Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23860 del 25/09/2019

Cassazione civile sez. trib., 25/09/2019, (ud. 12/06/2019, dep. 25/09/2019), n.23860

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 22083/2013 R.G. proposto da:

CROMPLASTO SRL IN LIQUIDAZIONE, rappresentata e difesa dall’avv.

Alfredo Talenti e dall’avv. Filippo Tornabuoni, elettivamente

domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale Bruno

Buozzi n. 77.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato.

– resistente con atto di costituzione –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Piemonte, sezione n. 22, n. 18/22/13, pronunciata l’11/10/2012,

depositata il 21/02/2013.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12 giugno 2019

dal Consigliere Dott. Guida Riccardo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. Salzano Francesco, che ha concluso chiedendo il

rigetto del ricorso;

udito l’avv. Filippo Tornabuoni;

udito l’avv. Giammario Rocchitta per l’Avvocatura Generale dello

Stato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Cromplasto Srl impugnò innanzi alla CTP di Biella, con distinti ricorsi, due avvisi di accertamento che recuperavano a tassazione IRPEG, IRAP, IVA, rispettivamente per le annualità 1998 e 1999, per quanto ancora rileva, quale costo indeducibile (ai fini delle imposte dirette) e indetraibile (ai fini dell’IVA), l’aumento del canone di locazione di lire 60 milioni.

2. Il giudice di primo grado, con le sentenze nn. 16/2011 e 17/2011, accolse entrambi i ricorsi; le decisioni sono state riformate dalla CTR del Piemonte che, nel contraddittorio della società, riunite le cause, con la sentenza in epigrafe, ha accolto gli appelli dell’Agenzia.

In particolare, la commissione piemontese ha ritenuto non provato l’aumento del canone in quanto, a fronte di un formale contratto di locazione commerciale nel quale era pattuito un canone di lire 90 milioni, da adeguarsi secondo gli indici ISTAT a partire dal quarto anno, gli aumenti, secondo la prospettazione della contribuente, erano stati convenuti “con mere lettere, non raccomandate e quindi prive di data certa, che riferivano di accordi verbali.”; inoltre, il canone era stato ridotto da lire 250 milioni a lire 150 milioni in seguito alla riduzione della superficie locata e, anche a prescindere dal dato economico, le variazioni del canone, successive alla stipula del contratto, erano contenute in lettere prive di data certa, quale evenienza irrituale, trattandosi di società obbligata alla regolare tenuta della contabilità, che, nella circostanza, avrebbe avuto un effettivo interesse, dal punto di vista fiscale, a documentare tali variazioni, a prescindere dalla volontà di registrare detti atti.

3. La contribuente ricorre, con tre motivi, per la cassazione di questa sentenza della CTR; l’Agenzia resiste con atto di costituzione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere contra legem pronunciato d’ufficio sull’eccezione di mancanza di data certa degli atti modificativi del canone di locazione, che non era stata sollevata dall’Agenzia.

1.1. Il motivo è infondato.

In disparte la prospettabile inammissibilità della doglianza, per violazione del principio d’autosufficienza, in quanto, in mancanza della riproduzione – nel ricorso per cassazione – degli avvisi e degli atti difensivi dell’Amministrazione finanziaria, questa Corte non è posta nella condizione di esaminarla compiutamente, si rileva che, comunque, la CTR, mantenendosi entro il perimetro della materia del contendere, ha reputato legittimo il recupero fiscale in assenza della prova, da parte della contribuente, del maggiore costo, conseguente all’aumento del canone di locazione rispetto a quello contrattualmente pattuito.

2. Con il secondo motivo, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 2214 c.c., la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere considerato irrituale, rispetto all’obbligo di tenuta delle scritture contabili gravante sull’imprenditore commerciale, l’esistenza di una lettera non raccomandata e, quindi, priva di data certa.

3. Con il terzo motivo, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione art. 109 TUIR, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 13, 19, del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 5, art. 1325 c.c., art. 1350 c.c., n. 8, la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere violato le disposizioni in tema di imposte dirette e indirette che, ai fini della deducibilità/detraibilità di un costo, non prescrivono che esso risulti da un atto scritto avente data certa.

Soggiunge che la data certa non è un requisito essenziale dei contratti (ex art. 1325 c.c.) e neppure del contratto di locazione (della L. n. 392 del 1978, ex art. 27), sicchè a un simile requisito di forma non è soggetto nemmeno un patto modificativo dell’originario accordo negoziale.

Rimarca che è inconferente l’argomento difensivo esposto, in appello, dall’Agenzia – per il quale l’aumento del canone in contestazione sarebbe in contrasto con l’art. 32 della legge sulle locazioni, perchè la misura dell’aumento non sarebbe conforme alla mera rivalutazione monetaria -, in quanto, nel caso concreto, nel pieno esercizio dell’autonomia contrattuale, le parti avevano pattuito la modificazione del canone, alla scadenza del sesto anno, riducendolo rispetto a quello che avevano concordato, con lettere valide e non ricomprese nell’accertamento fiscale, per gli anni precedenti.

3.1. Il secondo e il terzo motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono infondati.

Nel solco della precedente giurisprudenza di legittimità (Cass. 30/05/2018, n. 13588, in motivazione; conf.: n. 11942/2016), va riaffermato il seguente principio di diritto: “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, se contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili. A tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista la documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità del costo.”.

Nella fattispecie concreta, il giudice d’appello, senza infrangere tale regola di diritto, con un accertamento in fatto, insindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto che il costo per il canone di locazione, nella misura indicata dalla contribuente, non fosse provato.

Questa Corte (Cass. 10/06/2016, n. 11892) ha già avuto modo di affermare che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle emergenze processuali, da parte del giudice di merito, non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132, n. 4, c.p.c. – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante (censura, quest’ultima, estranea alla materia del contendere).

4. Ne consegue il rigetto del ricorso.

5. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2019.

Depositato in cancelleria il 25 settembre 2019

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