realtà, inesistente nel nostro sistema, nel senso che non è previsto e codificato da alcuna disposizione di legge, non essendo riconducibile agli artt. 2729 e 2697 c.c., nè a qualsiasi altra norma dell’ordinamento (sez. V, n. 15003 del 2017; sez. V n. 20748 del 2019; sez. V n. 33961 del 2019; sez. V, ord. n. 33042 del 2019; sez. V n. 19171 del 2019; sez. V n. 579 del 2020, a fronte di sez. V, n. 30190 del 2017, e una più remota n. 5045 del 2002, in senso contrario).

Il problema, quindi, come rilevato anche dalla dottrina, non è stabilire se sia giuridicamente ammissibile ricavare un fatto per presunzione da una precedente presunzione, ma, piuttosto, valutare l’attendibilità del risultato di questa sequenza logica. Occorre, cioè, che anche all’esito del secondo passaggio presuntivo sussistano gli elementi di gravità, precisione e concordanza che possono condurre a ritenere provato il fatto.

Nella specie, il collegio ritiene che non sia errato il ragionamento, che in sostanza ha compiuto la CTR laddove – affermando che “i rilievi effettuati dall’ufficio sulle modalità di pagamento degli immobili e sui mutui concessi dalle banche agli acquirenti non fanno che supportare l’ipotesi che la società abbia percepito “in nero” i maggiori ricavi indicati nell’avviso di accertamento” -, ha avvalorato anche la tesi per cui le modalità della seconda vendita erano idonee a far ritenere che vi fosse stata la stessa mancata dichiarazione di imponibile.

Al riguardo, non è irragionevole opinare che una situazione di fatto del tutto analoga quanto ai valori (prezzo dichiarato Euro 270.000 e mutuo comunque superiore, che sia al saldo o al prezzo complessivo), alla tipologia di abitazione (due porzioni dello stesso complesso), la contestualità della costruzione e della vendita (emergente dalle date delle fatture), integri quegli elementi di gravità, precisione e concordanza sufficienti per ritenere che lo svolgimento dei fatti della seconda vendita è stato il medesimo di quello della prima.

I motivi di ricorso devono, pertanto, essere rigettati.

In relazione alla causa avente originariamente n. 68/2014, relativa all’accertamento della mancata effettuazione di ritenute sul maggiore utile presuntivamente distribuito ai soci, riunita alla presente, il contribuente aveva dedotto quattro motivi.

Con il primo, articolato, motivo la società ricorrente deduce omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5). Conseguente difetto di motivazione.

La sentenza è errata perchè ha dato rilievo solo al presunto maggior valore del mutuo corrisposto agli acquirenti dei due immobili rispetto al prezzo dichiarato di acquisto degli stessi.

Il motivo è infondato.

Preliminarmente va osservato che la sentenza impugnata in relazione a tale controversia, poi riunita, è dell’aprile 2013; pertanto, l’impugnazione deve essere proposta e valutata alla luce della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come peraltro è in effetti rubricato il motivo.

In quanto tale, il margine per ravvisare l’eventuale vizio dedotto è molto più ristretto rispetto alle precedenti formulazioni dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Nella specie, deve ritenersi che, per quanto riguarda l’importo di Euro 59.000 prelevato in contanti dagli acquirenti della prima operazione, la CTR ha in sostanza implicitamente disatteso le argomentazioni addotte dai contribuenti sulle anomalie – che secondo gli stessi erano evidenti in base a solo buon senso -, della vicenda relativa a tale prelievo, in cui il denaro sarebbe stato affidato al funzionario di banca per la consegna alla società, ritenendo che tali “anomalie” fossero tutte superate dal fatto che un prelievo di Euro 59.000 in contanti in occasione della stipula del mutuo non potesse costituire che un ulteriore importo corrisposto al venditore “in nero”.

Ai fini della valutazione del vizio dedotto, questa motivazione non permette di renderlo ravvisabile perchè, al di là del merito della stessa, con essa tutti gli aspetti fattuali relativi alla compravendita sono stati valutati, esplicitamente o implicitamente.

Quanto, poi, alla imputazione del ricavo non dichiarato di Euro 59.000 anche alla seconda compravendita, nella sentenza l’esame di tale fatto non è omesso, affermando la CTR che “l’ufficio si è comportato in modo corretto non volendo sostenere, per la stessa tipologia di unità immobiliare, un trattamento economico diverso”.

Con il secondo motivo deduce omesso esame della spiegazione fornita dall’atto di appello in ordine alla provenienza dell’investimento finanziario riaccreditato dalla banca sui conti sociali: omessa pronuncia su motivo riproposto in appello e conseguente violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato e dell’art. 112 c.p.c., (art. 360 c.p.c., n. 4).

La CTR non avrebbe preso in considerazione l’osservazione già formulata in appello dalla società, secondo cui il versamento di Euro 150.000, che la CTR ha considerato come uno degli elementi per respingere l’appello, era il rientro di fondi investititi dalla società in titoli e non era un versamento infruttifero dei soci.

Il motivo è infondato.

La CTR – che pure, a differenza della sentenza nel procedimento 1701/13, non ha avvalorato tutti gli elementi su cui si fondava l’accertamento – ha infatti preso espressamente in considerazione tale specifico aspetto, affermando, in sostanza, di non ritenere credibile l’ipotesi del mero errore contabile e soprattutto affermando che la tesi dei contribuenti avrebbe dovuto trovare riscontro in contabilità in una voce specifica relativa al disinvestimento dei fondi.

Non può, pertanto, ritenersi che si sia concretizzato il vizio dedotto.

Con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), (art. 360 c.p.c., n. 3) laddove la sentenza conferma la quantificazione della asserita evasione sul secondo appartamento in misura identica al primo, in assenza di indizi in tal senso. Praesumptio de praesumpto.

Con il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

I motivi possono essere trattati congiuntamente, attesa la comune tematica, e sono infondati, per le medesime ragioni esposte in precedenza a proposti del terzo e quarto motivo della causa avente n. 1701/2013, da ritenersi qui richiamati, e quindi, in sostanza, perchè, in aggiunta agli altri elementi che hanno fondato l’accertamento, il fatto che nella prima vendita vi sia stato un mutuo che ha determinato l’esborso da parte degli acquirenti di un prezzo complessivo superiore a quello dichiarato (con un elemento di fatto rappresentato da una dichiarazione degli acquirenti di avere consegnato Euro 59.000 in contanti destinati ai venditori) integra le caratteristiche di gravità e precisione che consentono di ritenere fondata la presunzione su cui si basa l’accertamento, e perchè le forti analogie di fatto tra le due operazioni permettono di giungere alla stessa conclusione in via presuntiva anche quanto alla seconda vendita.

In conclusione, entrambi i ricorsi introduttivi dei giudizi in questa sede riuniti, devono essere respinti.

Le spese seguono la soccombenza. Sono, pertanto, a carico del ricorrente e, tenuto conto del valore della controversia, si liquidano in Euro 6.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

P.Q.M.

Dispone la riunione della causa avente in origine n. RG 68/2014 al giudizio n. RG 1701/2013.

Rigetta i ricorsi introduttivi dei giudizi di legittimità riuniti.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali dei due giudizi riuniti, liquidate in Euro 6.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per ciascun ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, a seguito di riconvocazione, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2020

 

 

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